Focus
Al Manchester United si inizia a parlare di retrocessione
Ruben Amorim, tecnico del Manchester United, ha parlato per la prima volta di “retrocessione” dopo la sconfitta interna con il Newcastle.
Al termine della gara persa (0-2) ad Old Trafford con il Newcastle, il tecnico del Manchester United Ruben Amorim è stato lapidario nella conferenza stampa post-partita. “E’ il momento peggiore nella storia di questo club. Il rischio retrocessione è concreto e dobbiamo dircelo chiaramente. I giocatori hanno bisogno di un forte choc emotivo per uscire da questa situazione”.
Premier League, com’è la situazione nei bassifondi?
Stante il vecchio adagio secondo il quale una squadra non costruita per stare nei bassifondi non abituata a dover lottare per la salvezza può incorrere in epiloghi impossibili da prevedere, la Premier League è per definizione il campionato dove la possibilità che certi capitomboli accadano è più alta.
Questo per via del livello di competitività altissimo del torneo a tutte le latitudini della classifica, compresi i suoi bassi fondi. Il Wolverhampton sembra un’altra squadra dall’arrivo di Vitor Pereira e l’Ipswich del bravissimo McKenna si è finalmente abituato alla categoria. Per fare compagnia al Southampton, praticamente già spacciato nonostante Juric, le favorite (ad oggi) sembrerebbero l’Everton e il Leicester.
I Toffees però sono una squadra navigata, abituata a districarsi nella melma e con un tecnico (Sean Dyche) che in passato ha più volte dimostrato di essere capace di tirare fuori dal nulla salvezze impensabile. Le Foxes hanno un tasso tecnico che nulla a ché vedere con la lotta per non retrocedere, ma i tanti infortuni che stanno vessando la squadra da inizio stagione e la confusione societaria interna sono una Spada di Damocle.
Manchester United, tutti i “casi aperti”
In questi casi si tende sempre a lanciare l’allarme il prima possibile, solitamente circa a metà stagione, per evitare di dover fare i conti con la realtà quando potrebbe essere troppo tardi. Tuttavia, tutti i casi di queste “grandi” che in passato hanno rischiato il declassamento (Lione e Ajax l’anno scorso e Roma quest’anno, per fare due esempi recenti) sono sempre stati risolti da un tasso qualitativo fuori categoria per quelle zone.
Tuttavia, nessuno di questi campionati è paragonabile alla Premier League. Il Manchester United è una polveriera, il cui clima da guerriglia urbana è stato esacerbato dai recenti casi interni allo spogliatoio. Il primo ha riguardato Rashford e Garnacho, con l’argentino che è stato reintegrato (sebbene ancora molto indietro nelle gerarchie) mentre l’inglese è tutt’ora fuori rosa e in cerca di sistemazione sul mercato.
Poi c’è il “caso” Zirkzee, con l’olandese sostituito da Amorim al 33esimo della gara contro i Magpies (con la squadra sotto 2-0) per disperazione. Esperimento del doppio-centravanti definitivamente in soffitta, con l’ex-Atalanta Hojlund nettamente avanti nelle gerarchie e l’olandese sul mercato. La sensazione è che i Red Devils abbiano commesso un altro grossolano errore in fase di programmazione della stagione.
Confronto Amorim-Van Nistelrooy: era giusto cambiare?
Iniziare la stagione con un allenatore delegittimato e sfiduciato da tutto l’ambiente (Erik ten Hag) solo perché ha vinto una finale, per poi sostituirlo a Novembre, è una scelta incomprensibile, ma lo è ancora di più aver esautorato Van Nistelrooy. Nel suo interregno, infatti, l’ex-vice di ten Hag aveva collezionato tre vittorie in quattro partite: compreso il passaggio del turno negli ottavi di League Cup proprio contro il Leicester.
Con la stagione virtualmente già andata, sarebbe stata una scelta di buon senso tenere il tecnico olandese almeno fino alla fine della stagione. Amorim è certamente uno dei tecnici più promettenti e brillanti della nouvelle vague dei giovani allenatori, ma è un allenatore fortemente identitario. E’ uno di quelli che adatta i giocatori al suo modo di giocare e non viceversa: non è uno da prendere in corsa.
Il Manchester United avrebbe dovuto bloccare il lusitano per Giugno, in modo tale da permettergli di finire la stagione con lo Sporting Lisbona e nel frattempo affidarsi ad un caretaker che conosceva a menadito l’ambiente per far attraccare una nave alla deriva in un porto sicuro. Non ho dubbi sul fatto che un tecnico capace come Amorim saprà come uscire da questa situazione, ma le possibilità che una squadra “inallenabile” come il Manchester United in questa fase storica possa fagocitare anche lui (come del resto in passato ha fatto con altri suoi illustri colleghi, molto più esperti di lui) sono molto alte.
Focus
Fiorentina: Luiz Henrique il sogno viola
Calciomercato-Fiorentina: Luiz Henrique, fresco pallone d’oro, sudamericano è il sogno velato della dirigenza viola, ma prima bisogna convincere il Botafogo.
Luiz Henrique, classe 2001 del Botafogo, vince il corrispettivo del Pallone d’Oro del Sudamerica dopo aver concluso una stagione oltre che da campione anche da assoluto protagonista.
In 59 partite giocate Henrique ha segnato 12 goal e servito 6 assist, scacciando quelle voci che vedevano il suo ritorno in Brasile, dopo una parentesi sfortunata con il Betis Siviglia, come un fallimento.
Il sogno viola si prospetta molto complicato. Infatti, la dirigenza aveva già sondato il terreno con una prima offerta di 30 milioni. Cifra che il Botafogo aveva rispedito al mittente, giudicandola troppo bassa.
La squadra brasiliana, che nella stagione appena conclusa è riuscita a prendersi tutto quello che poteva – vincendo il campionato ( che mancava dal ’95) e la prima Copa Libertadores della sua storia – è a conoscenza del grande valore del giocatore che forse più di tutti ha permesso tutto ciò.
Il talento verde-oro, infatti, con un goal in finale contro l’Atletico Mineiro mise da subito in chiaro che il premio di MVP e la Copa sarebbero stati entrambi suoi.
Chi è Luiz Henrique
Il mattatore della finale di Libertadores si è guadagnato in piena regola il titolo di pallone di Sudamericano. Beffando il suo compagno di squadra Jefferson Savarino, che ha ottenuto solo 25 voti, a differenza di Henrique che con i suoi 128 sui 244 votanti ha accumulato il 52% dei consensi .
Il premio che viene assegno El Pais (testata giornalistica uruguaiana) fa il paio con quello di “Craque do Brasileirao” (miglior giocatore del campionato brasiliano) rendendo al massimo il motivo per cui il Botafogo abbia speso 16 milioni di euro per riportare Henqrique in Brasile dopo una non facile prima esperienza in Europa.
“O pantera” è il soprannome che si è guadagnato con l’esultanza nella partita contro Fluminense (sua ex squadra) ad aprile, nel primo turno del Brasileirão. Dove dopo aver aperto le marcature del match ha tirato fuori una maschera che richiama il celebre personaggio Marvel Black Panther.
Cosa potrebbe dare alla Fiorentina
Lo stile di gioco del giocatore non lascia molto spazio a diverse interpretazioni. Si tratta di un’ala versatile di piede mancino, che può giocare su entrambe le fasce ma che si esprime meglio schierato a piede invertito. Per rendere al meglio l’idea tattica del giocatore basti pensare a lui come ad una versione brasiliana di Nico Gonzalez.
Nel calcio di Palladino si inserirebbe perfettamente, non dovendosi adattare ad uno schema a lui sconosciuto e lasciando aperta la questione di adattamento solo al nuovo campionato. Nel 4-2-3-1 viola potrebbe ricoprire un infinità di ruoli, a partire dalle 2 ali fino alla punta centrale, ma comunque il ruolo prediletto sarebbe quello di ala destra, che gli darebbe l’opportunità di accentrarsi e di sfruttare il suo sinistro.
Ai tempi della Fluminense, squadra in cui è cresciuto, era solito ricoprire il ruolo di ala offensiva all’interno di un 4-3-3. Schema che gli valse la chiamata europea del Betis Sevilla.
La dirigenza della Fiorentina pensa a lui come un possibile nuovo innesto al posto di Andrea Colpani, in grado di dare maggiore imprevedibilità alla squadra e andando a formare un tandem tutto brasiliano sulla fascia destra con Dodò. Tuttavia, la Fiorentina, togliendo un facilitatore come Colpani dal campo, perderebbe un importante uomo squadra, che, seppur non stia rispettando troppo quelle che erano le premesse di inizio campionato, riesce sempre a creare qualcosa per i compagni.
L’idea di poter vedere alle spalle di Moise Kean un trio formato da Gudmusson-Beltran-Luiz Henrique esalta e non di poco il pubblico viola, che dopo il grande avvio di stagione si è guadagnata il diritto di poter sognare in grande.
Focus
Roma, Ranieri: le mosse che cambiano un derby
Dalla sostituzione di Totti e De Rossi nel 2010 all’inserimento di Pellegrini nel derby di ieri: le mosse del tecnico della Roma per vincere la stracittadina.
Spesso si dice che l’allenatore più bravo è quello che sa azzeccare i cambi durante la partita, o subito a ridosso di essa. Vedi Gasperini, che in questa stagione con l’Atalanta spesso ha pescato dalla panchina gli uomini giusti per poter vincere la gara. Vedi anche Allegri, un altro allenatore che con la Juventus molte volte si è trovato portare a casa la vittoria grazie ai subentrati.
In questa categoria, senza ombra di dubbio, c’è anche Claudio Ranieri. La sua specialità? Anche e soprattutto vincere i derby con mosse a sorpresa. Con quello di ieri fanno 5 su 5 nella sua carriera da allenatore della Roma, cominciata nel settembre 2009.
L’inserimento di Lorenzo Pellegrini nell’undici titolare di ieri contro la Lazio è stata una mossa che ha sorpreso tutti, ma forse non chi conosce veramente bene il passato del tecnico testaccino. Ed il capitano giallorosso, tra lo stupore generale, gli ha dato subito ragione, aprendo le danze con lo splendido gol del vantaggio. Una rete che, di fatto, ha messo da subito la gara in discesa per i giallorossi.
Nella conferenza stampa post match di ieri Ranieri ha detto di come, parlando con Pellegrini alla vigilia del derby, avesse intravisto in lui una clamorosa voglia di giocare e di dare tutto per la sua Roma nella gara più importante della stagione. Ranieri lo ha accontentato, preferendolo a Pisilli, e rischiando il tutto per tutto, anche le possibili critiche da parte di stampa e tifosi in caso la partita non fosse andata per il verso giusto.
Una mossa decisiva, quasi ai limiti di una visione. Eppure, come detto, non è la prima volta che Ranieri sorprende tutti, anzi. E come in quella volta c’è sempre un derby di mezzo.
Totti e De Rossi: la mossa folle per vincere il derby
Era il 18 aprile 2010. La Roma affrontava la Lazio nel derby di ritorno. I giallorossi sono in un testa a testa serrato contro l’Inter di Mourinho, che ha vinto per 2-0 sulla Juventus, e vogliono battere i rivali cittadini per riprendersi la vetta della classifica. In campo i giallorossi però appaiono contratti, tesi. La squadra non riesce ad essere minimante pericolosa, anzi, a passare in vantaggio è la Lazio con la rete di Rocchi.
La Roma va negli spogliatoi in svantaggio. E’ una gara che non si può assolutamente perdere, e Ranieri decide di fare una mossa che resterà per sempre nella mente e nei ricordi di tutti i tifosi. Nella ripresa il tecnico decide il ribaltone: fuori Totti e De Rossi, dentro Menez e Taddei. Una scelta che lascia interdetti in molti, sia gli spettatori davanti alla tv che quelli presenti allo stadio. Ranieri decide di fare a meno dei due simboli della Roma e di prendersi tutti i rischi. Una scelta che però sarà decisiva per il match.
Eppure, ad inizio ripresa, la Lazio rischia addirittura di raddoppiare: Cassetti stende Kolarov in area e Tagliavento assegna il rigore. Dagli undici metri, però, Floccari si fa ipnotizzare da Julio Sergio, e da la scossa che serviva agli uomini giallorossi. Pochi minuti dopo Taddei si procura un calcio di rigore che Vucinic trasformerà nella rete dell’1-1. La Roma ritrova verve, gioco e movimenti, ed il subentrato Menez con una serpentina al limite dell’area di rigore si guadagna il fallo. Sulla punizione seguente Vucinic calcia forte e regala il vantaggio alla Roma.
Il derby terminerà 2-1 per la Roma, che tornerà capolista della classifica di Serie A. Uno dei derby più belli della storia giallorossa: vittoria e primo posto solitario in classifica, mentre con quella sconfitta la Lazio resterà pericolosamente vicina ad una zona retrocessione. Totti festeggerà sotto la Curva Sud con i pollici versi come sfottò contro i biancocelesti, ma a prendersi le prime pagine dei giornali, oltre a Vucinic, sarà Sir Claudio. La sua coraggiosa mossa ha cambiato, di fatto, l’inerzia di una gara che sembrava ormai segnata in negativo.
Quindici anni dopo la storia si ripete, ma al contrario. Invece di una sostituzione, è un ingresso a fare la differenza. Annunciato da tutti ancora una volta in panchina, Claudio Ranieri decide di dare a Lorenzo Pellegrini. il capitano della Roma, il posto da titolare in campo.
Forse qualcuno ieri prima della partita avrà pensato la mossa di ieri come un atto d’amore finale prima dei saluti, ma il campo ha dimostrato altro. Il gol, l’esultanza, e la festa al termine del match sotto la Curva Sud con giro di campo finale. E’ stata la notte di Pellegrini che, con la rete di ieri, ha voluto dire al mondo: questa è casa mia.
Ancora una volta Claudio Ranieri ha avuto ragione. Perché prima dell’allenatore c’è l’uomo, e prima dell’uomo c’è il padre. E Ranieri sa come trattare i suoi figli. I figli di Roma.
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Inter-Milan in Supercoppa: il precedente di Pechino 2011
La finale di stasera di Supercoppa italiana Inter-Milan è la seconda finale della storia in cui si affrontano le due milanesi: il precedente del 2011 a Pechino.
L’atto conclusivo di stasera della Supercoppa Italiana alla Kingdom Arena di Riyad vede di fronte il derby Inter-Milan. Le due milanesi si avevano già affrontato in finale di Supercoppa nel 2011 a Pechino, i rossoneri vittoriosi per 2 a 1 con reti di Ibrahimovic e Boateng dopo il vantaggio iniziale interista di Sneijder.
Inter-Milan, amarcord del 2011 a Pechino, Ibrahimovic e Boateng firmarono i successo dei rossoneri
La finale di stasera tra Inter-Milan alla Kingdom Arena di Riyad non è il primo derby ad essere una finale di Supercoppa Italiana. Nel 2011, infatti, nerazzurri e rossoneri si affrontarono allo Stadio Nazionale di Pechino per l’atto conclusivo della Supercoppa: con successo dei rossoneri per 2 a 1.
Il Milan, all’epoca allenato da Massimiliano Allegri, fresco di scudetto e con Ibrahimovic e Robinho come attaccanti, oltre alla vecchia guardia: Abbiati, Nesta, Zambrotta e Gattuso. Essa affrontava l’Inter post-Mourinho, allenata da Gian Piero Gasperini e che aveva vinto la Coppa Italia in finale contro il Palermo nella stagione precedente: quella con l’ex-Leonardo in panchina come tecnico ad interim.
Quella squadra ed annoverava in attacco Eto’o e Wesley Sneijder, con il sempiterno capitan Zanetti in difesa. Una finale dal pronostico incerto, con vantaggio iniziale al 22° di Sneijder: una magistrale punizioni delle sue. Poi, nella ripresa, i rossoneri ribaltarono il risultato, con Ibrahimovic al 60°, con un colpo di testa, e al 69° con Kevin Prince Boateng, che con un tap-in vincente sotto misura portò il Milan al successo.
Quindi fu una bella finale, tra due squadre con giocatori di altissimo livello ma anche alcuni al viale del tramonto. Come Nesta e Gattuso per i rossoneri, ma anche Zanetti e Stankovic per l’Inter.
Quella sconfitta di Pechino fu per il tecnico interista Gasperini l’inizio che avrebbe portato poi al suo esonero a settembre, con 4 sconfitte consecutive in campionato, mentre per il tecnico milanista Allegri il successo in Supercoppa sarebbe stato uno dei tanti successi in carriera da tecnico: culminata con l’epopea juventina.
Gasperini avrebbe dovuto attendere l’inizio della favola Atalanta per essere considerato tra i migliori tecnici italiani. Vedremo se la finale di stasera sarà all’altezza di quella disputata a Pechino nel 2011.
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