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Motta e Giuntoli bocciano mezza squadra: ma non era Allegri che non riusciva a valorizzare la rosa?

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Allegri

Alle possibilità sopite della rosa della Juventus, che quell’incapace di Allegri non era capace di far emergere, pare non credere neppure Motta.

La Juventus è forte. E ha un’ottima rosa. E’ competitiva e deve giocarsela alla pari dell’Inter, o comunque mal che vada finirle subito dietro. Quante volte avete sentito questo refrain la scorsa stagione? Tante, tantissime. Non dalla società, che ovviamente era la prima a essere consapevole della mediocrità dell’organico a disposizione di Massimiliano Allegri. E infatti, alla prima occasione utile, Cristiano Giuntoli sta facendo tabula rasa.

Titolari con Allegri, inadatti con Thiago Motta

Szczęsny; McKennie; Milik; Kostic; Rugani; De Sciglio; Nicolussi Caviglia; Arthur; Djalò; Chiesa più i giovani della Next Gen Barbieri e Nonge. Questo è l’elenco completo degli “epurati” bianconeri. In totale la Juventus ha dichiarato fuori dal proprio progetto tecnico circa 122 milioni di giocatori, fonte Transfermarkt.

Di seguito, la lista completa:

  • Chiesa: valore di mercato 35 milioni di euro.
  • Szczęsny: valore di mercato 6 milioni di euro.
  • McKennie: valore di mercato 28 milioni di euro.
  • Milik: valore di mercato 6 milioni di euro.
  • Kostic: valore di mercato 6,5 milioni di euro.
  • Rugani: valore di mercato 4 milioni di euro.
  • De Sciglio: valore di mercato 1 milione di euro.
  • Nicolussi Caviglia: valore di mercato 3 milioni di euro.
  • Arthur: valore di mercato 15 milioni di euro.
  • Djalo: valore di mercato 12 milioni di euro.
  • Barbieri: valore di mercato 2 milioni di euro.
  • Nonge: valore di mercato 3 milioni di euro.

Certo è difficile spiegare ai dirigenti di una squadra che McKennie o Arthur valgano tutti quei soldi “perché lo dice Transfermarkt“, ma del resto questo era il metro di paragone che gli anti-Allegri utilizzavano per avvalorare le loro ridicole tesi. Ergo: una fonte o vale sempre oppure non vale mai. In sintesi, la premiata ditta Giuntoli-Motta ha dichiarato incompatibili con la propria restaurazione tecnica 10 giocatori della prima squadra su 24: praticamente metà squadra.

E non parliamo di elementi marginali della rosa, considerando che (se si eccettuano Barbieri e Arthur, che hanno trascorso l’ultima stagione in prestito in altre squadre, e Djalo, arrivato a Gennaio senza giocare neppure un minuto) tutti questi giocatori assieme hanno trascorso un totale di 13.457 minuti on the pitch. Arrivare in Champions League e vincere una Coppa Italia con una squadra composta per lo più da calciatori non ritenuti idonei al proseguimento del progetto tecnico, è o non è un miracolo sportivo?

Juventus-Chiesa

(FOTO DI SALVATORE FORNELLI)

Chiesa è l’emblema di una Juventus mediocre

Soprassediamo sulla querelle Djalo. Acquistato lo scorso Gennaio (infortunato) per soffiarlo all’Inter, quando Allegri si stracciava le vesti chiedendo Pereyra o Bonaventura. Non Modric o Kroos eh. E adesso finito fuori squadra, in quanto reputato non all’altezza da Thiago Motta. Anzi no, reintegrato perché Todibo è andato al West Ham. Quindi resta, con Kalulu preso per fare il vice-Danilo. Quando si dice avere le idee chiare…

Chiesa, poi, è lo specchio di una Juventus avviluppata attorno alla propria mediocrità. Giocatore deificato ogni oltre suo merito sportivo. In particolare dall’opinione pubblica: tifosi, anti-Allegri di professione o pseudo-commentatori di sorta, che agitavano nell’etere le loro torce e i loro forconi accusando il tecnico labronico di non saper valorizzare un fuoriclasse. Sei mesi dopo Chiesa è stato messo fuori rosa dal nuovo allenatore.

Almeno con Allegri in panchina ci andava, sebbene la Juventus girasse molto meglio con Milik o Kean (o tutti e due) al fianco di Vlahovic. Già, Vlahovic. Anche per lui sono finiti gli alibi. Sebbene incontrare Max sia stata la miglior cosa che potesse capitare al serbo, basti vedere quanto lo ha migliorato come giocatore, nelle menti dei miopi fruitori sportivi aleggia ancora l’alibi dell’ex-Fiorentina che “non segnava per il gioco di Allegri“.

Bene, adesso Allegri non c’è più. E’ arrivato Motta, che “gioca bene” e ha saputo valorizzare Zirkzee: uno dei calciatori più chiacchierati della scorsa Serie A. Poco male se non esiste giocatore più lontano da Vlahovic del neo-acquisto del Manchester United. E l’anno prossimo la Juventus a centrocampo schiererà Douglas Luiz, Thuram e (forse) Koopmeiners. Non Locatelli, McKennie o Cambiaso adattato. Se quella squadra avrebbe dovuto vincere il campionato, allora questa a logica dovrebbe vincere la Champions.

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Quella volta che il Bologna salì sul ‘tetto d’Europa’

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Bologna
Un tempo, in un’epoca ormai sfumata, il Bologna toccò le vette d’Europa, in un calcio lontano dalla modernità e difficile da immaginare oggi.

Era il 6 giugno 1937, e a Parigi si svolgeva l‘Expo Universale. In quell’anno, il Bologna, campione d’Italia, fu chiamato a rappresentare l’orgoglio del calcio italiano in un torneo internazionale.

Bologna

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La funzione dell’Expo, tra potenza e innovazione

Gli Expo, lontani dall’immaginario contemporaneo, erano divenuti una vera e propria “arma culturale” nelle mani della diplomazia e dei ministri degli esteri. I padiglioni allestiti in occasione di questi eventi rappresentavano dei ‘non luoghi’ dove le grandi potenze dell’epoca si confrontavano nei più disparati campi; dall’arte al progresso industriale, fino a toccare anche lo sport.

Le squadre partecipanti e quel temibile Bologna

Le squadre partecipanti erano tra le più blasonate del continente: l’Austria Vienna, secondo in patria e vincitore della Coppa Europa Centrale 1936. Il Lipsia, trionfatore della Coppa di Germania, l’Olympique Marsiglia, campione di Francia, il Phobus Budapest, quarto in Ungheria, lo Slavia Praga, campione di Cecoslovacchia, e il Chelsea, ottavo in Premier League, campionato allora conosciuto come First Division.

L’impresa del Bologna

Giunto alla finale, il Bologna si trovò di fronte proprio gli inglesi, maestri del calcio.  Eppure, quel giorno, i rossoblù sovvertirono ogni pronostico, imponendosi con un netto 4-1, riscrivendo la storia e regalando all’Italia una gloria indimenticabile.

Per l’occasione, il Bologna richiamò in campo Angelo Schiavio, già ritirato per motivi di lavoro, e schierò un formidabile tridente d’attacco. Quella formazione è ormai un ricordo lontano, un frammento di un calcio nostalgico che non tornerà mai più.

Bologna: Ceresoli; Fiorini, Gasperi; Montesanto, Andreolo, Corsi; Busoni, Sansone, Schiavio, Fedullo, Reguzzoni.

Chelsea: Jackson; Barkas, Barber; Mitchell, Craig, Weaver; Spence, Argue, Bambrick, Gibson, Reid.

Un’epoca irripetibile scomparsa tra le pieghe del tempo

Questa vittoria, dimenticata dal tempo, è la testimonianza di un calcio romantico, dove l’orgoglio e l’ amore per la ‘pelota’ contavano più di ogni altra cosa. Un calcio che, purtroppo, si è dissolto nelle pieghe del tempo, lasciandoci solo il dolce ricordo di un’epoca irripetibile.

C’era una volta un calcio diverso, lontano dalla modernità e difficile da immaginare per gli occhi di oggi. Eppure, in un’epoca ormai sfumata, il Bologna riuscì a toccare le vette d’Europa.

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Roma, con De Rossi la peggior partenza dal 2010. E il confronto con Mourinho è impietoso…

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Roma-Empoli, De Rossi

De Rossi, 3 punti in 4 partite. La Roma mai così male dal 2010. Lo spettro di Mourinho torna ad aleggiare funesto a Trigoria.

3 punti in 4 partita. Nessuna vittoria. Pareggi contro Genoa, Cagliari e Juventus. Sconfitta (interna) contro l’Empoli. 4 gol fatti (1 di media a partita) e 7 subiti, per una media di poco inferiore allo 0,9 per partita.

Roma, mai così male dal 2010: il dato

La media punti di De Rossi (0,75) è la peggiore da quattordici anni a questa parte. Per trovare qualcuno che abbia fatto peggio bisogna tornare alla stagione 2010/2011, con Claudio Ranieri in panchina. La Roma in quell’occasione totalizzò appena 2 punti (0,5 di media), segnando 4 gol (gli stessi) e subendone due in più: 9.

Da quel momento i giallorossi hanno iniziato le successive stagioni con otto allenatori diversi. Luis Enrique;  Zeman; Garcia; Spalletti; Di Francesco; Fonseca e Mourinho. Nessuno di questi ha fatto peggio di De Rossi. Nemmeno il tanto vituperato Fonseca, ad oggi ancora sulla graticola dell’opinione pubblica rossonera.

Il tecnico portoghese realizzò 8 punti in 4 partite, media esatta di 2 punti per partita. Frutto di 2 vittorie, 1 pareggio e 1 sconfitta. 8 gol fatti (il doppio) e 7 subiti, gli stessi. Nell’interregno Ranieri-Montella la Roma concluse il campionato al 6 posto, mentre Fonseca chiuse settimo: in linea con i piazzamenti degli ultimi 5 anni.

Roma

De Rossi-Mourinho, il confronto è impietoso

Stringendo il cerchio agli ultimi tre anni, ovvero quelli della gestione Mourinho, il confronto statistico fra i due appare impietoso. Il primo anno (stagione 2021-2022) la Roma di Mourinho totalizzò 9 punti, frutto di 3 vittorie e 1 sconfitta, con 11 gol fatti (quasi il triplo) e 4 subiti: praticamente la metà di quelli subiti da De Rossi.

Il secondo anno (2022-2023) la partenza fu ancor migliore. 10 punti in 4 partite (3 vittorie e di 1 pareggio, a Torino contro la Juventus) con 5 gol fatti (comunque più di De Rossi, tanto celebrato per il suo gioco e la sua proposta offensiva) e uno solo subito. Mourinho ha fatto meglio anche nel suo ultimo anno, quello che poi ha portato al suo esonero e all’avvicendamento con De Rossi, con 4 punti: 11 gol fatti e 6 subiti.

Oggi gli irriducibili sostenitori di “allenator futuro” predicano calma e chiedono tempo. Differentemente dalla scorsa stagione, quando una manciata di partite fu loro sufficiente ad individuare in De Rossi la panacea a tutti i mali (quali?) portati dal portoghese. Siamo solo ai primi exit poll stagionali, ma la differenza fra il preparare una stagione e subentrare in corsa (lucrando sul biennale lavoro altrui) è già tangibile.

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Cristiano Ronaldo: leggenda, padre e uomo

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Saudi Pro League, Cristiano Ronaldo

Scopri il lato umano di Cristiano Ronaldo: la leggenda del calcio, il padre premuroso e le sfide di suo figlio Cristiano Jr. in un mondo che richiede perfezione.

Cristiano Ronaldo è una figura leggendaria, un uomo che ha costruito la sua carriera sulla dedizione al lavoro e una determinazione incrollabile. Per lui, la sconfitta non è mai stata un’opzione facilmente digeribile. La sua vita è una serie di successi ininterrotti, frutto di un impegno costante e di una fame di vittoria insaziabile.

Negli ultimi anni, però, Ronaldo ha mostrato al mondo un lato più umano e sensibile, nascosto per tanto tempo dietro l’immagine dell’atleta invincibile.

 

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Le emozioni di Ronaldo: dalle lacrime alla gloria

cristiano ronaldo

Cristiano Ronaldo during warm up before UEFA Euro 2024 qualifying game between national teams of Portugal and Iceland, Estadio Jose Alvalade, Lisbon, Portugal. (Maciej Rogowski)

Le lacrime versate per l’eliminazione dal Campionato Europeo e quelle di gioia per il traguardo dei 900 gol in carriera rivelano un uomo che, nonostante la sua straordinaria forza, non è immune alle emozioni. Ciò ha dimostrato al mondo che anche una leggenda come CR7 può essere vulnerabile, e che il suo cuore batte forte, proprio come quello di ogni essere umano.

La sfida di essere figlio di Cristiano Ronaldo

Cristiano Jr., a soli 14 anni, è già al centro delle attenzioni mediatiche e pubbliche, non solo per il suo talento emergente, ma anche per il nome che porta. Essere figlio di Ronaldo significa portare sulle spalle un’eredità pesante, un destino che sembra già scritto.

Ronaldo stesso ha riflettuto su questa pressione:

“Cristiano Jr ha solo 14 anni, ma ha già la pressione di essere mio figlio.”

Queste parole racchiudono tutto il peso di un nome che è sinonimo di grandezza. Ogni passo di Cristiano Jr. viene confrontato con quelli di suo padre, e ogni sua azione è giudicata alla luce dei successi incredibili di Ronaldo. È una pressione che può forgiare un giovane uomo, ma può anche spezzarlo se non gestita con cura.

Il lato umano di Ronaldo

Nonostante la sua immagine di atleta implacabile, Ronaldo ha dimostrato di essere un padre consapevole, desideroso di proteggere suo figlio da un peso troppo grande. Ronaldo ha dichiarato:

“Lasciamogli commettere i suoi errori. Se non dovesse diventare un calciatore, potrà fare altro, io lo sosterrò sempre.”

Queste parole rivelano una saggezza che pochi si aspetterebbero da un uomo così dedito alla vittoria. Ronaldo comprende l’importanza di permettere a Cristiano Jr. di trovare la sua strada, senza sentirsi costretto a seguire le orme del padre.

Padre, Mentore e Modello

Nella vita quotidiana, Ronaldo cerca di essere un esempio silenzioso ma potente per i suoi figli. Non impartisce lezioni teoriche, ma li lascia imparare osservando:

“I miei figli sono proprio come me. Non insegno nulla, mi vedono solo come esempio.”

Questa è la bellezza dell’insegnamento di Ronaldo; un esempio vivente di come l’impegno e la passione possano portare al successo, ma anche di come la vittoria più grande sia vivere in modo autentico.

Nel loro tempo libero, Ronaldo e i suoi figli giocano a padel, un momento di competizione amichevole che li aiuta a crescere insieme. Ronaldo ha detto:

“Giochiamo a padel ogni giorno: ci arrabbiamo anche. Ma sono contento perché sia Cristiano Jr sia Matteo sono tipi competitivi.”

Cristiano Ronaldo ha già vinto

Cristiano Ronaldo, un uomo che ha sempre lottato per la vittoria, sta ora combattendo una battaglia diversa: quella di proteggere suo figlio dalle pressioni dell’essere “il figlio di”.

Le sue lacrime, che siano di gioia o di dolore, ci ricordano che anche i più grandi, alla fine, sono esseri umani. In un mondo che spesso richiede perfezione, Ronaldo sta insegnando a Cristiano Jr. che la vera vittoria non risiede nel superare il padre, ma nel trovare la propria strada e vivere autenticamente. In questo, Ronaldo ha già vinto.

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