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Conte non si è offerto al Chelsea, ma questo non vuol dire che non ci andrà
In questi giorni è circolata molto una voce secondo la quale Antonio Conte si sarebbe offerto al Chelsea: ecco come stanno le cose.
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Conte non si è offerto al Chelsea: la smentita
A smentire le voci circolate in Italia e riprese anche in Inghilterra ci ha pensato Fabrizio Romano, che ieri sera ha parlato in questi termini della questione tramite il suo canale YouTube.
❝In queste ore ho ricevuto diverse domande sull’argomento, ma posso assicurarvi che Conte non si è offerto al Chelsea. Non c’è assolutamente nulla di vero: Conte non si è offerto a nessuno.
Di recente ci sono stati alcuni contatti con il Napoli, ma allo stato attuale delle cose non c’è nulla di concreto né con il Chelsea né con i partenopei. Antonio sta valutando il proprio futuro ed è aperto a tutte le possibilità, ma a oggi non ci sono accordi raggiunti o contratti firmati con nessuno.
Bisognerà vedere cosa vorrà fare il Napoli, perché Antonio sta valutando offerte da tutta Europa e non solo dall’Italia. Andrà dove riterrà che ci siano i migliori presupposti per lavorare e senza pregiudizi.❞
Niente Milan: nel suo futuro Napoli o Chelsea?
Il noto esperto di mercato internazionale non menziona mai il Milan nel corso del suo intervento: una ulteriore dimostrazione di come il profilo di Conte sia del tutto incompatibile con la linea commerciale di Elliott. Sebbene le nostre principali fonti convergano sulla linea editoriale resa nota da CalcioStyle in questi mesi, l’opinione personale del sottoscritto rimane quella di una incompatibilità della sua figura con il progetto Milan.
I fondi d’investimento prelevano società in difficoltà economica, ne risanano il bilancio e ne accrescono gli asset per poi rivenderli al miglior offerente. In questo senso una figura come quella di Conte (vulcanico, pretenzioso e abituato a essere accentratore anziché esecutore) non collima affatto con il modus operandi di Elliott.
Secondo la stampa italiana il Milan prenderà un tecnico giovane, possibilmente straniero e con un’idea di calcio ben precisa. Difficilmente sarà Thiago Motta (che ha un accordo verbale con la Juventus) o Fonseca, la cui ipotesi più probabile per il futuro sembra essere Marsiglia. Anche se il fatto che sia il Lille che i rossoneri condividano la stessa proprietà (sono entrambe gestite dalla Elliott Management Corporation) potrebbe risultare decisivo. Potrebbe essere Lopetegui, con il quale però i contatti al momento sono in stand-by anche se per alcuni rimane il favorito.
“Chelsea pronto a fare follie“
Se è vero che offrirsi a una società (qualunque essa sia) non è nello stile del leccese, questo non vuol dire che il suo futuro non possa tingersi nuovamente di blu. Conte ha pubblicamente dato priorità a un ritorno in Italia, ma come tutti sappiamo il progetto tecnico e il lato economico sono argomenti di pari importanza per lui.
Il Chelsea, da canto suo, non può certamente dirsi soddisfatto di una stagione passata ad arrancare dietro alla zona Conference League. Nasser Al-Khelaifi in 13 anni ha investito circa 2 miliardi di euro nel PSG, ovvero poco più del doppio di quanto speso da Todd Boehly nel suo primo anno e mezzo da presidente dei Blues.
Sebbene la crescita del Chelsea nell’ultima parte di stagione sia innegabile, il board americano potrebbe decidere comunque di separarsi dall’argentino (il cui contratto scade nel 2026) a fine stagione. In caso di avvicendamento della guida tecnica, i nomi maggiormente in auge sarebbero quelli di Mourinho e proprio di Conte.
In Inghilterra riportano come il Chelsea “sarebbe pronto a fare follie pur di convincere Conte a tornare“ e in queste condizioni difficilmente il leccese rifiuterebbe. Anche perché i londinesi sembrano una squadra costruita a immagine e somiglianza del suo credo calcistico e a fine stagione ritroverebbe anche Lukaku.
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Rabiot ha scoperchiato il vaso di Pandora. Max, come fai a lavorare così?
Hanno destato scalpore le parole pronunciate da Adrien Rabiot al termine della partita pareggiata 1-1 in casa con la Salernitana.
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Juventus, girone di ritorno da retrocessione
Al netto di due partite da campionato ancora da giocare, che potrebbero permettere ad Allegri e alla Juventus di incrementare il (magro) bottino di punti accumulati nel girone di ritorno, 21 punti in 17 partite sono a dir poco inaccettabili. La Juventus non faceva così male nel girone di ritorno dalla stagione 1992-1993.
In quel caso i punti accumulati nel girone di ritorno furono appena 20. Come si spiega un tale tracollo, che ha portato la Juventus ad avere una media punti da retrocessione (15 punti nelle ultime 15 partite, peggio hanno fatto solo Frosinone, Sassuolo e Salernitana) nella seconda parte di campionato?
“E’ colpa dell’allenatore” urlerebbero tracotanti i neoplatonici del pallone. Se non fosse che parliamo dello stesso allenatore che nel girone d’andata di punti ne aveva fatti 46. La squadra è quella. L’allenatore pure e il modo di metterla in campo (se non in determinati frangenti) anche. E allora che cosa è cambiato per Madama?
Juventus, la società (e non Allegri) è responsabile del crollo
Semplice, è cambiato il focus della squadra. E’ un discorso che è stato fatto tante volte, ma con la Juventus virtualmente in lotta per lo scudetto nessuno a Vinovo si sognava di far trapelare informazioni concernenti nuovi allenatori. Tuttavia, nessuno nella nuova dirigenza ha mai avuto la minima intenzione di confermare Allegri.
La loro è sempre stata una fiducia a tempo, che è venuta meno non appena i risultati hanno smesso di essere eccezionali e sono diventati semplicemente ottimi. Allegri è stato scaricato alla prima occasione utile e questa scelta societaria (checché ne strillino i giochisti) qualifica la dirigenza e non l’allenatore.
Immaginate di essere un giocatore della Juventus. Immaginate di rendervi conto a metà campionato che l’Inter fa un altro sport. Immaginate di rendervi conto (con sei mesi d’anticipo) che l’allenatore attuale non verrà poi confermato per la prossima stagione, in quanto tutti sanno degli incontri con Thiago Motta.
Rabiot disilluso, Marotta prova lo sgarbo?
In questo clima di totale incertezza, dove la Juventus attuale si è dimostrata ancora una volta lontana parente di quella capace di creare un modello imitato e stimato da tutti, sembra assolutamente comprensibile il senso di totale scollamento che i tesserati della Juventus stanno provando oramai da mesi.
Un imprinting societario che Beppe Marotta (probabilmente il principale artefice di quella Juventus) da un paio d’anni sta provando a replicare anche ad Appiano Gentile. Un passaggio di consegne che il dirigente torinese verrebbe corroborare con una dimostrazione di forza in piena, ovvero strappando Rabiot agli odiati rivali.
E’ risaputo che Rabiot sia venuto alla Juventus soltanto per Allegri e che questa estate sia rimasto a Torino soltanto per Allegri. Alla luce anche delle sue recenti dichiarazioni, che hanno aperto il vaso di Pandora nello spogliatoio bianconero, immaginarsi una permanenza del francese appare complesso.
L’Inter, che con una politica aziendale diametralmente opposta a quella che la Juventus ha inaugurato con l’arrivo di Cristiano Giuntoli, non si farebbe problemi (visto il suo status da parametro zero) ad offrirgli un ricco quadriennale. Un esborso che probabilmente la nuova Juventus non riconoscerebbe a un quasi 30enne.
Mentre il transalpino a Milano ritroverebbe tutto ciò che non ha trovato a Torino. Una progettualità chiara, ambizioni e soprattutto una società credibile. Tutte caratteristiche che appartenevano alla Juventus del passato, quella che Rabiot ha visto dall’esterno e che l’ha spinto a preferire il bianconero ai top club europei nell’estate del 2019. Un anno dopo l’addio di Marotta, che ora potrebbe coronare le ambizioni del francese.
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Juventus, record negativo di punti dal 2011
I numeri non mentono e scagionano Massimiliano Allegri. Questa Juventus è la peggiore degli ultimi tredici anni e lo dicono i numeri.
Juventus, mai così male negli ultimi 11 anni
Stante che Allegri e la Juventus possono ancora migliorare il loro score, ma 67 punti a due giornate dal termine rappresentano il record negativo di punti in campionato dalla stagione 2009-2010. L’unica a fare peggio fu la Juventus di Del Neri, che a due giornate dal termine aveva fatto registrare 57 punti.
Come dico sempre i dati sono dati e sono oggettivi: è l’interpretazione che fa l’analisi. In questi casi sarebbe facile e immediato scagliarsi contro l’allenatore, ma c’è un dato a sostegno del lavoro svolto sin qui dal tecnico labronico ed è il dato relativo ai punti realizzati nel girone d’andata: ovvero 46.
Negli ultimi quindici anni, infatti, soltanto tre volte la Juventus ha concluso il girone d’andata con più di 46 punti. Ovvero nella stagione 2013-2014 (52 punti, ultimo anno di Conte), nella stagione 2016-2017 (48 punti) e nella stagione 2017-2018 (47 punti) ed entrambe le volte sedeva in panchina proprio Allegri.
46 punti alla fine del girone d’andata i bianconeri li fecero anche nella stagione 2014-2015, ovvero la prima di Allegri. Un dato che dimostra lapalissianamente come i picchi di rendimento della squadra siano da attribuire al livornese, mentre il deprimente girone di ritorno è in linea con le possibilità della rosa e bilancia il miracolo del girone d’andata. Questa è la Juventus più scarsa degli ultimi dieci anni: lo dicono i numeri e Max non c’entra.
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De Rossi peggio di Mourinho: i dati che mettono fine all’allucinazione collettiva
L’Atalanta ha messo fine all’allucinazione collettiva della Roma. De Rossi ha fatto peggio di Mourinho: ecco tutti i dati.
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De Rossi-Mourinho, stesso epilogo dopo il tour de force
Fine dei giochi. Anzi, dei giochismi. Il tour de force che attendeva la Roma alle porte dell’Inferno, per stabilire se la sua stagione sarebbe stata meritoria del Paradiso o del Purgatorio, ha avuto un epilogo tragico quanto scontato. Sì, perché i limiti della rosa romanista sono questi e a prescindere dall’allenatore.
Molti non ricordano, o fanno finta di non ricordare, che Mourinho era quarto in classifica prima dell’infortunio di Dybala in Roma-Fiorentina. Poi una serie di partite terribili (Bologna, Napoli, Juventus, Atalanta e Milan con in mezzo il derby di Coppa Italia) da giocare senza l’argentino e (in parte) senza Lukaku.
5 punti in 7 partite, l’eliminazione dalla Coppa Italia e lo scivolamento all’ottavo posto in campionato. La stessa cosa è successa a De Rossi, che contro Bologna, Napoli, Juventus e Atalanta ha lucrato 2 punti ed è uscito dall’Europa League in semifinale per mano del Bayer Leverkusen.
Roma da 6-7 posto, ma c’è chi porta i trofei…
I limiti di profondità della rosa, che il portoghese sbandierava sin troppo pubblicamente, sono venuti a galla nel momento topico della stagione. Un leitmotiv che accompagna i giallorossi da tre stagioni e che fa assumere i contorni del suicidio sportivo al pervicace tentativo di onorare il duplice impegno.
Mourinho (più o meno scientemente) si rese conto della scarsa profondità della rosa e mise tutte le sue fiches sulle competizioni europee, habitat naturale del lusitano. Al netto di due sesti posti consecutivi in Serie A, il portoghese ha lasciato la Capitale con due finali europee consecutive: un unicum nella storia del club.
Un risultato che è stato accolto dalla piazza e dalla comunicazione romana come un fallimento, ma che in realtà rispecchia alla perfezione quelli che sono i valori tecnici della rosa romanista. Il campo non mente mai e anzi ci dice che la Roma, dal 2020 in avanti, non è mai andata oltre il sesto posto il campionato.
La Roma cambia l’allenatore, ma non i risultati
Nella stagione 2020/2021, con Fonseca alla guida della squadra, la Roma terminò settima in classifica con 62 punti. Il portoghese fu liquidato e additato come un incapace (e ora è l’allenatore più in vista di Francia) e al suo posto è arrivato un altro portoghese, acclamato dai più (anche giustamente) come il salvatore della patria.
Mourinho fa leggermente meglio, arrivando due volte consecutive sesto e totalizzando in ambo le occasioni 63 punti. Anche lui viene liquidato e accusato di essere un bollito, per poi essere sostituito da De Rossi: anche lui accolto come il salvatore della patria. Risultato? Anche De Rossi è sesto, sebbene a due giornate dalla fine.
Il tecnico romano potrà fare meglio in termini di punti (potenzialmente potrebbe arrivare a 66) rispetto ai suoi predecessori, ma quasi certamente non meglio (o peggio) in termini di posizionamento. La vera differenza fra Fonseca-De Rossi (entrambi usciti in semifinale) e Mourinho la fanno percorso europeo e trofei.
De Rossi-Mourinho, rendimento a confronto
Un’altra differenza importante fra Mourinho e De Rossi sta nella comunicazione. Se infatti il portoghese aveva un modo discutibile di rasentare una verità lapalissiana, l’inesperienza del romano (travestita da “umiltà”) lo porta a essere più aziendalista e a ripetuti atti di mea culpa pubblici che non fanno bene alla sua figura.
Anche il rendimento dei due è piuttosto simile. Infatti, in 20 partite la Roma di Mourinho aveva totalizzato 29 punti. Frutto di 8 vittorie, 5 pareggi e 7 sconfitte. Media di circa 1,5 punti per partita. De Rossi da canto suo di punti ne ha fatti 31 ma in meno partite (16) e questo contribuisce alla sua media: circa 1,9 punti per partita.
Frutto di 9 vittorie, 4 pareggi e 3 sconfitte. De Rossi ha fatto leggermente meglio del suo predecessore (e questo è innegabile) in campionato, ma peggio in Europa. E soprattutto questo trend è stato mantenuto sin quando sia Lukaku che Dybala sono stati abili e arruolabili, poiché senza di loro il destino è lo stesso per entrambi.
E in questo senso l’Atalanta ha vestito i panni di cerbero, che in qualità di giudice indefesso ha emesso il suo verdetto non tanto sul lavoro di De Rossi (che andrà giudicato l’anno prossimo, quando dovrà allenare davvero e non solo limitarsi a speculare sul lavoro fatto da qualcun altro) ma su quello della dirigenza americana.
“Lasciate ogni speranza o voi che entrate” troneggia sulle porte del Gewiss Stadium. Perché ha ragione De Rossi nel dire che quello orobico è un progetto decennale mentre il suo è appena iniziato, ma non si può far finta che i Friedkin abbiano rilevato la società nel giorno della sua nomina. Il “progetto” romanista va avanti da anni e sin qui ci si è limitati a cambiare l’allenatore, senza però cambiare il modus operandi.
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