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Ajax, la rivoluzione di Francesco Farioli

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Italians Do it Better? Dal suo arrivo all’Ajax, Francesco Farioli, ha collezionato 3 vittorie in 3 partite nei preliminari di UEFA Europa League. 

Poco da dire e poco da fare: Francesco Farioli ha già preso in mano l’Ajax. Il tecnico italiano, arrivato quest’estate nei Paesi Bassi, ha subito preso in mano i Lancieri, dando loro un’identità ben precisa. Il risultato si vede benissimo, con tre vittorie in altrettante partite dei preliminari UEFA Europa League.

In ultima istanza, è arrivata la vittoria per 0-1 sul campo del Panathinaikos. Avversario di blasone, che però non ha impensierito l’Ajax: sceso in campo in Grecia con una rosa molto giovane. La vittoria maturata sul prato dell’Olimpico di Atene ha messo in mostra un idea ben precisa: età della rosa molto bassa e giocare senza paura. Il risultato finale, poi, sfata un dato negativo che durava da molto tempo.

Farioli ha infatti chiuso tenendo per la prima volta la porta inviolata in tre anni. In una trasferta europea non accadeva dal 18 marzo 2021 (vittoria per 0-2 sullo Young Boys). La partita, oltre a dare una grande iniezione di fiducia, ha posto fine a una serie di 16 trasferte europee consecutive subendo gol.

I giovani: il motore della rivoluzione

Pensi all’Ajax e pensi ad una delle squadre che lavora meglio con i giovani al mondo. Farioli non c’ha pensato due volte a mettere in campo una squadra dove ben cinque giocatori hanno meno di 22 anni. La formazione decisa per la sfida di Atene è stata un 4-3-3 che ha visto scendere in campo una difesa giovanissima, composta da Devyne Rensch (21 anni), Josip Sutalo (il più esperto con i suoi 24 anni), Youri Baas (21 anni) e Jorrel Hato (18 anni).

A centrocampo, accanto l’esperto Jordan Henderson (trentaquattrenne), hanno trovato posto il ventunenne Kim Fitz-Jum e il ventiduenne Kenneth Taylor. In avanti Carlos Forbs (20 anni), fiancheggiato da Chuba Akpom di 28 anni e Steven Berghius di 32.

Del resto il tecnico ex Nizza è noto anche per rispettare molto l’identità del club su cui siede in panchina. E’  lo stesso tecnico a dire: “Non è il momento di parlare di obiettivi, ma di visione e di cultura”. All’Ajax è importante vincere, il che è indubbio quando sei la squadra olandese che ha vinto di più in Europa, ma anche e soprattutto come.

L’Ajax perché è famoso? Per il modo di arrivare alla vittoria. Per essere stata una squadra rivoluzionaria, negli anni 60 e 70 grazie a Johann Cruijff e Rinus Michels: creatore del calcio totale. Modo di giocare che esaltava la filosofia del tutti devono saper far tutto. Ora, nel 2024, Farioli è chiamato alla sua rivoluzione. Dopo anni bui dalle parti della Johann Cruijff c’è l’urgente bisogno di voltare pagina. Già il fatto di affidarsi ad un allenatore straniero è di per sé rivoluzionario per un club molto tradizionalista come l’Ajax.

Eppure, potrebbe essere ciò che veramente serve. Un tecnico che certamente fa proprie le idee del club, come spiegato, ma che le rielabora a modo suo. Basti vedere il lavoro svolto a Nizza, dove ha chiuso il campionato al quinto posto: valido per la qualificazione in Europa League. Un grande risultato. Il Nizza è stata la miglior difesa con 29 gol subiti, 4 in meno del PSG. Come aveva promesso Farioli, ha rispettato quello che era secondo lui il DNA della squadra francese pur interpretandolo col suo stile di gioco: definito dal Guardian come un gioco troppo col freno a mano tirato.

Il quotidiano inglese diceva: “La struttura rigida e conservativa implementata da Farioli è stata la principale forza del Nizza, ma ora è diventata una debolezza. Con una mancanza di libertà e di iniziativa in fase di possesso che soffoca il potenziale d’attacco della squadra”.

Ajax

La tanto decantata esperienza

Se è vero che i giovani sono il presente ed il futuro dell’Ajax, gli stessi devono essere accompagnati da giocatori più esperti che li guidino. Ecco allora che a tenere le redini del centrocampo c’è Jordan Henderson. L’ex Liverpool sa vincere e come far vincere, dopo 12 anni in Premier League ed una Champions League vinta con i Reds.

In attacco vi sono poi Apkom e Berghius, con il secondo già plurivincitore nei Paesi Bassi e formidabile goleador. In porta Farioli può affidarsi a Remco Paasver, espertissimo quarantenne molto affidabile. A 40 anni e 259 giorni è divenuto il giocatore più anziano a vestire la maglia dei Lancieri in una partita ufficiale.

Non a caso la vittoria contro il Panathinaikos porta la firma di Steven Berghius. L’azione del gol però nasce da Rensch e Fitz-Jim. Anche nel corso della partita, Farioli ha dato spazio a giovani molto promettenti quali il ventunenne danese Anton Gaaei e il diciannovenne belga Mika Godts.

Dove può arrivare l’Ajax

Dove possono arrivare i Lancieri? Le premesse sono buone, ma è sempre il campo a parlare. Certamente l’obiettivo minimo è la qualificazione alla UEFA Champions League, riservata alle prime due classificate della Eredivisie. In UEFA Europa League molto dipenderà dalle avversarie che l’Ajax dovrà affrontare nella fase campionato.

La squadra gira bene, ma sono solamente le prime tre partite. L’esordio in campionato poi è fissato a domani alle 14.30 contro l’Heerenven. Già questa partita potrà dire molto di più su questo Ajax, il cui obiettivo, come dichiarato dallo stesso Farioli, è fare una grande stagione.

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I 20 allenatori più cari: Amorim si aggrega

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Manchester United, Amorim

Ruben Amorim è il caso più recente di allenatore che passa in un altro club tramite pagamento di una clausola: vediamo i venti manager più “costosi”.

Il tecnico portoghese, che guidava lo Sporting Lisbona dal 2020, è solo l’ultimo in ordine temporale nella classifica dei 20 allenatori più costosi: nella lista di Transfermarkt ci sono anche dei nomi illustri.

Amorim e non solo: la Top 20 degli allenatori più costosi

20) Xavi (5 milioni)

Dall’Al-Sadd al Barcellona nel 2021.

19) Maurizio Sarri (5,5 milioni)

18-15) Roberto De Zerbi, Unai Emery, Ronald Koeman, José Mourinho (6 milioni)

Emery dal Villarreal all’Aston Villa nel 2022.

Koeman dal Southampton all’Everton nel 2015.

Mourinho dal Porto al Chelsea nel 2004.

14-13) Brendan Rodgers, Mark Hughes (6,2 milioni)

Rodgers dallo Swansea al Liverpool nel 2012.

Hughes dal Blackburn al Manchester City nel 2008.

12-11) Fabian Hurzeler, Adolf Hütter (7,5 milioni)

Hütter dall’Eintracht Francoforte al Borussia Moenchengladbach nel 2021.

10-8) Ruben Amorim, Enzo Maresca, Christophe Galtier (10 milioni)

Amorim dallo Sporting Lisbona al Manchester United nel 2024.

Maresca dal Leicester al Chelsea nel 2024.

Galtier dal Nizza al Paris Saint-Germain nel 2022.

7) Brendan Rodgers (10,4 milioni)

Dal Celtic al Leicester nel 2019.

6) Arne Slot (11,2 milioni)

5) Vincent Kompany (12 milioni)

4) André Villas-Boas (15 milioni)

Dal Porto al Chelsea nel 2011.

3) José Mourinho (16 milioni)

Dall’Inter al Real Madrid nel 2010.

2-1) Graham Potter, Julian Nagelsmann (25 milioni)

Potter dal Brighton al Chelsea nel 2022.

Nagelsmann dal Lipsia al Bayern Monaco nel 2021.

Enrico Villani

Amorim

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Maradona, dal barrio a leggenda mondiale. Simbolo di rivalsa

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Maradona e la sua maglia numero 10

Diego Armando Maradona è stato sicuramente uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi. Oggi, il 30 ottobre, sarebbe stato il suo 64° compleanno.

Il 30 ottobre 1960 è una data speciale per il mondo del calcio, in particolare per l’Argentina e per Napoli che hanno reso omaggio al Pibe de Oro con un video social emozionante; un fumetto animato che ripercorre le tappe più iconiche della sua carriera sotto il Vesuvio.

La storica presentazione al San Paolo il 5 luglio 1984. Il gol su punizione contro la Juventus, sotto il diluvio del 5 novembre 1985. Lo scudetto del 1987 e il leggendario palleggio sulle note di “Live is Life”, all’Olympiastadion di Monaco di Baviera. Tutti momenti impressi per sempre nella storia del calcio.

Maradona, personaggio universale

Maradona non è stato solo un calciatore: è stato una figura globale di resistenza. Nel 1985, in un momento difficile segnato dalla sua dipendenza dalla cocaina, Diego trovò sostegno a Cuba, dove incontrò Fidel Castro. Maradona, ispirato dalla filosofia di Castro, si avvicinò agli ideali socialisti e divenne simbolo di rivoluzione e resistenza. Lo stesso Castro lo definì “il Che Guevara dello sport”, un appellativo che Diego onorò tatuandosi sul braccio sia il volto di Castro sia quello di Guevara: come tributo alla rivoluzione cubana del 1959. El Pibe De Oro incarnava valori di giustizia e libertà e sapeva che la sua forza era strettamente legata al suo benessere interiore: “Se non sono felice dentro, non riesco a essere un campione.”

Maradona e la mano de dios

Diego una volta disse: “In campo non ci si batte con le armi, bensì col pallone”. In effetti, quel ragazzo ricciolino risolveva problemi ben più grandi semplicemente giocando a calcio. Un esempio? Il suo gol più famoso, ‘la mano de Dios’, nei quarti di finale della Coppa del Mondo 1986 in Messico.

Maradona segnò con la mano contro l’Inghilterra, un avversario che in quel momento storico simboleggiava molto più di una sfida calcistica: era il volto del capitalismo e del potere. Per molti argentini, ancora scossi dalla guerra delle Falkland/Malvinas, quel gol rappresentò una sorta di rivincita. Maradona stesso disse in un documentario: “Quel gol fu come rubare il portafogli a un inglese”.

El D10s diviso tra due mondi

“So di non essere nessuno per cambiare il mondo” dichiarava“ma non voglio che entri qualcuno nel mio per condizionarlo.” Maradona è ed è stata una figura che ha diviso, ma la sua grandezza sta nella capacità di raccogliere intorno a sé prospettive diverse. El Pelusa ha rappresentato la rivalsa del ‘barrio‘. Conosceva il linguaggio del popolo e al tempo stesso quello di chi seguiva il calcio comodamente dal divano di casa. Con un semplice tocco di palla, o meglio di ‘pelota’ come dicono in Argentina, dava voce a chi voce non ne aveva: trasmettendo la forza di un’intera comunità. Come lui stesso affermò: “È fantastico ripercorrere il passato quando vieni da molto in basso e sai che tutto quel che sei stato, che sei e che sarai non è altro che lotta.”

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Ten Hag, tutti i numeri (horror) di un esonero inevitabile

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Erik ten Hag è stato esonerato dal Manchester United. Decisione inevitabile, alla luce dei risultati ma soprattutto delle statistiche.

Le statistiche (da sole) non ti raccontano una partita. Le statistiche hanno bisogno di un abile cantore che le sappia analizzare, che dia loro un contesto. Senza sono soltanto freddi numeri, che chiunque potrebbe sciorinare dandosi delle arie da finto analista. Tuttavia, in questo caso possono servire più dei risultati a spiegare il perché dell’esonero di Erik ten Hag: sollevato dal suo incarico dopo la sconfitta per 2-1 sul campo del West Ham.

ten Hag

Il Manchester United di ten Hag in pillole

Il Manchester United è 14esimo in classifica, con 11 punti raccolti in 9 giornate di Premier League. Ha perso la finale del Community Shield contro il Manchester City e in Europa League sin qui ha raccolto tre punti, frutto di altrettanti pareggi. Numeri espliciti, ma che da soli non possono raccontare uno scenario ben più drammatico del semplicistico mantra che si è sovente sentir ripetere nel post-Ferguson: “allo United fan male tutti“.

Vero, verissimo: ma alcuni fanno più male di altri. Lo dicono i numeri. Ten Hag è il secondo allenatore del post-Ferguson ad avere la più alta percentuale di sconfitte: 31,8%. Peggio di lui solo Moyes (il primo ad arrivare dopo Sir Alex) con 32,4%. Va però ricordato come l’olandese sia uno dei tecnici più longevi dell’era post-Ferguson. Il confronto statistico, spesso impietoso, viene fatto con allenatori con meno presenze.

Non solo. Il Manchester United è ottavo per punti conquistati nell’anno solare 2024. 40, come il Tottenham e peggio di Newcastle (43) e Aston Villa (44). Peggio anche del disastrato Chelsea di Boehly (52). Di Liverpool (62), Arsenal (67) e City (74) non ne parliamo neanche. E ancora. Il Manchester United è la penultima squadra di Premier per tempo di gioco trascorso in vantaggio, appena 108 minuti e 5 secondi.

Ovvero il 12% del tempo, come il Crystal Palace. Solo l’Ipswich (47 minuti e 9 secondi, il 5% del tempo) ha fatto peggio. Anche la media punti è una delle peggiori, che è di 1,72 punti per partita. Peggio di lui soltanto Moyes (1,68) e Rangnick (1,54), ma con molte meno panchine. L’ex-Ajax ha infatti trascorso sulla panchina dei Red Devils 85 partite (è il terzo più longevo del post-Ferguson) mentre Moyes 34, Rangnick addirittura 24.

Nessuno vuole più allenare il Manchester United

A parlare dei numeri da incubo di ten Hag si potrebbe andare avanti ore. Per esempio menzionando la sua percentuale di sconfitte (31,8%) in relazione alle partite giocate, ovvero 27 su 85. Peggio di lui solo Moyes con il 32,4%, che però ha perso meno della metà (11 su 34) delle sue partite. Com’è quindi possibile che un allenatore con questi numeri sia durato quasi due anni e mezzo sulla panchina di una squadra così prestigiosa?

Basti pensare che José Mourinho ha avuto la miglior media punti del post-Ferguson (1,89), è il secondo con più vittorie (50 su 93, meglio di lui solo Solskjaer con 56 in 109) e ha la miglior percentuale di vittorie (53,7%) in relazione alle partite giocate. Oltre a questo ha vinto anche tre trofei (in una stagione) e nonostante ciò è rimasto in carica solo otto partite in più rispetto a ten Hag, con la sua esperienza bollata come un flop.

Sintomatico di quanto all’epoca i canoni fossero diversi da quelli odierni, con l’interezza dello status del club che ne ha risentito. Se il biennio dello Special One venne considerato dai più come un fallimento, allora questo che cos’è? Mourinho fu il terzo allenatore (dopo Moyes e van Gaal) a farsi carico dell’eredità di Sir Alex e all’epoca non si aveva ancora contezza di quanto quello del Manchester United fosse un ambiente fagocitante.

ten Hag

Good luck Ruben, ne avrai bisogno

Oggi, dopo sei allenatori cambiati (otto se consideriamo anche il brevissimo interregno di Paul Scholes e quello di Ruud van Nistelrooy, iniziato ieri ma destinato a finire a breve) e tantissimi campioni (da Pogba e Depay passando per Di Maria e Falcao) che hanno fallito, la panchina del Manchester United ha smesso di essere il lavoro più ambito del mondo: quel Nirvana calcistico che aveva rappresentato per molti anni.

Oggi chi viene contattato per allenare il Man.United sa di dover entrare in una polveriera. Con un ambiente saturo, uno spogliatoio ai limiti dell’ingestibile e una società totalmente assente. La maggior parte dei candidati, giustamente, si guarda bene dall’accettare, comprendendo che la propria carriera potrebbe uscire danneggiata da quest’esperienza. La mancanza di alternative credibili (e la contestuale vittoria in finale di F.A. Cup contro Guardiola, che nessuno si aspettava) ha contribuito a tenere in sella ten Hag.

Tuttavia, il rischio calcolato (o forse no) di confermare una supposta fiducia ad un tecnico sfiduciato e delegittimato dai più è esplosa in tutta la sua prevedibile deflagrazione. In queste ore lo United sta cercando di mettere sotto contratto Ruben Amorim. Uno degli allenatori più (giustamente) celebrati e promettenti del panorama calcistico, e che forse per questa ragione avrebbe dovuto tenersi lontano da un ambiente del genere. La lure di Old Trafford è difficile da rifiutare, quindi good luck Ruben: ne avrai bisogno.

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