editoriale
Rodri è il Pallone d’Oro più giusto dopo Modric: Vini (e il Real) se ne facesse una ragione
![Rodri pallone d'oro](http://www.calciostyle.it/wp-content/uploads/2024/10/20241028_224407-e1730152147902.jpg)
Rodri ha vinto il Pallone d’Oro. Una giusta rivincita per i centrocampisti, ai quali per anni questo premio era stato precluso per miopia calcistica.
L’assegnazione del Pallone d’Oro a Rodri è talmente giusta da stridere terribilmente con la storia recente di questo premio, divenuto oggetto di dibattito a tal punto da perdere il proprio significato intrinseco.
Pallone d’Oro a Rodri: tanto rumore per nulla
Una scelta talmente sensata da diventare (paradossalmente) imprevedibile, alimentando discussioni anche laddove è assurdo che ce ne siano. Quanto tempo passato (giustamente, intendiamoci) a pontificare sulla centralità di Rodri in una delle squadre più forti e vincenti degli ultimi anni, ovvero il Manchester City di Guardiola. Statistiche e articoli sulle sue statistiche si sprecano e gli opinionisti si accalcano per evidenziare la sua importanza anche nella Nazionale Spagnola, fresca Campione d’Europa (anche) grazie a lui.
Il fatto che Rodri sia indispensabile nel gioco di Guardiola è un argomento talmente inflazionato da aver generato un fenomeno di assuefazione. Una volta chi notava l’importanza di un centrocampista (e il suo cosiddetto “lavoro oscuro”) poteva erigersi a colui che aveva una visione calcistica più sopraffina della media, oggi invece è diventato un tema così ridondante che letteralmente tutti lo ripetono come pappagalli. Lo utilizza come mantra persino chi non saprebbe spiegarti a parole sue ciò che ha sentito da altri.
Alla luce di ciò, appare ancor più paradossale il polverone mediatico che si è alzato (soprattutto in Spagna) alla notizia che il tanto agognato (forse una volta) premio non sarebbe stato assegnato a un giocatore del blasonato Real Madrid. Perché la narrazione è quella che il Pallone d’Oro non interessi a nessuno (con massimo rispetto Toni, s’intende), eppure la sua assegnazione rimane uno dei momenti più discussi dell’intera annata calcistica.
Una pantomima in perfetto stile Real
Il Real è uno dei club più vincenti e gloriosi della storia del calcio. E’ un ambiente storicamente abituato a vincere sempre e comunque, e forse è proprio per questo che non ha mai imparato a perdere. La pantomima mediatica inscenata dall’ambiente blanco è a metà fra l’ilare e il grottesco, francamente inaccettabile per un club di siffatte proporzioni. Una boutade in perfetto stile Real: tipico di chi non sa perdere.
Dall’entourage di Vinicius allo sfogo per mezzo social di quest’ultimo, passando per l’esilarante richiesta di “rispetto” (almeno stando a quanto riportato dagli insider spagnoli) dei vertici delle merengues o dalla decisione dei giocatori di disertare la cerimonia di Parigi. Strano, poiché non mi sembra di ricordare che nessuno di loro avesse preteso rispetto dopo il gol inspiegabilmente annullato al Bayern nella semifinale della scorsa Champions.
Partita che, di fatto, ha permesso loro di raggiungere la finale poi vinta con il Borussia Dortmund: alla base delle proprie recriminazioni. Stante che, se proprio fossi stato costretto ad assegnare il premio ad un giocatore del Real, avrei scelto (nell’ordine) prima Carvajal e Bellingham e solo in extrema ratio Vinicius.
Rodri e la “rivincita” dei centrocampisti sugli attaccanti
Ceteribus paribus (hanno alzato tutti e tre la Coppa dalle grandi Orecchie con il Real) reputo sarebbe stato giusto premiare chi si è differenziato maggiormente con la propria nazionale. Carvajal ha vinto tutto (Europeo e Champions League) da assoluto protagonista. Bellingham è arrivato in finale e, pur non brillando con la maglia dei Tre Leoni, ha comunque sciorinato una stagione individuale migliore a livello di club.
Vinicius, invece, è stato protagonista (in negativo) della deludente campagna in Copa América del Brasile, dove tra l’altro ha anche saltato il quarto di finale con l’Uruguay per doppia ammonizione. Una squalifica rimediata nell’ultima partita del girone contro il Paraguay, sul 4-1 (a sette minuti dalla fine) per i verde oro e causata da una evitabilissima litigata con Cubas: episodio sintomatico degli evidenti limiti caratteriali del ragazzo.
Vinicius è un giocatore straordinario, ma con questo suo infantilismo ha confermato la bontà della scelta di non assegnare a lui il Pallone d’Oro. Per fortuna stiamo lentamente uscendo dall’era della miopia calcistica e gli attaccanti non hanno più tutti i fari puntati in campo come una volta. Non è più fuori dal mondo assegnare un premio del genere a un centrocampista. Dopo Modric anche Rodri, che infatti ha dedicato il premio ai suoi connazionali (Xavi e Iniesta su tutti) che non erano mai riusciti a vincerlo.
editoriale
Porto, addio a Pinto Da Costa: “l’ultimo Presidente”
![Porto-Roma](http://www.calciostyle.it/wp-content/uploads/2025/01/LA-FORMAZIONE-DEL-PORTO.jpg)
Ieri, 15 Febbraio 2025, si è spento l’ex-plenipotenziario del Porto Pinto da Costa: il Presidente più vincente nella storia del calcio.
Pinto da Costa, al secolo Jorge Nuno de Lima Pinto da Costa, si è spento ieri (15 Febbraio 2025) alla veneranda età di 87 anni. Lutto nel mondo calcistico, portoghese ma non solo. Ci lascia l’ultimo vero “Presidente” contemporaneo, in un calcio ormai fagocitato da fondi d’investimento e cordate finanziarie.
![Porto](http://www.calciostyle.it/wp-content/uploads/2025/01/I-TIFOSI-DEL-PORTO.jpg)
I TIFOSI DEL PORTO ( FOTO SALVATORE FORNELLI )
Pinto da Costa, il Presidente più “decorato” di sempre
Nella bacheca del Porto ci sono 83 trofei. I Dragoni sono la decima squadra al mondo per numero di trofei conquistati, la sesta nel continente europeo. Prima di loro soltanto Rangers (117); Celtic (115); Real Madrid (110); Barcellona (99) e Benfica (84). 67 di questi sono arrivati con Pinto da Costa alla guida del club, il ché lo rende il Presidente più vincente nella storia del calcio: avendo portato oltre l’80% dei loro titoli.
E’ diventato proprietario del Porto nel 1982 e la sua gestione è durata 42 anni, prima di lasciare il timone della barca ad André Villas-Boas: suo ex-allenatore che lo ha battuto alle elezioni presidenziali dello scorso Maggio. Fra gli allenatori portati al Porto da Pinto da Costa ci sono anche Sergio Conceicao (attuale allenatore del Milan, che ieri sera non si è presentato in conferenza stampa a commentare la vittoria contro l’Hellas Verona in segno di lutto) e soprattutto José Mourinho: l’allenatore più iconico dei Dragoni.
Proprio il Profeta di Setubal ha voluto commemorare il suo padre putativo, con uno struggente messaggio d’addio affidato ai propri canali social: “Mourinho sei stato l’allenatore che mi ha dato più gioia“, sono le parole che mi hai detto tu, Presidente. Le mie invece sono state: “E’ stato un grande onore aver fatto parte della tua storia, e ti ringrazierò sempre per la tua fiducia e l’influenza che hai avuto sulla mia carriera”. Così ci siamo salutati quando in passato ci siamo incontrati nella sua amata città. Il sorriso del primo giorno, la gioia dell’ultima volta che siamo stati insieme. IL PRESIDENTE, il mio PRESIDENTE“.
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Porto, modello virtuoso fagocitato da un calcio “malato”
In occasione della gara di Europa League fra il suo Fenerbahce e il Lione, l’allenatore portoghese si era espresso in questi termini: “Il calcio oggi conta un numero incredibile di club, proprietari e presidenti che non capiscono nulla di calcio. Non ci sono più presidenti che restano per 20 anni come il signor Aulas (ex-Presidente del Lione, n.d.r.) o come il signor Pinto Da Costa , persone che capiscono. Questa squadra è una buona squadra. E una buona squadra è tale solo quando l’allenatore è bravo“.
Il riferimento era all’allora allenatore de Les Gones Pierre Sage, per cui già all’epoca si ventilava un esonero che poi è effettivamente arrivato. Nelle parole del lusitano si percepisce un malcelato fastidio per la fine di un calcio basato sul presidenzialismo. La figura del presidente “vecchio stampo” sta lentamente scivolando via dal dizionario calcistico, lasciando spazio a conglomerati finanziari con leadership dai contorni sfumati.
Sono in pochi ormai quelle che resistono e spesso, quando arriva il turno di abdicare, non è mai realmente per loro volontà. La fine del gradimento dei confronti di Pinto da Costa è figlia anche della precaria situazione economica del club, che è stato costretto a smantellare la squadra in estate e a proseguire questo lavoro di restyling anche in inverno: salutando Galeno e Nico Gonzalez a poche settimane dalla sfida alla Roma.
Presidenti che non riescono più a mantenere competitivo il loro club e che per questo si affidano ai milioni degli investitori stranieri (spesso americani), che però sovente finiscono per esautorarli: in quanto il loro modello di business è incompatibile con la tradizionale concezione dell’azienda calcistica a “conduzione familiare”. Assieme a da Costa muore uno degli ultimi pezzi di un calcio che non esiste più.
editoriale
Il “non detto” di Ranieri, una “Mourinhata” che cela altro
![Roma](http://www.calciostyle.it/wp-content/uploads/2025/02/Ranieri-rammaricato.jpg)
La “Mourinhata” di Ranieri a Oporto: una caduta di stile che cela dell’altro, perché il “non detto” talvolta è più esplicito di ciò che si dice.
Settimana infuocata nel “Bel Paese”. Le discussioni arbitrali e sul VAR oltrepassano i confini nostrani ed esondano in quelli internazionali, solitamente estranei a litanie che è possibile udire soltanto in Italia.
A Ranieri cade la corona: si “traveste” da Mou per una sera
Da tutti potevamo aspettarci un’uscita di questo genere, tranne che da Claudio Ranieri. Ribattezzato “Sir Claudio” in Inghilterra. E non solo perché “Sir” è l’appellativo di cortesia con cui gli anglosassoni battezzano tutti i personaggi pubblici di genere maschile. “Sir” lo si deve anche alla sua signorilità, che solitamente è imperturbabile e degna di un lord inglese. Nonostante ciò, Ranieri è comunque un figlio della Roma.
In tutti i sensi. Verace, spontaneo e sincero come si addice perfettamente alla periferia romana. Ma anche esperto in dietrologia, vittimismo e naturalmente incline al complotto. Ranieri non è esente dalla narrazione tossica che spesso e volentieri accompagna l’ambiente di Trigoria, che vede nell’individuazione di un nemico esterno un leitmotiv ricorrente nell’ambiente giallorosso: concetto portato al non plus ultra da Mourinho.
Se però la creazione artificiale di un nemico esterno per compattare l’ambiente è sempre stata la peculiare arma comunicativa dello Special One, da un serafico come Ranieri ci si aspettava altro. Sir Claudio non perse il suo aplomb neanche il 17 Aprile del 2016, quando una disastrosa gestione della gara da parte di Jonathan Moss rischiò di compromettere la corsa del suo Leicester (2-2 in casa con il West Ham) verso la Premier League.
![Roma](http://www.calciostyle.it/wp-content/uploads/2024/12/Ranieri-1.jpg)
CLAUDIO RANIERI ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Il Claudio furioso: (ri)spunta addirittura Taylor
Parole gravissime quelle di Ranieri, che ne ha per tutti. Dall’arbitro Stieler (“Voleva far vincere il Porto“) a Roberto Rosetti, presidente della Commissione Arbitri del UEFA. Accusato di essere “quello che ha designato Taylor per Budapest“, in riferimento all’arbitraggio di Roma-Siviglia. Finale dell’edizione 2022-2023 dell’Europa League, con una clamoroso rigore negato ai giallorossi sul finale dei tempi supplementari.
Una dichiarazione che, come nel migliore dei crossover cinematografici, tesse una tela di continuità con la linea comunicativa dello stesso Mourinho, a cui fece seguito un aggressione da parte di alcuni “tifosi” giallorossi nei confronti proprio del fischietto inglese. All’epoca le dichiarazioni del portoghese vennero (giustamente) condannate, ma come mai non si fa lo stesso con quelle di Ranieri? Perché il tecnico romano cita l’Atalanta.
Nel corso della conferenza stampa post-partita, Ranieri fa un esplicito riferimento al rigore che ha permesso al Club Brugge di battere la squadra di Gasperini a tempo scaduto. Le forche caudine della comunicazione nostrana insorgono, chiedendo “rispetto” e millantando inesistenti “complotti” che vorrebbero “danneggiare l’Italia nella corsa al secondo posto nel Ranking UEFA, favorendo (per qualche ragione) la Spagna“.
![Roma, Ranieri](http://www.calciostyle.it/wp-content/uploads/2025/01/urlo-Ranieri-2.jpg)
L’URLO DI CLAUDIO RANIERI CHE PUNTA IL DITO ( FOTO FORNELLI/KEYPRESS )
L’Italia è ferma (ai complotti), come il suo calcio
Inserita in questo contesto più ampio, la sfuriata di Ranieri assume tutt’altro significato. Con ogni probabilità l’Italia quest’anno non riuscirà a mantenere uno dei primi due posti nel Ranking UEFA, che permetterebbe alla Serie A di avere 8 squadre (di cui 5 in Champions League) nelle competizioni UEFA. In parte a causa di un cambio nel regolamento, che fino all’anno scorso equiparava i punti ottenuti in Europa League e Conference League a quelli ottenuti in Champions: una “stortura” prontamente rimossa.
Fin dall’inizio era chiaro a tutti che se l’Italia avesse voluto mantenere il secondo posto nel Ranking UEFA avrebbe dovuto far fare alle sue squadre un percorso simile a quello fatto l’anno scorso dall’Atalanta (in Europa League) e dalla Fiorentina in Conference League. Impresa ovviamente impossibile, perché le squadre italiane non sono minimamente attrezzate e questa tre-giorni europea ne ha dato una lapalissiana dimostrazione.
Lo show di Gasperini, che impazzisce per un rigore ineccepibile in termini di regolamento; la rabbia di Conceicao, che decide arbitrariamente quanto dura una conferenza stampa e quante domande debbano fargli i giornalisti locali; e lo sfogo di Ranieri tracciano questo solco. Il calcio italiano, ancora una volta vittima della sua bolla, sognava di aver raggiunto un livello e si è svegliato ancora lontanissimo da esso.
E non potendolo ammettere, l’unica alternativa rimane quella di preparare l’opinione pubblica ad uno scenario che tutti sanno essere inevitabile ma che si sta cercando di rimandare il più a lungo possibile. Una tecnica che prende a piene mani da altri contesti, che in teoria dovrebbero essere lontanissimi dal calcio. Ma alla fine tutto il mondo è paese, giusto? L’Italia non impara mai dai suoi errori.
editoriale
Napoli, Maradona come “metafora” di una città intera
![](http://www.calciostyle.it/wp-content/uploads/2025/02/simeone-spinazzola-mazzocchi.jpg)
Napoli è una città folle e intensa, esattamente come il suo calcio e come il suo campione: Maradona. Al punto da celebrare il campione e l’uomo.
Napoli è una città, ma è anche il luogo di un film intenso realizzato da Paolo Sorrentino: “E’ stata la mano di Dio”.
Anche se, oggi, il cannoniere del club partenopeo è Romelu Lukaku; la città del Vesuvio non dimentica il suo mito Maradona.
Nel 2021 è uscito nelle sale cinematografiche un film che metteva al centro Napoli ed il campione Diego Armando Maradona.
Sorrentino (regista del film) ne “E’ stata la mano di Dio” rappresenta il legame viscerale tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli ed uno dei bomber più controversi della storia del calcio internazionale.
Napoli e Sorrentino si conoscono da lunga data: la città partenopea, infatti, ha dato i natali al regista (ormai di respiro internazionale) che non ha mai nascosto di avere un’affinità esclusiva con la città, le sue fragilità e problematiche.
![Napoli](http://www.calciostyle.it/wp-content/uploads/2025/01/Lukaku-di-testa.jpg)
ROMELU LUKAKU IN ELEVAZIONE SFIORA IL GOL DI TESTA ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Napoli si mostra nel film in modo parallelo all’uomo Maradona
Il regista napoletano racconta la città di Napoli attraverso alcune storie (fatte di speranze e dolori) in un momento magico: l’arrivo del campione Diego Armando Maradona. Dimostra, attraverso la trama, il legame fortissimo con il giocatore argentino, al punto di adottarlo ed anestetizzare i propri disagi sociali.
Il titolo, infatti, richiama il gol (contestato) a Maradona durante il Mondiale del 1986, quando l’argentino ha segnato aiutandosi con la mano sinistra.
Un episodio che ha segnato la carriera del calciatore, che è diventato un “contro-esempio calcistico”. Perché questo episodio e la vita alquanto “al limite” hanno fatto sì che i tifosi e gli appassionati di calcio fossero sempre reticenti a considerarlo un vero campione.
E’ la mano di Dio il gesto che la città ha perdonato al campione, ma che il resto del mondo gli ha condannato e che ne ha segnato l’immagine.
Lo scugnizzo Maradona diventa il più napoletano dei giocatori e, magari, lo è stato davvero, ma non nel senso che – in troppi – hanno pensato, ma perché amava divertirsi ed essere allegro nonostante tutto.
Tra Napoli e Maradona si consuma un amore folle, al punto che la città (alla morte del campione) gli dedica lo stadio cittadino che diventa – appunto – il Diego Armando Maradona.
Sorrentino coglie l’ingrippo e parte proprio da questo rapporto controverso tra la città e il calciatore; Maradona diventa una metafora della vita complicata con gli abitanti di Napoli. Una città tanto bella, quanto complicata.
di Ludovica Cassano
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