Focus
Fracaso Real Madrid: da Mbappe a Bellingham, tutti i problemi di Ancelotti

La sconfitta di ieri sera nel Clasico (0-4) certifica l’avvio di stagione negativo del Real Madrid. Fra dubbi, infortuni e risultati inattesi.
Non era mai successo, nella storia del Real Madrid, di perdere due volte El Clasico per 4-0 (entrambe al Santiago Bernabeu per giunta) nel giro di due anni. Tuttavia, questo fa molto più male del precedente.
Poker Barça al Bernabeu: c’è un precedente
20 Marzo del 2022 e 26 Ottobre del 2024. In comune queste due date non hanno solo il risultato (0-4 in favore dei blaugrana) di una delle rivalità più sentite al mondo. Il poker del 2022 fu inaspettato, in quanto il Real era lanciatissimo mentre il Barcellona (terzo in classifica) lo inseguiva a stento, ma fu una vittoria di Pirro.
Xavi, subentrato a Koeman a stagione in corso, sognava di far tornare grande la squadra che lo aveva reso immortale e per un paio di mesi ci riuscì. Le merengues vinceranno quel campionato con tredici punti di vantaggio e il Barcellona si farà eliminare ai quarti di finale di Europa League dall’Eintracht Francoforte.
Solo un incidente di percorso, pensarono in molti. In effetti i catalani l’anno dopo vinceranno sia la Liga che la Supercoppa di Spagna (proprio in finale contro il Real) e il nuovo corso targato Xavi sembrava in procinto di rilanciare il Barça nel gotha del calcio europeo. Tuttavia, sappiamo tutti come andarono a finire le cose.
Kross come Makelele: si rischia il déjà vu del 2003
Il k.o. di ieri sera, invece, è molto più pesante. Non solo perché manda gli acerrimi rivali a +6, anche se siamo ancora ad Ottobre e ci sono tre quarti abbondanti di campionato da giocare, ma anche perché rimarca una differenza strutturale fra le due squadre che sinora è stata latente e che ora pare lapalissiana.
Flick, nel giro di pochissimo tempo, è riuscito a far coesistere alla perfezione le sue idee con i principi di gioco tipici della scuola catalana: creando una macchina apparentemente perfetta. D’altro canto, il Real, pur essendo essenzialmente la squadra dello scorso anno, pare aver smarrito sé stesso e la propria identità.
Rispetto alla squadra che l’anno scorso vinse Liga e Champions League, questa squadra ha un Mbappé in più ma anche un Kross in meno. E infatti i dubbi principali, legati alla tenuta della squadra, puntano il dito proprio verso il reparto di centrocampo: con Tchouaméni e Camavinga incapaci di supplire alla sua partenza.
Real Madrid fra Mbappé e Bellingham: Ancelotti la chiave
I due centrocampisti della Nazionale Francese, sin qui, sono parsi molto più a loro agio quando impiegati al centro della difesa che non nel loro ruolo naturale. Troppo ingombrante l’eredità di Kross, con Luka Modric che a 39 anni è stato chiamato ancora una volta a trascinarsi la squadra sulle spalle: e non sempre vi riesce.
Il problema più impellente a cui deve far fronte Ancelotti, però, è quello relativo alla difficile coesistenza fra Mbappé e Bellingham. Coloro che (assieme a Vinicius) sarebbero dovute essere le stelle della squadra si stanno pestando i piedi da inizio stagione, con solo il brasiliano che mantiene un rendimento da Pallone d’Oro.
Il fuoriclasse inglese l’anno scorso aveva vissuto la miglior stagione della sua carriera proprio grazie all’intuizione di Ancelotti, che lo aveva trasformato nel centravanti ombra della squadra. Ora però l’eredità di Benzema è inevitabilmente passata sulle spalle di Mbappé, che sta togliendo al compagno gli spazi che lo avevano esaltato. Mbappé pare sempre più un Re Mida maledetto: squilibrante per compagni e avversari.
Se si eccettua il Villareal, il Real Madrid è la peggior difesa delle prime otto de “La Liga” e in Champions ha subito 4 reti in 3 partite. Numeri che, se sommati alle 11 reti al passivo in campionato, porteranno il numero delle reti subite dai Campioni di Spagna a 15 in altrettante partite: con solo 5 clean sheet registrati in stagione.
Colpa degli infortuni, certo, ma anche di un equilibrio di squadra che è difficilissimo trovare quando hai in campo contemporaneamente stelle di questo calibro. Una sorta di déjà vu, dato che lo stesso problema lo avevano avuto anche il PSG e la Francia. Con Mbappé in campo guadagni un fenomeno, forse il miglior giocatore del pianeta, ma perdi una squadra. Ad Ancelotti l’ingrato compito di refutare questa tesi.
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Roma, ricordi Kumbulla? Ora guida la difesa dell’Espanyol

Kumbulla: L’ex della Roma, oggi in prestito all’Espanyol, ai microfoni di TMW: All’Espanyol ho ritrovato continuità. Roma? In estate torno, poi si vedrà”
Arrivato alla Roma nel 2020 dall’Hellas Verona, inizialmente in prestito e successivamente riscattato per 26,50 milioni nell’estate seguente, Marash Kumbulla – difensore centrale nato a Peschiera del Garda ma di nazionalità albanese, nazionale che rappresenta anche a livello internazionale – era considerato uno dei prospetti più interessanti della sua generazione.
Solido fisicamente, forte nel gioco aereo e dotato di un buon senso della posizione, Kumbulla si era messo in luce fin dalle giovanili del Verona per maturità e freddezza, attirando l’interesse di diversi top club. Alla Roma, tuttavia, il suo percorso è stato segnato da alti e bassi. Arrivato come giovane promessa dopo l’ottima stagione con il Verona di Juric – quando aveva appena 20 anni – non è riuscito a compiere il salto di qualità atteso. Complice anche il fatto che sulla panchina giallorossa in quella stagione sedeva Paulo Fonseca, tecnico non propriamente votato all’organizzazione difensiva come invece Juric, Kumbulla non è mai riuscito a trovare continuità o a imporsi con decisione.
Di conseguenza, il suo valore di mercato ha progressivamente perso quota, così come il suo posto nelle gerarchie difensive del club: un declino evidente anche nei numeri, passati dalle 25 presenze in gialloblù nella stagione 2019/20 alle sole 12 nella stagione 2022/23, complice anche un grave infortunio (considerando tutte le competizioni – Serie A, Coppa Italia ed Europa League – che sarebbero appena 7 se si guardasse solo al campionato).
Tutto questo ha inevitabilmente portato a spegnere le speranze che gli addetti ai lavori giallorossi avevano riposto in lui. Nel corso degli ultimi due anni, la Roma ha infatti deciso di cedere il classe 2000 in prestito, prima al Sassuolo, in quella che è passata alla storia come la stagione del “fallimento” sportivo del club emiliano, culminata con la retrocessione dopo undici anni consecutivi di Serie A.
In quel contesto difficile, Kumbulla ha collezionato appena 7 presenze in campionato, pur registrando un incremento del 37% nel minutaggio rispetto alla stagione precedente. Tuttavia, le sue prestazioni sono state tutt’altro che convincenti: secondo i dati di FootyStats, è risultato 188º su 198 tra i difensori centrali per Defender Rank nell’intera Serie A, considerando solo i giocatori che rientrano nei parametri minimi richiesti per la valutazione. Un dato emblematico, aggravato dal fatto che ha concesso un gol ogni 45 minuti trascorsi in campo.
dopo Roma, la rinascita in Spagna
Dalla transizione democratica spagnola alla rinascita letteraria post-franchista, fino alle manifestazioni degli ultimi anni per il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione, la Catalogna, da anni a questa parte, porta avanti con grande senso di resilienza la propria battaglia, dando vita a una costante rinascita. In questo senso, anche la carriera di Marash Kumbulla, una volta approdato a Barcellona – sponda Espanyol – sembra aver assorbito lo spirito catalano, riversandone gli effetti sul campo. Il suo percorso in Spagna sta infatti coincidendo con una vera e propria rinascita, che sta rilanciando le ambizioni del giovane difensore albanese.
“Voglio cercare di continuare su questa scia, nel senso di continuità e di costanza nel giocare. Non so quale sarà il futuro: sicuramente a fine campionato tornerò a Roma, perché sono in prestito secco. E poi non so cosa succederà, però sicuramente quello che voglio è cercare di avere più continuità possibile, come l’ho avuta quest’anno.” Queste le parole di Kumbulla in una lunga intervista concessa ai microfoni di TMW, in merito all’ottima stagione che sta vivendo in Spagna con la maglia dell’Espanyol.
I numeri parlano chiaro: crescita costante nel minutaggio e nella fiducia nei propri mezzi, testimoniata anche dal contributo in fase offensiva, con 3 gol segnati fino a questo momento della stagione, che certificano quanto di buono sta facendo durante la sua prima stagione in Liga. “Sicuramente, avendo visto come funzionano le cose qua non chiudo le porte alla possibilità di tornare in Spagna. Però non so davvero niente e intanto penso a chiudere la stagione per bene qua”.Così bene, che anche un suo possibile ritorno in Serie A, alla Roma – società che ancora ne detiene il cartellino – non sembra poi così scontato.
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Storie di Campioni: Roberto Baggio

Riviviamo la carriera calcistica dei migliori campioni del passato. Dai primi calci al pallone alla gloria eterna. Oggi è il turno di Roberto Baggio.
Roberto Baggio è stato uno dei più grandi calciatori della sua epoca. Riviviamo insieme la vita e la carriera del “Divin Codino”. Dai primi calci al pallone alle notti magiche.

Italian football star Roberto Baggio waves to fans during a promotional event for Olympic products in Guangzhou, south Chinas Guangdong province, September 2, 2007.
Italian football star Roberto Baggio arrived in China August 29, 2007. It is the second time for Roberto Baggio to come to China, and he is here to be an ambassador for Olympic products. His six-day-trip in China covers Beijing, Hangzhou and Guangzhou.
I primi passi nel mondo del calcio
Roberto è il sesto di otto figli di Florindo Baggio e Matilde Rizzotto. Nasce a Caldogno il 18 Febbraio 1967. Da sempre appassionato al calcio inizia a muovere i suoi primi passi nella squadra del paese fino alla chiamata del Vicenza. A due mesi dalla fine degli studi infatti, decide di seguire il suo sogno e andare in ritiro con i biancorossi abbandonando così gli studi. Successivamente esplode con la maglia della Fiorentina con la quale riesce a raggiungere una finale di Coppa UEFA nella stagione 1989/90.
Roberto Baggio, il passaggio alla Juventus
La storia d’amore tra Baggio e la Fiorentina è stata pesantemente compromessa da quel passaggio alla Juventus. L’estate del 1990 infatti dopo i Mondiali delle Notti Magiche italiane, succede l’impensabile, il più grande calciatore viola passa ai rivali storici della Juventus per circa 25 miliardi di lire (offerta irrinunciabile ai tempi per la Fiorentina). Gianni Agnelli (presidente del bianconeri) lo soprannominerà “Raffaello” per l’eleganza nello stile di gioco. Successivamente il “Divin Codino” diventerà capitano dei bianconeri vincendo molti premi soprattutto individuali in quel periodo.
L’importanza del buddhismo
Roberto nasce di fede cattolica proprio come tutto il resto della sua famiglia. Successivamente in un periodo buio della sua carriera decide di avvicinarsi al mondo del buddhismo, aderendo al ramo giapponese della “Soka Gakkai”. In virtù di questa fede, ha sempre indossato (qualora fosse capitano) una fascia con i colori Blu-Giallo-Rossi (colori della bandiera Soka Gakkai). In seguito ha aperto un centro della Soka Gakkai in un suo locale di proprietà e dal 2014 ha aperto a Corsico il più grande centro culturale buddista d’Europa.
L’uomo che morì in piedi
Con la maglia della Nazionale Italiana, Roberto Baggio, ha preso parte a 3 Campionati del Mondo: Italia 1990, Usa 1994 e Francia 1998. Il più amaro resterà sempre quello negli Stati Uniti dove riuscì a trascinare l’Italia in finale contro il Brasile con 5 gol decisivi nel torneo. Nella finale però accade l’impensabile, si decide tutto ai rigori, Baggio fu uno dei 3 azzurri a sbagliare consegnando così il Mondiale al Brasile. Da quel giorno in poi il “Divin Codino” diventerà “L’uomo che morì in piedi”.
Roberto Baggio, il Palmares
Nella sua carriera Baggio ha vinto molti trofei, in questo paragrafo li elencheremo tutti.
Club
- 2 Campionato italiano: Juventus 1994/95 e Milan 1995/96
- 1 Coppa Italia: Juventus 1994/95
- 1 Coppa UEFA: Juventus 1992/93
Individuale
- Guerin d’oro: 1985
- Trofeo Bravo: 1990
- Capocannoniere Coppa delle Coppe: 1990/91 (9 reti)
- Pallone d’oro: 1993
- FIFA World Player: 1993
- Onze d’or: 1993
- World Soccer’s World Player of the Year: 1993
- All-Star Team dei Mondiali: USA 1994
- Pallone d’argento dei Mondiali: USA 1994
- Onze de bronze: 1994
- Onze d’argent: 1995
- Guerin d’oro: 2001
- Premio Scirea: 2001
- Golden Foot: 2003
- Inserito nella FIFA 100: 2004
- Inserito nella Hall of Fame dello sport italiano: 2015
- Candidato al Dream Team del Pallone d’oro: 2020
Da quando Roberto Baggio non gioca più non è più Domenica
Il 16 Maggio 2004 giocava l’ultima partita della sua carriera, Roberto Baggio. Uno dei giocatori più forti della storia del calcio italiano. Il suo addio lasciò un vuoto, che ancora avvertiamo. Come cantava Cesare Cremonini, non è più domenica. Da quando Baggio non gioca più.
Carriera
Giovanili
- Caldogno 1974-1980
- L.R. Vicenza 1980-1983
Squadre di club
- L.R. Vicenza 1982-1985: 36 presenze; 13 gol.
- Fiorentina 1985-1990: 94 presenze; 39 gol.
- Juventus 1990-1995: 141 presenze; 78 gol.
- Milan 1995-1997: 51 presenze; 12 gol.
- Bologna 1997-1998: 30 presenze; 22 gol.
- Inter 1998-2000: 41 presenze; 9 gol
- Brescia 2000-2004: 95 presenze; 45 gol.
Nazionale
- Italia 1988-2004: 56 presenze; 27 gol.
Focus
Troppo giovani per ritirarsi: Sebastian Deisler

L’ex centrocampista del Bayern Monaco dei primi anni 2000, è solo uno dei tanti -forse- troppi giovani che hanno lasciato il calcio troppo presto.
Giovane dal talento spropositato, che piano piano è andato sgretolandosi per via di problemi prima fisici -e poi psicologi- di un giocatore che avrebbe potuto essere protagonista assoluto del Mondiale casalingo del 2006.

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Giovani rimpianti
Il 4 luglio 2006 per i nostri colori è una data che si ricorda con moltissimo piacere. Per i colori tedeschi invece segna una delle giornate storicamente più tristi e scure del loro calcio. Si sta parlando, ovviamente, dell’eliminazione in semifinale dal Mondiale casalingo per mano della nostra Nazionale. Davanti a ottantamila, o forse più, del Westfalenstadion di Dortmund, Del Piero e Grosso condannavano Jurgen Klinssman e co. Un pomeriggio di rimpianti per tutta la Germania.
Ma c’è chi ha sofferto più di tutti. Uno che quel Mondiale lo avrebbe potuto giocarlo, non solo come uno dei tanti ma sicuramente come un protagonista assoluto. Eppure, Sebastian Deisler -di lui si sta parlando- quella sera non c’era. Tutta la Germania, da tempo, aspettava un talento cristallino come il suo. Il 26enne di Lorrach si trovava, invece che sul campo, era in una fase di riabilitazione dopo l’ennesimo, drammatico infortunio e l’ennesima operazione che hanno frenato la sua ascesa. Fino a stroncarla definitivamente un giorno di gennaio, nel pieno di una stagione, con l’ufficialità del suo addio al calcio. Fermato sul più bello. Ancora una volta. Ma andiamo per gradi.
I giovani inizi
Se sotto alla definizione della parola rimpianto, sul dizionario, ci fosse una fotografia, sarebbe di sicuro quella del tedesco. Per quello che poteva essere ma non è stato. Sin dal principio. Sebastian nasce sul confine tra Germania, Francia e Svizzera. All’età di quindici anni viene notato dal Borussia Mönchengladbach, che lo fa entrare nel proprio settore giovanile.
Il perchè è presto detto: in una stagione aveva segnato 215 goal con la D-Jugend, a soli 9 anni. Come se non fosse bastato, il suo cognome era già noto. Infatti, sia il nonno che il papà erano stati nel calcio anche loro. Il nonno aveva condiviso il campo con Ottmar Hitzfeld. Crescendo, Basti aveva sviluppato dribbling, tecnica e visione. Gli piaceva giocare sulla trequarti, partendo spesso dalla destra. Aveva colpito tutti al Borussia. E in generale anche in Germania. Le sue generalità, ormai, erno già note alla Federazione già dall’Under 15.
Sul finire degli anni ’90 qualunque calciofilo tedesco conosceva Sebastian Deisler e ne pronosticava un futuro tra i grandissimi. Sembrava il suo destino. Franz Beckenbauer, non il primo venuto, lo aveva definito il migliore in Germania. E se parla il ‘Kaiser’ le aspettative si alzano. Alle volte troppo.
L’esordio col Gladbach, e l’Herta…
Nella stagione 1998/99 Deisler fa il proprio esordio tra i professionisti con il Gladbach, in una stagione terminata però con la retrocessione.
Subito dopo viene acquistato dall’ Hertha Berlino. In quegli anni la squadra della Capitale tedesca viaggiava in Champions League e quindi nell’élite della Bundesliga. Al contrario del Borussia, in un momento buio della propria storia.
Sulle sue tracce si era palesato anche il Bayern Monaco. Ma il ragazzo voleva giocare. Matrimonio non sfumato, ma soltanto rimandato. L’Olympiastadion sembrava l’anticamera perfetta dell’esordio nella Mannschaft, il passaggio obbligato per dimostrare maturità e meritare la Nazionale. E così è stato.
Nel febbraio del 2000, all’Amsterdam Arena, prima presenza. Sei mesi dopo, complice il destino, sarebbe dovuto tornare in Olanda con la Germania, ma per giocare l’Europeo. Tre le presenze che hanno subito fatto intendere le grandissime qualità del ragazzo. La spedizione in generale non andò benissimo, con l’eliminazione ai gironi. Ma per Deisler era solo l’inizio.
Il Bayern Monaco e l’inizio dei problemi
L’estate del 2002 sembrava quella destinata a cambiare vita e carriera. E lo avrebbe fatto, ma purtroppo non in meglio. Doveva essere il primo violino della Germania al Mondiale. Invece si infortuna in un’amichevole poche settimane prima e non viene convocato.
Doveva essere il protagonista del nuovo Bayern Monaco di Ottmar Hitzfeld, l’ex compagno del nonno, che lo aveva finalmente acquistato dopo aver perso il Meisterschale l’anno prima per mano del Borussia Dortmund. I titoli arriveranno, ma non solo loro. Deisler ha iniziato a convivere con gli infortuni. E con una malattia ancora più grave: la depressione. Da lì in avanti, la carriera del tedesco sarebbe stata un loop. Cinque operazioni al ginocchio e due ricoveri in clinica per combattere con i suoi fantasmi. Non sempre vincendo.
La struggente telefonata dell’ottobre 2003 a Uli Hoeneß, al tempo manager del Bayern, era una disperata richiesta di aiuto. Viene subito ricoverato a Monaco. La diagnosi: sindrome da burnout, causata da un ambiente di lavoro stressante. Un problema comune tra gli sportivi, come spiegava il professor Florian Holsboer, direttore della clinica in cui era stato ricoverato Deisler.
“È in una fase depressiva: è in buone condizioni fisiche, la sua è una predisposizione alla depressione comune nel 10-15% della popolazione. La forma acuta capita almeno una volta nella vita. Dovrà stare fermo sei settimane, forse anche di più. La carriera non è comunque in pericolo”.
Una malattia dunque, sotto ogni aspetto. Che deve emergere. Uscire fuori. Come sostiene da dieci anni la fondazione che porta il nome di Robert Enke, il portiere dell’Hannover e della nazionale tedesca che si è suicidato nel 2009 proprio a causa della depressione.
Enke era stato compagno di Deisler nelle giovanili del Gladbach. Avevano iniziato insieme. Hanno affrontato lo stesso problema. Basti ha fatto dentro e fuori dalla clinica per due volte, l’ultima sul finire del 2004.
Un 2015 di rinascita?
Il 2005 sembrava finalmente l’anno della ripresa. ‘Basti Fantasti’, come veniva chiamato da giovane – nomignolo mai apprezzato dal diretto interessato – sembrava essere tornato. Dopo il secondo ricovero, il fisico sembra reggere. E anche la testa sembrava reagire, aiutata anche dalla paternità. La gravidanza della moglie era stata complicata e una delle cause che aveva portato alla depressione. La nascita del figlio era come una liberazione. Sul campo, finalmente, c’erano sensazioni positive.
Goal decisivo col Friburgo. Doppietta al Norimberga, alla penultima giornata. Finalmente Meisterschale. E in Nazionale: fiducia incondizionata.
Tutto questo però si rivelerà un lampo nel buio di una carriera che da li a poco si sarebbe avviata verso il tramonto. Tutto è iniziato con un’espulsione contro lo Stoccarda per un calcio a Magnin. Proseguita con l’ennesimo problema al ginocchio dopo uno scontro in allenamento con Hargreaves e l’ennesima operazione. Per questo, è stato costretto a saltare il Mondiale del 2006, in Germania. E così facendo, ha vissuto quel 4 luglio in maniera decisamente marginale. Decisamente il contrario di quello che tutti avrebbero voluto per un giocatore del genere.
2007: la fine
A gennaio 2007, poi, la decisione definitiva di dire basta. Stop con il calcio, con le pressioni, con il peso delle aspettative che gli venivano addossate da tutti. Con una conferenza stampa, annuncia che le cinque operazioni e i due ricoveri hanno pesato più di ogni soddisfazione tecnica ottenuta dal calcio. Che comunque sia non sono state poche. Il palmares del tedesco annovera: tre campionati tedeschi, tre coppe di Germania e due Coppe di Lega. Giocare, però, era diventata una tortura.
“Non ho più fiducia nel mio ginocchio, è stato un calvario. Non gioco più con allegria e non posso fare le cose a metà, è una cosa che non fa bene a nessuno. Giocare è una tortura”.
Hoeneß a caldo aveva parlato di decisione inspiegabile. Il Bayern lo ha voluto aspettare. Aveva anche congelato il suo contratto, con scadenza 2009, sperando in un cambiamento d’idea da parte del ragazzo. L’unica cosa che voleva Basti, però, era la serenità.
E’ dal 2013 che non rilascia più interviste. Adesso vive a Friburgo con la sua famiglia. E, sicuramente, del calcio non ne vuole più sapere. Per il resto, la vita di Deisler è finalmente tranquilla, senza i fantasmi di un tempo.
Sta di fatto che, un giocatore che, a detta dei media tedeschi, era a livello -se non superiore- di giovani come Ballack la dice lunga su come la vita abbia “abusato” della sua cattiveria nei confronti di un talento eccezionale.
Ma la cosa più importante non è il calcio, ma la salute.
Un saluto Sebastian.
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