editoriale
Ajax-Maccabi Haifa, un occhio sulla realtà degli “scontri”
Essendo CS una testata giornalistica sportiva, ci siamo limitati a riportare gli scontri avvenuti in Ajax-Maccabi Haifa come fredda cronaca.
Prendo atto del fatto che forse derubricare come “scontri” quanto successo giovedì ad Amsterdam possa essere semplicistico e quindi è necessario fare un’errata corrige, nonostante fosse stata rispettata la deontologia.
Ajax-Maccabi Haifa, la genesi degli scontri
Giovedì 7 Novembre, Amsterdam Arena. Il meraviglioso Ajax di Farioli continua a stupire, trascinato dalla stella di Mika Godts: “the new Hazard” che fa impazzire tifosi olandesi e belgi. Lo spettacolo calcistico offerto in campo dai Lancieri viene però oscurato e deturpato da “scontri” avvenuti fuori lo stadio, prima e dopo la partita, anche se (come ho detto nell’introduzione) sarebbe riduttivo apostrofarli semplicemente in questo modo.
A venire coinvolti negli scontri non sono stati “generici tifosi israeliani”, ma esponenti del Maccabi Fanatics. Un gruppo di violenti riottosi, appartenenti alla frangia ultra-ortodossa dell’estrema destra israeliana. Come documentato da numerose fonti, con tanto di video a corredo, i “supporters” del Maccabi Haifa si sarebbero resi protagonisti di atti irricevibili non appena messo piede nella capitale olandese.
Cori disdicevoli dentro e fuori lo stadio, fra cui echeggia un sinistro “there isn’t school at Gaza, cause there are no children left“. Si esortavano inoltre le FDI (le Forze di Difesa Israeliane) a “finire il lavoro con i fott*ti arabi“. Un video particolarmente esplicativo è stato pubblicato sul canale YouTube ufficiale di TRT World (emittente televisiva turca) e ritrae Jazie Veldhuyzen (consigliere comunale di Amsterdam) commentare i fatti.
Vergogna ad Amsterdam: fischiato il silenzio per Valencia
“Erano armati. Giravano indisturbati per la città, attaccando le persone. Soprattutto quelli che gli sembravano arabi o musulmani e che indossavano effigi palestinesi. Hanno tirato giù bandiere palestinesi dalle case. Hanno intonato cori orribili (come quelli che vi ho descritto sopra, n.d.r.) e sventolavano banner/sticker con parti di quei cori stampati sopra, come per esempio ‘we have war for fun‘.” dice Jazie nel suo video.
Questa frase non ha una traduzione letterale in italiano, la potremmo tradurre con “facciamo la guerra per divertimento” ma anche con “troviamo divertente la guerra” et similia. Jazie poi prosegue, adducendo gli scontri ad una “reazione” dei cittadini olandesi: a suo dire molto arrabbiati per gli atti di vandalismo dei tifosi ospiti. Il consigliere attacca poi i media locali, “colpevoli” di perorare la propaganda israeliana.
Gli “hoolingans” del Maccaibi Haifa (così li ha definiti Veldhuyzen) hanno poi fischiato il minuto di silenzio che il UEFA aveva dedicato alle vittime dell’alluvione di Valencia. La versione ufficiale del gruppo è che questo gesto sarebbe stato una risposta al sostegno da parte del primo ministro spagnolo (Pedro Sanchez) alla causa palestinese: posizioni che hanno portato ad una vera e propria crisi diplomatica fra i paesi.
Ajax-Maccabi Haifa, una corretta cronaca dei fatti
Anche la definizione di “scontri fra tifosi” (utilizzata anche da noi nel precedente articolo e di questo mi scuso a nome della redazione di CalcioStyle) sarebbe inesatta, dal momento che (come riporta “Il Manifesto“) nessun supporter dell’Ajax avrebbe preso parte agli scontri. I disordini sarebbero avvenuti principalmente fra esponenti del Maccabi Fanatic e manifestanti pro-Palestina, che stavano svolgendo un corteo in centro città.
Scontri che hanno visto coinvolta anche la polizia locale, che avrebbe tentato di sedare i disordini, e che Jaze riconduce ad un atteggiamento che lui stesso chiama “gloryfing genocide“: “apologia del genocidio” in italiano. Sia il New York Times che il The Athletic hanno dedicato al caso due lunghissimi approfondimenti, non solo sugli scontri avvenuti giovedì scorso ad Amsterdam ma anche sulla storia dei Maccabi Fanatics.
Una storia di comprovato razzismo e islamofobia, che affonda le sue radici in una cultura etno-nazionalista che è estremamente diffusa in una parte della società sionista. Non c’è stato quindi nessun attacco di matrice antisemita né tantomeno un pogrom, parola utilizzata spesso a sproposito e da persone che ne ignorano il significato, ma semplicemente una “reazione” della società civile all’intemperanza di individui da marginalizzare.
editoriale
Hummels, da titolare in finale di Champions a escluso: la scellerata gestione di Juric
In uno dei periodi più difficili della storia recente della Roma, si sta trasformando in un vero e proprio caso il non utilizzo in campo di Mats Hummels.
La situazione riguardante Mats Hummels alla Roma è diventata un vero e proprio caso. Anche ieri nella trasferta in terra belga contro l’Union Saint Gilloise, il difensore ex Borussia Dortmund non ha preso parte alla gara, con Ivan Juric che gli ha preferito un Cristante fuori-ruolo.
La spiegazione ufficiale data dal tecnico giallorosso è quella puramente di una scelta tecnica. Prima della gara contro la formazione belga, l’ex allenatore di Torino ed Hellas Verona, alla domanda costante dei giornalisti sul mancato impiego del centrale tedesco aveva risposto con una semplice preferenza nel vederlo nella stessa posizione di Evan Ndicka, da inizio stagione il migliore del reparto difensivo.
Ieri però il difensore ivoriano non era stato convocato causa febbre e con l’assenza concomitata di Hermoso Juric aveva solamente due difensori di ruolo a disposizione: Mancini e appunto Hummels.
Nel pomeriggio antecedente alla gara di Europa League è uscita l’indiscrezione, poi confermata, che avrebbe giocato nella posizione di centrale della difesa a tre Bryan Cristante. Un ruolo che aveva già ricoperto in passato sotto la gestione Mourinho ma sicuramente non quello da lui prediletto e nel quale si esprime al meglio. Nei minuti prima del match contro i belgi, Juric ha parlato nuovamente di scelta tecnica, facendo intendere che il tedesco non sia in grado di riuscire a svolgere al meglio i compiti assegnati.
Una situazione ai limiti dell’assurdo se pensiamo che Mats Hummels non è sicuramente l’ultimo arrivato se parliamo dell’arte della difesa. Un giocatore che, oltre ad aver giocato l’ultima finale di Champions League (meno di 5 mesi fa) da assoluto protagonista, ha calcato palcoscenici che il tecnico croato non ha mai neanche visto. A dare ulteriori perplessità è il fatto che la difesa di Juric, suo grande punto di forza, non stia per niente performando.
Infatti, il reparto difensivo non sta lavorando come dovrebbe: sono 13 i goal incassati da quando l’ex Torino si è insediato sulla panchina giallorossa e sarebbero stati molti di più se in porta non ci fosse Mile Svilar, chiamato spesso agli straordinari.
Perciò in una difesa a tre così trasandata, in cui Angelino è costretto a fare il braccetto di sinistra e Cristante il centrale di difesa, davvero Mats Hummels non può giocare neanche uno spezzone di gara?
Conference League
La Fiorentina non può vincerle tutte: critiche esagerate dopo ieri sera?
La Fiorentina perde la sua seconda gara ufficiale e fioccano le critiche. Analizzando quest’ultime, vi diamo la nostra versione dei fatti.
La Fiorentina, tra Campionato e Conference League, veniva da 8 vittorie ed un pareggio ed aveva perso una sola gara ufficiale (a Bergamo, dopo aver condotto la partita per quasi tutto il primo tempo): ci può stare, quindi, una defaillance.
In giro si stanno facendo tante, forse troppe, critiche al primo ostacolo e questo non lo troviamo giusto. Fin qui la stagione viola è e rimane senz’altro positiva.
È vero che ieri si giocava in casa di una squadra non eccelsa, ma schierare 10 riserve su 11, a nostro modesto parere, non te lo puoi permettere in nessuna competizione al Mondo. Anche perché se schieri tutti giocatori che mai, o quasi, hanno disputato un incontro insieme, specie in difesa, saltano tutti gli automatismi della compagine titolare. Forse far riposare un po’ alla volta i componenti della rosa sarebbe stata una scelta meno traumatica. I ciprioti hanno poi preparato il match come quello della vita, per il prestigio che darà loro in questi giorni di festa (visto il compleanno numero 98 della società).
Giusto comunque dare priorità al Campionato, ci sta di perdere una gara dopo nove risultati utili consecutivi. Perciò ora la testa andrà senz’altro al Verona, dove la Viola ha un’altra occasione per migliorare ulteriormente la classifica, andando a vedere il calendario delle sue concorrenti verso l’Europa.
Concludiamo con due battute sui singoli. Palladino sta cercando di recuperare e rendere arruolabili per il Campionato almeno qualcuna delle riserve e disposizione. Sottil è entrato nel giro dei titolari, complici anche le assenze a centrocampo che hanno fatto tornare a giocare Bove in mezzo, ed anche Ikoné sembra in ripresa.
Male, anzi, molto male Kayode, che però resta un patrimonio della Fiorentina, da difendere e recuperare con le unghie e con i denti, così come quello di Parisi, dove la mancanza di fiducia, di Italiano prima e Palladino poi, ne ha minato le certezze.
Leggendo i commenti sui social, poi, aspettiamo a bocciare dopo 3, 4 o 5 partite giocatori giovani provenienti da un calcio molto diverso come Moreno e Richardson. Diamogli almeno qualche altro mese di tempo. Il primo, ad esempio, oltre a provenire da un mondo molto diverso, ha sempre giocato in una difesa a 3.
Insomma, si è perso una partita, ma non bisogna fare drammi.
editoriale
Lazio, è caduta la monarchia: Taty e Dia cancellano lo spettro di Immobile
Altra vittoria di carattere della Lazio, che (come con l’Empoli) emerge vittoriosa da una partita complicata grazie alle sue soluzioni.
Zac, si gira. Questa volta niente boutade dagli undici metri. Zaccagni, sebbene appena entrato, si prende pallone e responsabilità di andare dal dischetto. Castellanos a secco, questa volta, non è un fattore. Il bacio dell’argentino al proprio capitano è l’highlight della serata, la cui leadership è riconosciuta all’interno del gruppo.
“Il mio centravanti è la mia squadra“
Già, il gruppo. Quel gruppo che Baroni è stato in grado, sapientemente e pazientemente, di ricucire e (ri)plasmare. Quella del centravanti che cede pallone e riflettori al proprio compagno è una scena che alla Lazio non si era più abituati a vedere, ma che si torna ad ammirare con gioia. Taty non segna neanche stavolta, ma nonostante il suo centravanti sia fermo a quota 5 gol in campionato la Lazio (24 reti all’attivo) ha comunque il terzo attacco della Serie A.
In Italia solo Inter (25) e Atalanta (29) hanno fatto meglio. In Europa (considerando tutte le competizioni) soltanto Bayern Monaco (30) e Barcellona (38) fanno meglio del collettivo di Baroni. Già, il collettivo. Quella componente marginalizzata e fagocitata dall’individualismo dei cosiddetti “senatori”, che sistematicamente immolavano il bene della squadra sull’altare del proprio ego personale. Potati i rami secchi e le mele marce, la Lazio ragiona da squadra. Pensa da squadra. Gioca da squadra.
Alla faccia di chi pensava che senza Immobile non si potesse più giocare a calcio. Il centravanti da 40 gol (se fa solo quello) è utile alla sua squadra come un partito che prende il 30% alle elezioni. Lui esulta, ma la coalizione perde perché i voti se li è presi tutti lui. Il centravanti che fa giocare (bene) la squadra; che gioca con e per la squadra; che fa segnare anche i suoi compagni, magari segnerà qualche gol in meno. Ma chi se ne importa, verrebbe da dire, se i risultati sono questi.
Lazio, vietato porsi obiettivi (ora)
Oggi la Lazio ha più soluzioni e per questo vince più partite. Gare come quelle contro il Cagliari (o contro l’Empoli) la “vecchia” Lazio non le avrebbe mai vinte, in quanto era prigioniera dell’egoismo dei suoi singoli. Avere più giocatori che vanno in gol (11, nessuno in Italia ne ha mandati a segno di più) significa essere imprevedibili. Imprevedibilità significa più soluzioni e più soluzioni vuol dire più vittorie, quindi più punti. Sintomatico di questo la coesistenza, che pareva impensabile, fra lui e Dia.
Due che nascono come nove veri, che pensano da centravanti e che quindi vorrebbero segnare tutte le partite. Eppure fra i due non c’è una deleteria competizione, ma una sana cooperazione. Quando segna uno esulta anche l’altro, perché sa che segnerà alla prossima. Per questa ragione il senegalese ha accettato di giocare molto più lontano dalla porta (da “finto dieci”) per i suoi standard. Ha accettato di sacrificarsi perché ha percepito la stessa predisposizione al sacrificio da parte dei suoi compagni.
Scordatevi la Lazio del “Re” e dei suoi dieci cavalieri serventi. La monarchia a Formello è caduta e quando cade la Corona è sempre una cosa positiva. Molti si chiedono dove possa arrivare questa Lazio. A questa domanda rispondo che non ha senso iniziare a chiederselo. Sarebbe stupido, considerando che la forza di questa squadra risiede proprio nella sua leggerezza. Nella consapevolezza che questo è un anno zero. Una stagione senza obiettivi, e tale deve rimanere.
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