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Newcastle, fine dell’illusione saudita? Da “big seven” a “mid-table team”

L’incubo di vedere un Manchester City-bis (per fortuna) dura meno di quattro anni: il progetto Newcastle (versione saudita) è già naufragato?
La Premier League spegne sul nascere le ambizioni oltre la Manica del Fondo PIF. Prima la normativa contro le multi-proprietà, poi il PSR. Il faraonico Newcastle, in formato Saudita, sembra già un lontano ricordo.
Il Newcastle è la fine della “bolla saudita”?
Due campagne acquisti in grande stile. La prima, subito dopo il subentro nel Dicembre del 2021 per salvare la squadra dalla retrocessione e condurre ad un tranquillo piazzamento di metà classifica. La seconda l’estate successiva, per consegnare al nuovo allenatore Eddie Howe una squadra subito competitiva per l’Europa.
Progetto che (in parte) sembra funzionare. I magpies si salvano agevolmente, per poi centrare la qualificazione alla Champions League l’anno successivo e perdere una finale di League Cup contro il Manchester United. Per alcuni l’inizio di un’epopea, per altri una nuova “big seven“: dopo il tentativo (andato male) con il Leicester.
I media inglesi ci riprovano, ma sono tempi duri per gli underdog in Inghilterra. L’introduzione del PSR è una mazzata, che va ad aggravare una situazione economica già pregiudicata dall’impossibilità del Newcastle di attingere alle cosiddette “sponsorizzazioni fittizie” tramite le società fantasma del Public Investment Fund.
Pochi soldi, ma ancor meno idee
Il Newcastle si presenta malissimo ad un appuntamento atteso vent’anni e, complice anche una serie infinita di infortuni e un arbitraggio a senso unico nella gara decisiva contro il PSG, gli inglesi finiscono ultimi nel proprio girone di Champions. Un epilogo amaro, reso ancor più indigesto dal settimo posto finale in campionato.
Un risultato non del tutto deludente, ma che alla fine si rivela inutile: data la vittoria (a sorpresa) del Manchester United in F.A. Cup. Senza le entrate derivanti dalla partecipazione a una qualsivoglia competizioni europea, i sogni di gloria dei bianconeri vengono stritolati dai debiti e la successiva campagna acquisti (all’insegna della paura di violare le stringenti regole economiche della federazione) ne è una diretta conseguenza.
“Appena” 68 milioni di euro spesi sul mercato, di cui 33 per il riscatto di Lewis Hall: già concordato con il Chelsea l’estate prima. La necessità di vendere incombe e il Newcastle, volenteroso quantomeno di tenere i suoi giocatori migliori, rinuncia obtorto collo a due dei migliori prodotti del suo vivaio: ovvero Anderson e Minteh.
Quale futuro per il Newcastle?
76 milioni di entrate, a fronte (come detto) di 68 milioni di uscite: per un saldo positivo di poco inferiore ai dieci milioni di euro. Nella passata stagione il Newcastle aveva speso oltre 150 milioni di euro sul mercato (a fronte di appena 44 incassati) e nell’anno ancor prima circa 185, avendone incassati meno di 15.
Sembra passata una vita, ma son passati poco più di due anni fa. Il risultato di queste politiche di austerity sono una squadra “più debole rispetto a due anni fa” per gli opinionisti inglesi, ma non è tutta colpa dei paletti economici. Come ci tiene a ricordare Craig Hope, il problema non sta nella mancanza di investimenti ma nella qualità degli stessi. Un esempio i quasi 25 milioni spesi per il secondo portiere Odysseas Vlachodimos.
Nell’analisi di Hope c’è del vero, ma rimane il fatto che il Newcastle questa estate sia stata la 17esima squadra di Premier per investimenti sul mercato. Se di certo c’è che la proprietà saudita non era preparata ad un simile scenario e che quindi, probabilmente, ha assemblato un’area tecnica convinta di poter dar loro molta più libertà di spesa, è innegabile come il cambio di paradigma abbia inciso e non poco.
Focus
Atalanta, De Roon: un capitano da 30 e lode

Marten De Roon è uno dei pilastri su cui si basano tanti successi ottenuti negli ultimi anni dall’Atalanta. L’olandese ha passato una vita alla Dea da capitano.
Un tuttofare in mezzo al campo capace di farsi carico delle responsabilità più pesanti e scaraventarle in rete grazie al suo potente destro. I tifosi lo amano e la sua avventura in nerazzurro potrebbe essere arrivata alla fine.
Atalanta, un De Roon è per sempre: i numeri con la Dea
Arrivato prima tramite prestito nel 2015 dal Middlesbrough e poi tornato definitivamente nel 2017, il centrocampista classe 1991 ha subito impressionato prima Edy Reja e poi Gianpiero Gasperini che ha deciso di metterlo subito al centro del progetto.
La sua seconda stagione a Bergamo è da incorniciare con ben 46 presenze tra tutte le competizioni al centro di quel centrocampo a 4 che condividerà con tantissimi colleghi diversi. Con la Dea ha collezionato più presenze in Serie A di chiunque altro (301) collezionando 19 gol e 22 assist.

5.05.2019. Stadio Olimpico, Rome, Italy. Serie A. MARTEN DE ROON in action during the match Italy Serie A league, SS LAZIO VS ATALANTA at Stadio Olimpico in Rome.
Una presenza costante e rassicurante per qualsiasi debuttante, energia inesauribile e dedizione alla causa come pochi altri in questo sport. In Italia però ha avuto anche la possibilità di cambiare ruolo e intraprendere il percorso per diventare, all’occorrenza, un difensore centrale nel trio davanti al portiere.
In questa posizione ha giocato 28 partite, contribuendo a tamponare un reparto martoriato dagli infortuni. L’unico trofeo conquistato dall’esordio tra i professionisti con lo Sparta Rotterdam è la clamorosa Europa League vinta la scorsa stagione in finale contro l’imbattibile Bayer Leverkusen. Purtroppo a causa di un infortunio non ha potuto prendere parte attivamente alla partita, ed è stato costretto alla panchina, ma ha sempre dimostrato grande vicinanza ai compagni e assolto i proprio compiti da capitano.
Il contratto è in scadenza nel 2026 e a meno di Last Dance le possibilità che lasci l’Atalanta sono decisamente alte. In qualunque caso, sarà ricordato da tutto il popolo nerazzurro per moltissimo tempo.
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Gianluca Mancini e Patric: un compleanno per due a Roma

Giorno di festa nella Capitale: Gianluca Mancini (Roma) e Patric (Lazio) festeggiano i rispettivi compleanni, con emozioni contrastanti.
I due calciatori -oltre al ruolo condividono- lo stesso giorno di nascita, il 17 aprile. Quindi grande festa nell’Urbe, anche se uno dei due festeggerà un pò meno vista la sua situazione fisica.
Mancini e Patric: uniti nel compleanno, divisi dalla rivalità
Con il derby numero 185 in archivio, nella città di Roma si pensa già ai prossimi impegni. Da entrambe le parti ovviamente. la Roma con la testa al Verona, per provare a rimanere attaccato al trenino per la Champions. La Lazio invece con la testa al ritorno di Europa League contro il Bodo/Glimt. I ragazzi di Baroni devono ribaltare il 2-0 patito in Norvegia, con tutte le difficoltà del caso.
Ma oggi per due ragazzi delle due squadre questi pensieri vanno in secondo piano. Si sta parlando di Gianluca Mancini, difensore centrale romanista, e Patric, centrale della Lazio. Entrambi condividono oggi, 17 aprile, come data dei nascita.

GIANLUCA MANCINI ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Il ragazzo di Pontedera, classe 96′ compie 29 anni, mentre per lo spagnolo di Mula le candeline da spegnere sono 31.
Entrambi arrivano però al loro compleanno con emozioni e sensazioni diverse.
L’ex Barcellona Athletic è fermo ai box per l’operazione alla caviglia destra. Il ragazzo, infortunatosi contro il Como a novembre, aveva prima optato per una terapia conservativa, salvo poi arrendersi all’intervento chirurgico. Per il classe 93′ quest’anno 18 presenze quest’anno, 172 totali in Serie A, con i biancocelesti ed un gol.
Uno dei compleanni probabilmente meno fortunati per Patric Gabarron, che anche se non in campo continuerà a sostenere i suoi compagni fino a fine stagione.
Situazione inversamente proporzionale per il romanista. Il Nazionale italiano ha festeggiato nel derby le 200 presenze in Serie A con i giallorossi. Ma non solo. Un altro traguardo è alle porte: contro il Verona, all’Olimpico, sarà la 400esima presenza totale.
Decisamente migliore, non ce ne voglia Patric, la settimana del ragazzo di Pontedera.
Focus
Ancelotti dice no all’Italia, ma quale sarà il suo futuro?

Alla vigilia della sfida di ritorno dei quarti di finale di Champions League tra Real Madrid e Arsenal, Carlo Ancelotti è tornato a far parlare di sé.
Non solo per la gara decisiva contro l’Arsenal, ma anche per le sue dichiarazioni sul futuro, Ancelotti ha destato attenzione. In un’intervista a RSI, ha spiegato perché ha rifiutato la Nazionale italiana: “Mi piace lavorare quotidianamente con i giocatori, la Nazionale mi sembrava un part-time che mi faceva perdere passione”. Parole che sembrano escludere anche l’ipotesi Brasile.
Ancelotti ha anche raccontato un retroscena sul suo ritorno a Madrid nel 2021, dopo l’Everton: “In realtà li ho chiamati io – ha ammesso – L’anno prima li avevo sentiti per capire se avessero giocatori disponibili per noi. Poi, sapendo che cercavano un allenatore, dissi al direttore che dovevano prenderne uno bravo”.
Quel “bravo”, alla fine, è stato lui stesso. Il suo secondo ciclo al Real ha portato altri trofei e momenti memorabili: tre Champions League in totale con i Blancos, due Liga, Coppe del Re, Supercoppe europee e Mondiali per Club. Eppure, nonostante il palmarès, il suo futuro sulla panchina più prestigiosa del mondo sembra di nuovo in bilico.
Arsenal decisivo, Xabi Alonso alla finestra
Come riportato da Fabrizio Romano, la gara contro l’Arsenal potrebbe rappresentare uno snodo decisivo per il futuro del tecnico di Reggiolo. In Liga, il Real è attualmente a -4 dal Barcellona. L’eventuale eliminazione in Champions, dopo la sconfitta dell’andata, potrebbe accelerare i tempi del cambiamento.
Florentino Perez starebbe già valutando un possibile successore. Il nome più caldo è quello di Xabi Alonso, ex leggenda del club e oggi tecnico emergente del Bayer Leverkusen. L’ex centrocampista ha già declinato offerte importanti, aspettando forse proprio una chiamata da Madrid.
Ancelotti riflette: addio vicino?
Se l’addio al Real dovesse concretizzarsi, Ancelotti si troverebbe davanti a una scelta importante. Al momento, l’idea di allenare una nazionale sembra lontana. Resta da capire se qualche altra grande panchina europea tenterà l’assalto a uno degli allenatori più vincenti di sempre. Nel frattempo, però, c’è un match da ribaltare. E Ancelotti sa bene che una “remuntada” domani sera al Bernabeu potrebbe cambiare tutto.
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