Esteri
La rinascita del Leicester: tutti i dati di una stagione da record
Dopo Claudio Ranieri, c’è la mano di un altro allenatore italiano (Enzo Maresca) dietro alla rinascita del Leicester City.
L’ultima decade è stata un sogno a occhi aperti per i tifosi del Leicester. 3 trofei (1 Premier League, 1 F.A. Cup e 1 Community Shield) in 8 anni: tanti quanti ne aveva vinti nei precedenti 129 anni di storia.
Un periodo storico sublimato da due quinti posti consecutivi e da due risultati internazionali di tutto rispetto, come i quarti di finale di Champions League del 2017 o la semifinale di Conference League del 2022.
In generale, la sensazione che il piccolo Leicester si fosse inserito stabilmente nell’establishment della Premier League era sentimento diffuso oltremanica. Poi, però, il crollo. Il baratro della retrocessione. Il fondo toccato e poi la rinascita.
La genesi del “miracolo Leicester“
Sotto l’egida illuminata della famiglia Srivaddhanaprabha, proprietaria della AFI (acronimo che sta per Asian Football Investments), il Leicester passò ben presto dall’essere una squadra di periferia, che galleggiava mestamente a metà classifica in Championship senza aver mai avuto particolari velleità nella massima serie, all’essere una delle squadre più forti d’Inghilterra.
Il Leicester tornò in Premier League (dieci anni dopo l’ultima volta) nel 2014, appena quattro anni dopo il passaggio di proprietà avvenuto nell’Agosto del 2010. In tutta la sua storia, il Leicester City aveva militato appena otto stagioni in Premier League. Il record di stagioni consecutive nella massima serie inglese è di sette anni consecutivi senza retrocedere. (1996-2002)
Il periodo storico a cavallo fra i due secoli fu sicuramente il migliore dell’era pre-thailandese. La squadra di Walsh (che mantiene l’epiteto di “capitano” tutt’oggi, quando viene intervistato dai media locali). Di Izzet. Di Lennon. Di Savage. Di Matt Elliott (altro storico capitano) e del giocatore più iconico del Leicester di quel periodo, ovvero Emilie Heskey.
Una squadra capace di giocare tre finali di League Cup (la moderna Carabao Cup) in quattro anni, vincendone due. Record di “sopravvivenza” alla massima serie poi battuto proprio dalla nuova proprietà, che tenne il Leicester per nove anni consecutivi in Premier League. (dal 2014 al 2023)
Dal Paradiso all’Inferno
Il punto più alto dell’ultima decade nella contea del Leicestershire è stato sicuramente il titolo vinto nel 2016, sotto la guida di un altro italiano ovvero Sir Claudio Ranieri. Un’impresa dai contorni fiabeschi, fin troppo romanzata, e che ha strappato agli storici rivali del Nottingham Forest e dell’Aston Villa il titolo (molto sentito a quelle latitudine) di miglior squadra dell’East Midlands.
Nessuno lo sapeva ancora all’epoca ma quel successo fu l’inizio della fine per il Leicester. Come ammetteranno gli stessi proprietari del club diversi anni dopo, quello del Leicester era un progetto a lungo termine e non contemplava di vincere la Premier League già al secondo anno.
Il board dirigenziale si fece trovare impreparato, preso alla sprovvista anch’egli dalla vittoria del 5000 a 1, e commise diversi errori. Il boom del brand Leicester obbligò il management delle foxes a spese non preventivate, onde mantenere il livello di competitività della squadra alto, e le casse societarie non ressero sul lungo periodo alla dura legge del capitalismo calcistico.
Ci sono due cose che sono sovente ripetere come un mantra ogni volta che parlo del Leicester. In primis, parlo sempre di “impresa” e mai di “miracolo“. Reputo sia una parola inflazionata nel dibattito calcistico, al pari di fallimento, e che svilisca il lavoro fatto riducendolo a un mero esercizio divino.
I miracoli, nella storia dell’uomo, li ha fatti uno solo. Tutti gli altri hanno fatto “solo” un ottimo lavoro. In secundis, le vittorie nel calcio non si possono prevedere ma si possono programmare. E le vittorie arrivate senza una previa e adeguata programmazione portano in sé i semi della propria distruzione.
La situazione societaria venne aggravata dal drammatico incidente del 27 Ottobre 2018, quando l’aereo privato del presidente Vichai si schiantò dopo la partita fra Leicester e West Ham. La morte del presidente, autore del progetto Leicester, fu un durissimo colpo non solo a livello umano ma anche per la stabilità societaria del club.
“I figli non sono padri” e Top Srivaddhanaprabha è la lapalissiana dimostrazione di quanto il concetto di eredità sia sbagliato, oltre che l’anti-meritocrazia per antonomasia. Il figlio di Khun ha commesso diversi errori, fra tutti l’eccessiva indulgenza nei confronti di Brendan Rodgers.
Leicester, la Rinascita con Maresca
L’ultima stagione in Premier League delle foxes, culminata con il declassamento di categoria, è stata contraddistinta da debiti milionari e da un mercato bloccato a causa del FFP inglese. Eppure, nonostante tutto, la sensazione è che il disastro si sarebbe potuto evitare.
Da quando esiste la Premier League, mai nessuna squadra era retrocessa subito dopo aver passato cinque stagioni consecutive nelle prime dieci posizioni della classifica. Il materiale umano a disposizione di Rodgers era ampiamente sufficiente per evitare la retrocessione, come dimostra il regno del terrore che le foxes hanno istituito al loro ritorno nella cadetteria.
Un anno prima di salutare la Premier League, il Leicester strappava ai campioni d’Inghilterra del Manchester City il Community Shield (l’equivalente inglese della nostra Supercoppa Italiana) e si arrendeva in semifinale di Conference soltanto davanti alla Roma di Mourinho, poi campione della competizione.
Come possa, nel giro di dodici mesi, una squadra passare dalle stelle alle stalle rimane un mistero, considerando che i giocatori rimasero bene o male gli stessi dell’anno prima. E’ un mistero (per non dire un’ingiustizia) anche come sia stato possibile permettere all’Everton l’iscrizione al campionato.
I toffes, che si sono salvati proprio a discapito della Blue Army, erano da anni sotto la lente d’ingrandimento della Premier League per le loro ripetute violazioni del FFP inglese. Tanto che, nel Novembre di quest’anno, sono stati trovati colpevoli e penalizzati di dieci punti. Provate a immaginare la frustrazione del Leicester, retrocesso (anche) per aver rispettato le regole e aver espiato le colpe legate ai propri debiti.
Il Leicester è una squadra di medio-alta classifica di Premier League che si è ritrovata in Championship quasi per caso. Non lo dico io ma la stragrande maggioranza dei quotidiani inglesi. Senza contare che questo mantra viene sistematicamente sciorinato dai tecnici delle squadre avversarie in conferenza stampa, prima e dopo il confronto con le volpi.
“Il Leicester City è il Manchester City del Championship” è il suggestivo paragone che riempie i social d’oltremanica. “Le squadre della seconda divisione arrivano al King Power Stadium con il solo obiettivo di limitare i danni” è l’epitaffio maggiormente in voga nell’internet inglese.
Dando uno sguardo ai numeri della squadra di Maresca, sembra essere veramente così. A Dicembre il Leicester ha sei punti in più dell’Ipswich secondo e addirittura tredici in più del Leeds (anche loro retrocessi dalla Premier League la scorsa stagione) terzo, nonché primo della zona playoff.
Le foxes hanno 58 punti dopo 23 partite, frutto di una media impressionante e superiore ai 2,5 punti per partita. Un trend che rasenta la perfezione e che, se dovesse essere perpetrato sino a fine stagione, porterebbe il Leicester a finire il campionato con 116 punti. Il record assoluto, in tal senso, è del Reading, che nella stagione 2005-2006 ne fece 106: quindi dieci in meno.
Nella lista dei 26 giocatori che il Leicester ha presentato alla FA per l’iscrizione al campionato, ben 17 di questi hanno giocato in Premier League: il 65%. Un dato che corrobora ulteriormente la tesi secondo la quale le foxes siano in Championship solo di passaggio. L’anno prossimo, salvo improbabili cataclismi, tornerà in Premier League e lo farà con un allenatore italiano.
L’ultima volta andò discretamente bene. Come l’araba fenice, il Leicester è risorto dalle proprie ceneri. Perché solo dopo aver toccato il fondo si può risalire in superficie. Il calcio inglese è avvisato. Leicester is coming back.
Premier League
Crisi Manchester City: il San Marino li prende in giro
Dopo l’ennesima sconfitta in Premier League del Manchester City la pagina ufficiale della Nazionale del San Marino ha voluto commentare in maniera ironica.
Il Manchester City non riesce ad uscire dalla crisi, anzi. Ieri sera all’Etihad i Citizens sono stati battuti per 4-0 dal Tottenham, in una gara che è stata a senso unico sin dall’inizio.
Per Guardiola si tratta della terza sconfitta consecutiva in Premier League. Un momento nero da cui, per il momento, non sembra esserci fine.
Il tweet della Nazionale di San Marino
La crisi di risultati del Manchester City sta sorprendendo in molti, e c’è chi chi ci ha voluto scherzare su. I Citizens hanno pubblicato un post sul loro profilo di X con il risultato del match (0-4). Subito dopo è arrivato il commento della Nazionale di San Marino che, come si direbbe in gergo, ha trollato il club inglese in questo modo:
Premier League
Haaland, la macchina di gol si è ingolfata: tutti i dati
La crisi del Manchester City sta anche nella scarsa vena realizzativa di Haaland, fermo dalla rete segnata all’Arsenal a Settembre.
C’è un pre e un post-infortunio di Rodri nella stagione del Manchester City e questo è sotto lo si sapeva già, è sempre stato sotto gli occhi di tutti. Tuttavia, nel giorno dell’infortunio dello spagnolo (22 Settembre, nel pari casalingo 2-2 contro l’Arsenal) c’è stato anche un evento che però è passato quasi inosservato.
“Stay humble Erling, eh, stay humble“
Non in Inghilterra, però, dove “stay humble Erling, stay humble” è diventato quasi un mantra. Una frase che si riferisce all’alterco avuto da Mikel Arteta (tecnico dei Gunners) e lo stesso centravanti norvegese, al termine della sopracitata partita “decisa” da un colpo di testa di John Stones al 98esimo. In quell’occasione l’attaccante ex-Borussia Dortmund avrebbe rivolto la fatica frase (“Stay humble“, “rimani umile“) al tecnico spagnolo.
In una concezione karmica dell’universo, che appartiene più al misticismo calcistico che alla realtà, quella frase si è ritorta contro ad Haaland come un boomerang. Infatti, da quel momento in avanti, lo scandinavo ha segnato soltanto due reti in Premier League su sette partite disputate. Non sarebbe corretto dire che Haaland si sia fermato del tutto, ma è un rendimento che stride sicuramente con quello di inizio stagione.
Haaland aveva iniziato la stagione segnando 10 gol nelle prime 5 partite (media esatta di due reti a partita) ed era ovvio che non potesse continuare su questi ritmi per tutto il campionato, ma due soli reti segnati in sette partite (una media inferiore a 0,3 reti per partita) sono troppo pochi per un giocatore del suo calibro. Non è solo un discorso di cifre, ma anche di statistiche. Che, spesso e volentieri, trasformano la percezione in realtà.
Erling Haaland has scored 2 goals from 8.03(xG) in the Premier League since telling Mikel Arteta to stay humble.
— The xG Philosophy (@xGPhilosophy) November 23, 2024
Haaland, rendimento da incubo…ma solo nel City
Spesso e volentieri si sente dire di un centravanti che non segna che “non gli arrivano palloni giocabili“. Nel caso di Haaland, anche perché gioca in una delle squadre con la miglior produzione offensiva del mondo, non è certo vero. Le due sopracitate reti segnate dal norvegese sono arrivate con trentasei conclusioni, di cui quindici di queste dirette verso la porta. Inoltre, durante questo periodo, i suoi xG erano dello 8,03.
Il conto è presto fatto. Nelle ultime sette partite, il tasso di conversion rate (vale a dire la statistica che misura l’efficienza delle reti segnate in base alle occasioni avute) è stato del 75% inferiore alle aspettative. Chi guarda le partite degli Sky Blues si è reso conto che Haaland sbagli qualche gol di troppo, eppure il problema non sembra unicamente riconducibile al suo stato psico-forma ma alla salute della squadra.
Questo perché, durante la sosta per le nazionali, Haaland si è aggregato alla Norvegia e ha segnato quattro gol in due partite. Contro due avversari non irresistibili come Slovenia e Kazakistan, certo, ma anche in una squadra dalla produzione offensiva estremamente meno qualitativa di quella in cui gioca solitamente. Un dato che deve far riflettere, in vista del prossimo scontro diretto contro il Liverpool.
Saudi Pro League
Al Nassr dopo Ronaldo arriva un altro portoghese in campo
Al Nassr inarrestabile. Per eccellere su tutti i campi, anche quello digitale, punta al meglio sul mercato. Ingaggia il campione di Esports Jafonso.
Il club saudita punta anche sul gaming competitivo. Insieme a Mkers, la prima Join Stock Company italiana nell’Esport Business e leader internazionale nel gaming competitivo giocano una coppia d’assi portoghese.
L’ingresso trionfale del club saudita negli Esports
Mossa vincente l’ingaggio della stella portoghese João Afonso Vasconcelos, conosciuto in tutto il mondo come Jafonso e campione della Coppa del mondo Esports FC24.
In questo modo l’Al Nassr unisce due campioni portoghesi sotto lo stesso simbolo: Cristiano Ronaldo e Jafonso, l’FC PRO numero uno al mondo.
La partnership tra l’Al Nassr e Mkers
Secondo Guido Fienga, amministratore delegato del club saudita: “È un passo importante per continuare lo sviluppo in un nuovo campo di gioco molto apprezzato dai nostri tifosi.”
Per questo il club si è affidata a Mkers e insieme hanno scelto Jafonso.
Dichiara Luca Beccaceci, CEO di Mkers “Essere scelti da un club di questo livello per costruire insieme una divisione Esports è sia un onore che una responsabilità. Questa partnership va oltre la semplice collaborazione; incarna una visione condivisa per ridefinire il settore del gioco competitivo.”
E garantisce “Lavoreremo insieme per consolidare questo progetto e renderlo un punto di riferimento globale”.
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