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Not a game | Jerry West, il logo della NBA

Tra le leghe sportive più famose al mondo, la NBA è quella connotata dal logo probabilmente più riconoscibile. Una silhouette di un giocatore bianca circondata dal rosso e dal blu, tanto semplice quanto d’effetto, diventata nei decenni anche un’icona dello street fashion. E quella silhouette tanto in vista appartiene ad un uomo: Jerry West, soprannominato non a caso “The logo”. Logo che tra l’altro proprio nella prossima stagione sarà proposto in versione speciale per i 75 anni della lega.
The evolution of the NBA logo 👀 pic.twitter.com/LI2tjOMFYq
— Fadeaway World (@FadeawayWorld) July 25, 2021
In attività dal 1960 al 1974, West ha dedicato la sua carriera da giocatore ai Los Angeles Lakers, con i quali ha vinto il titolo nel ’72. La sua storia è ricca di grandi cifre e record indelebili, ma anche di molte sconfitte: è infatti il giocatore ad aver perso più finali NBA nella storia, otto. Non a caso, nel 1969 è diventato il primo e fino ad oggi l’ultimo a vincere il premio di Finals MVP militando nella squadra sconfitta. Insomma, una carriera da 27 punti, 5.8 rimbalzi e 6.7 assist di media tanto di successo quanto sofferta.
I successi al college, i primi passi in NBA
Terminata l’esperienza del liceo, nel 1956 praticamente tutti i college più importanti degli Stati Uniti provarono a reclutarlo. A spuntarla fu l’Università di West Virginia, dove militò fino al 1960. Qui ottenne una lista incredibile di riconoscimenti individuali, ma anche le prime sconfitte pesanti. Prima tra tutte quella rimediata nel 1959 contro l’università di California, in finale. In ogni caso, nel 1960 arrivò al Draft NBA come uno dei prospetti più interessanti che si fossero visti in quegli anni e i Minneapolis Lakers lo selezionarono con la scelta numero 2. Lakers che di lì a breve si sarebbero trasferiti proprio a Los Angeles.
Sorte che ha dunque legato indissolubilmente i destini della città di L.A. e di Jerry West, che è diventato così il primo giocatore scelto al Draft nella storia cestistica dei californiani. L’ambientamento in NBA però non fu immediato, nonostante la squadra allora capitanata da un’altra legenda, Elgin Baylor, avesse assunto proprio l’allenatore di West Virginia. La svolta arrivò infatti nella sua seconda annata in gialloviola, quando Baylor fu impegnato a lungo con l’esercito a stelle e strisce e West crebbe considerevolmente per sopperire al vuoto lasciato dal leader dei suoi. Da allora i due andarono a formare la coppia soprannominata “Mr Outside and Mr Inside“, viste le caratteristiche più perimetrali dell’astro nascente e quelle di giocatore in post di Baylor.
Al suo secondo anno nella lega West si era trasformato immediatamente in un leader tanto tecnico quanto mentale, in grado di mantenere 30 punti di media e di segnare con costanza tiri decisivi. Abilità valsa l’ulteriore soprannome di “Mr Clutch“.
Clutch Finals Steals…
Jerry West intercepts the inbounds pass and scores on the other end as times expires, helping the Lakers win Game 3 of the 1962 #NBAFinals! pic.twitter.com/7z9eCCh4ip
— NBA (@NBA) July 19, 2021
In quegli anni la coppia perse ben quattro finali NBA: 1962, 1963, 1965 e 1966. Tutte contro i Boston Celtics, con i quali nacque quella che ancora ad oggi rimane probabilmente la rivalità più nobile di tutta la lega. Nel frattempo, però, Jerry West stava diventando sempre più stella assoluta di quei Lakers, mantenendo 31 punti segnati di media sia nel ’65 che nel ’66.
Gli anni della maturità e del successo
Alla fine degli anni ’60 Jerry West vive l’apice della sua carriera. Anni che lo iscrivono indelebilmente nel firmamento delle stelle dei Lakers in primis e della pallacanestro poi, della cui Hall of Fame fa parte ufficialmente dal 1980. Dopo un’annata da infortunato nel 1966/67, West trascina i suoi nuovamente alle Finals nel 1968, solo per essere battuti per la quinta volta dai Boston Celtics.
La squadra del Massachusetts ha evidentemente un’arma in più, si tratta dell’intramontabile vincente Bill Russell. Il centro che per primo ha reso grande e storica la franchigia di Boston. Dopo cinque cocenti sconfitte, allora, a Los Angeles decidono di andare all-in e di ottenere tramite scambio l’altro centro che in quegli anni stava dominando la lega: Wilt Chamberlain.
Così, nel 1969 si ripropone per la sesta volta in otto stagioni la finalissima Lakers-Celtics, pronta ad essere più epica che mai. West parte subito fortissimo, e con 53 punti segnati, forte anche della presenza di Chamberlain sul parquet, trascina i suoi alla vittoria in gara 1. Anche gara 2 va ai losangelini, con altri 41 punti segnati da Mr Clutch. Trasferitasi a Boston, la serie torna subito in mano ai Celtics, che si portano sul 2-2. West appare chiaramente esausto, dopo la corsa playoff e una stagione da 26 punti e 7 assist di media. Gara 5 però lo vede nuovamente incisivo, quando con 39 punti porta i suoi alla vittoria. La stessa notte però gli costa caro nell’economia della serie, perché su un tuffo sul pallone a partita praticamente decisa si fa male al tendine del ginocchio ed esce dal campo zoppicando. Zoppicante segna solo 26 punti in gara 6, mentre anche Chamberlain viene fermato a soli 8 punti segnati. Tutto si decide allora in gara 7. Padroni di casa, i Lakers provocano i Celtics accogliendoli in un palazzetto già decorato a festa. La serata però si instrada su binari tremendamente negativi e Boston rimane in vantaggio per larghi tratti della partita. I Lakers trascinati da Jerry West si riavvicinano sul finale, ma la fatica accumulata dal loro leader costa infine l’ennesima finale persa per mano degli eterni rivali. Con la polvere in bocca, l’ormai veterano chiude gara 7 con una tripla doppia da 42 punti, 13 rimbalzi e 12 assist. E poco dopo viene insignito del premio di Finals MVP nonostante la sconfitta dei suoi, caso rimasto un unicum nella storia della NBA. Inoltre, in questa serie Jerry West ha segnato almeno 40 punti in quattro gare diverse, e ad oggi solo altri cinque sono riusciti a replicarlo con almeno tre gare da 40 punti nelle stesse finali (Rick Barry ’67, Michael Jordan ’93, Shaquille O’Neal ’00, LeBron James ’15 e Giannis Antetokounmpo ’21).
Infine, per ridere, proprio nel 1969 la NBA adottò il suo nuovo logo.
🔥 TUTTI gli #NBAFinals MVP dalla J di Jerry West nel 1969 alla K di The Greek Freak del 2021!#NBA | #ThatsGame pic.twitter.com/evlnCaJcCd
— NBA Italia (@NBAItalia) July 24, 2021
Nel 1970 arrivò al poi a vincere lo Scoring Title per aver mantenuto la media punti più alta della lega: 31 a notte. Anche in quella stagione, però, West si dovette arrendere alle Finals, ai New York Knicks. Dopo aver mancato l’appuntamento con l’ormai casalingo ultimo atto della stagione nel 1971, nell’anno successivo, il 1972, i Lakers di un Jerry West ormai non più protagonista assoluto riuscirono finalmente salire sul tetto della NBA, interrompendo una serie negativa di sette finali perse nel giro di undici stagioni. Nel 1974, infine, The Logo abbandonò il basket giocato dopo la sua ottava finale persa nel 1973, nuovamente per mano dei New York Knicks.
I successi clamorosi da dirigente e la sua eredità
Appendeva così la casacca gialloviola al chiodo l’allora miglior realizzatore di sempre della franchigia, forte di un titolo NBA e di un premio di Finals MVP, incredibilmente non raggiunti nello stesso anno. Ma non solo, West fu infatti selezionato per 14 volte come All-Star, 12 nei primi due quintetti All-NBA e 5 nei migliori quintetti difensivi su 5 da quando il riconoscimento era stato istituito. West è ad oggi il giocatore con la media punti più alta di sempre in una serie playoff, 46.3, e con più partite da almeno 40 punti segnati nelle Finals, 10.
Today is Hall of Famer Jerry West's 82nd birthday.
In 14 seasons as a player with the Lakers, West averaged 27.0 PPG, was a 14-time All-Star and won an NBA title in 1972.
As an executive, he was a part of 8 NBA Championships with the Lakers & Warriors. pic.twitter.com/zJI8vJjJY7
— ESPN Stats & Info (@ESPNStatsInfo) May 28, 2020
Ritiratosi, dopo tre anni sulla panchina dei Lakers passò dietro alla scrivania, da dove fu l’artefice dei cinque titoli della Los Angeles dello Showtime degli anni ’80. Quella Los Angeles rampante, fatta di un gioco spettacolare e accattivante e di un palazzetto sempre ricolmo di stelle di Hollywood: un fenomeno insomma diventato culto assoluto. Infine, West ha anche posto le basi per i tre titoli di fila vinti dai Lakers tra il 2000 e il 2002, scambiando Vlade Divac per la scelta al Draft valsa Kobe Bryant e assumendo coach Phil Jackson.
Non soddisfatto, è passato poi per alcuni anni per i Memphis Grizzlies e per i Golden State Warriors. Nella Baia arrivò nel 2011. dove divenne uno degli artefici di un’altra dinastia indimenticabile, quella della saga di Steph Curry e degli “Splash brothers“.
Insomma, al di là delle tante sconfitte subite in finale da giocatore, Jerry West è indubbiamente una delle figure più importanti e vincenti della storia della pallacanestro americana. Come il capitano del Milan Paolo Maldini spesso racconta di se stesso, infatti, i più grandi vincenti sono spesso anche grandi perdenti. Ma per poterle perdere, le finali, bisogna anche saperci arrivare. E la storia di West dimostra come le NBA Finals siano state il suo terreno di caccia, da giocatore come da dirigente.
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Mondiale per Club: León out, sfida LAFC-Club América

È ufficiale: il Club León non prenderà parte al prossimo Mondiale per Club 2025. Il TAS di Losanna ha respinto il ricorso presentato dal club messicano.
Club León escluso
L’esclusione del Club León dal Mondiale per Club è quindi effettiva. Questo conferma quanto detto dalla Federazione Internazionale per violazione delle norme sulla multiproprietà. Una sentenza che mette fine a mesi di attesa e incertezza. E in aggiunta apre le porte a uno scontro diretto tra due club nordamericani per conquistare l’ultimo slot disponibile.
Il caso nasce a marzo, quando la Commissione di Appello della FIFA aveva escluso sia il León che il Pachuca dalla competizione. Entrambi i club appartengono al Gruppo Pachuca. Il regolamento vieta la presenza di più squadre della stessa proprietà in un torneo FIFA. Un principio chiaro, quello dell’articolo 10.1, che tutela l’integrità della competizione.
Per il Mondiale per Club: sarà sfida tra LAFC e Club América
Nonostante i ricorsi discussi lo scorso 5 maggio davanti al Tribunale Arbitrale dello Sport, il verdetto è stato netto. Il collegio arbitrale – composto da Roberto Moreno, Massimo Coccia e Daniel Cravo Souza – ha confermato quanto già deciso dalla FIFA. Il Club León resta fuori. Il Pachuca, invece, potrà prendere parte al torneo in quanto miglior classificato tra i due.
E ora? La FIFA è pronta a rimpiazzare il León con una nuova squadra. Non ci sarà una semplice nomina, ma un vero e proprio spareggio. Il Los Angeles FC, finalista della Concacaf Champions League 2023, e il Club América, miglior squadra del ranking FIFA per club della regione. I due club si sfideranno in un playoff che deciderà chi parteciperà al nuovo format del torneo.
Il Mondiale per Club 2025, in programma negli Stati Uniti dal 14 giugno al 13 luglio, vedrà coinvolte 32 squadre da tutto il mondo. L’Italia sarà rappresentata da Inter e Juventus. Ma intanto, in attesa dell’annuncio ufficiale, occhi puntati su questo inedito duello nordamericano. Solo una andrà negli USA.
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Roma, Dybala: “L’infortunio ai Mondiali fu davvero tosto. Pinto voleva darmi la 10 della Roma. Arabia? Dico questo…”

Paulo Dybala è stato intervistato in esclusiva Sport Illustrated dove ha discusso del suo infortunio e di alcuni retroscena circa il suo approdo alla Roma.
A seguire l’intervista completa di Dybala
Roma, le parole di Dybala
Sulla finale dei Mondiali:
“Sapevo che Scaloni mi aveva mandato in campo solo per calciare il rigore. La pressione era immensa, perché o sei un eroe o un cattivo e se sbagli, tutti ti ricorderanno per aver giocato due minuti e aver sbagliato il rigore”.
Sull’infortunio:
“Ero alle prese con un infortunio e mi mancavano cinque partite. Non volevo sprecare un solo giorno senza poter recuperare. Così, quando ho saputo l’entità del mio infortunio, ho parlato con le persone che lavoravano con me. Abbiamo formato un gruppo e ci siamo detti che dovevamo trovare un modo per recuperare il più velocemente possibile. Intendo quali macchinari andavano utilizzati usare, che dieta seguire? Abbiamo lavorato su tutto. Dormivo con un macchinario per essere pronto e ne avevo quattro a casa. Li usavo quotidianamente. Ci stavamo allenando negli Emirati Arabi Uniti e ricordo che l’allenatore fece un discorso dicendo che avrebbe personalmente informato tre giocatori che non sarebbero stati inclusi nella lista finale perché avrebbe dovuto prendere solo 26 giocatori. Quando quel discorso finì, sapevo che avrei potuto essere uno di quei tre. Ero nervoso, pensavo di non essere all’altezza. Poi, l’ho visto camminare verso di me e ho pensato: “Sono fuori”. Ma lui è venuto da me e mi ha detto: “Allenati con calma, tu resti”. Credo di aver perso due o tre chili in quel momento. È stata una gioia personale immensa perché ho sentito che tutti gli sforzi e i sacrifici fatti per un mese – essendo stato meticoloso in ogni piccolo dettaglio – erano stati ricompensati. Sapevo quanto fosse alta la posta in gioco ed eravamo tutti convinti al 100% di poter vincere la Coppa del Mondo”.

L’URLO DI DOLORE DI PAULO DYBALA ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Sulla partita contro il Messico ai Mondiali.
“Vincere contro il Messico è stato uno dei momenti più importanti che ci ha dato una spinta di fiducia. Quando Leo ha segnato, e poi Enzo ha chiuso la partita, sapevamo che ci saremmo qualificati perché eravamo sicuri di vincere contro la Polonia. Il calcio è pazzesco, perché anche ai Mondiali in Russia ho fatto la mia prima apparizione contro la Croazia. Quella partita fu diversa perché eravamo sotto 2-0, mentre questa volta eravamo in vantaggio e mi sono divertito un sacco. Quando sei lì e vedi che non c’è stata nessuna partita, pensi solo: questa è nostra”.
Sulla chiamata di José Mourinho:
“In quel momento mi sentivo davvero strano: l’incertezza di non sapere dove avrei giocato, cosa sarebbe successo o se avrei dovuto lasciare l’Italia, che è praticamente diventata casa mia. Sono qui da 12 o 13 anni ormai e, onestamente, probabilmente conosco l’Italia meglio dell’Argentina a questo punto. Ricordo che all’epoca volevo aspettare un po’, prendermi una pausa. Ero a Torino, a casa. Un giorno, uno dei miei procuratori venne da me e mi disse che Mourinho voleva parlarmi. Certo, Mourinho è speciale: è un allenatore che ha vinto tutto, una persona unica. Non potevo ignorare la sua chiamata. Ma sapevo che mi avrebbe convinto, ed è per questo che ho voluto aspettare. La prima volta abbiamo solo avuto una bella chiacchierata, è stata una lunga conversazione, ma non ha fatto pressione per ottenere una risposta immediata. Ma il giorno dopo voleva richiamarmi, così gli ho detto di darmi qualche ora per parlare con la mia famiglia e mia moglie. Ho parlato con loro e con la mia squadra e, una volta presa la decisione di unirmi alla Roma, gli ho mandato un messaggio dicendogli: ‘A presto’. E con quello abbiamo concluso l’affare”.
Poi il retroscena su Tiago Pinto:
“Poi ci siamo incontrati con Tiago Pinto nell’ufficio che avevamo a Torino. Si è presentato con la maglia numero dieci. Totti è stato il numero dieci della Roma ed è stato amatissimo dalla gente. Per quello che rappresenta per questa città. ovviamente ho pensato non fosse il momento adatto per fare una cosa del genere. Nessuno l’ha indossata dopo di lui. Ero appena arrivato e nonostante venissi da un club come la Juventus dove indossavo quel numero, risposi a Pinto: ‘Tiago grazie, è un onore per me, ma per rispetto preferisco indossare il numero 21′”.
Sulla presentazione al Colosseo Quadrato:
“Prima di uscire potevo vedere la situazione da dentro ed è stata una delle poche volte nella mia vita in cui le gambe mi tremavano un po’. Vivere quello, ok, giochiamo a calcio davanti a 50.000 o 60.000 persone, ed è normale. Ma loro vengono per vedere uno spettacolo, per vedere la partita, siamo 22 in campo, con gli allenatori, tutto lo spettacolo. Ma in quel momento, la folla era lì solo per me. Non mi aspettavo un’accoglienza del genere, non avevo mai visto una cosa del genere. I tifosi mi hanno davvero sorpreso. È stato qualcosa di bellissimo, un momento unico nella mia vita e nella mia carriera. E in quel momento, ho capito che avrei dovuto lavorare il doppio per restituire tutto l’amore che mi avevano dimostrato quel giorno”.
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Sampdoria: possibile colpo di mercato dai rivali

Sampdoria-Genoa: Da rossoblu a blucerchiato, nuovo colpo Samp in vista del mercato estivo. Con un passato anche al Milan. Ecco di chi si tratta:
Da rossoblù a blucerchiato: questo potrebbe essere il destino di Junior Messias. Dopo aver trascorso gli ultimi due anni sull’una delle due sponde di Genova, l’esterno offensivo brasiliano potrebbe cambiare gradinata una volta riaperto il calciomercato, passando così dalla parte del Grifone a quella della Gradinata Sud.
Stando ai vari rumors, mentre la squadra lotta con ogni mezzo possibile per evitare una storica retrocessione, la dirigenza ha già iniziato a pianificare il futuro. Il tutto senza però distogliere l’attenzione dalla delicata situazione attuale della Doria, che — come ampiamente pronosticabile — farà di tutto per evitare che una simile stagione possa ripetersi.
È notizia delle ultime ore che proprio la dirigenza blucerchiata sarebbe sulle tracce dell’ex Milan Junior Messias. Un esterno tecnico, dotato di grande esperienza anche a livello internazionale, che rappresenta un profilo interessante per una squadra in cerca di rinforzi.
Reduce da una stagione trascorsa ai box e animato da una forte voglia di riscatto, oltre al fatto che attualmente si trova in scadenza di contratto, l’esterno brasiliano — con un passato anche al Crotone — si candida come profilo ideale per rilanciare le speranze di promozione della Sampdoria.

Milan’s Junior Messias portrait during friendly football match LR Vicenza vs AC Milan at the Romeo Menti stadium in Vicenza, Italy, August 06, 2022 – Credit: Ettore Griffoni
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