editoriale
Fiorentina, “anatomia di una caduta”

10 punti in 10 partite suonano come un campanello di allarme nelle menti di tifosi, cosa è successo alla bella Fiorentina delle prime fasi di stagione?
A differenza del film Anatomia di una caduta -(Anatomy of a Fall) è un film del 2023 diretto da Justine Triet, vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes – , che inizia con un evento tragico quasi come a preannunciare la sofferenza che pervaderà il resto della narrazione, la stagione della Fiorentina inizia in modo promettente. Fino a dicembre, infatti, si parlava della nuova viola targata Palladino come una delle possibili outsider del campionato, pronta a lottare per un piazzamento in Champions League, anche grazie al quarto posto vacante lasciato da una tra Milan e Juventus, complicate dalle difficoltà interne di entrambe le squadre.
Ma poi arriva la “caduta”: 10 punti nelle ultime 10 partite di Serie A, 8 sconfitte nelle ultime 16 (che diventano 9 includendo anche il Panathinaikos). Quattro mesi di “caduta libera”, simili a quella del personaggio di Samuel nel film, coinvolto nella tragica caduta su cui si basa la trama. E questa discesa sembrerebbe aver avuto inizio proprio a Firenze, proprio qualche mese fa, a partire da quel lunedì di Monza, passando per Verona, per culminare nella “caduta” casalinga contro il Como.
L’ombra della Fiorentina di Italiano
Il periodo di risultati altalenanti della Fiorentina sembra effettivamente mettere in discussione l’operato di Raffaele Palladino, che, all’inizio della stagione, era considerato una figura capace di portare la squadra a nuovi traguardi, anche grazie al doppio impegno tra Champions League e campionato del Bologna che avevano in qualche modo alterato la percezione parallela del lavoro dei due allenatori ( con la posizione sostanzialmente invertiva che vedeva il Bologna indietro rispetto alla viola) . Palladino era visto da molti come un degno sostituto di Vincenzo Italiano, o forse addirittura come una figura in grado di migliorare ulteriormente il lavoro del precedente allenatore,.
Tuttavia, con i recenti risultati, la situazione sta cambiando rapidamente. Se inizialmente Palladino sembrava destinato a costruire qualcosa di solido e ambizioso per il futuro, l’andamento della squadra negli ultimi due mesi, in particolare, sta alimentando dubbi sulla sua capacità di mantenere le promesse. A rendere ancora più complicata la situazione c’è l’ombra di Vincenzo Italiano, ormai non più protagonista a Firenze, ma la sua presenza resta comunque ingombrante. Il segno profondo che ha lasciato sulla squadra è evidente: due finali consecutive, una finale di Coppa Italia e ottimi piazzamenti in campionato sono risultati che, almeno fino a ora, sembrano difficili da eguagliare o superare.

Vincenzo Italiano
La decisione spetta alla dirigenza
Se è vero che “Il passato non ha mai visto il futuro, e il futuro non ha mai visto il passato,” allora le due versioni della Fiorentina dovrebbero essere considerate irrimediabilmente distanti, due realtà differenti che sembrerebbero difficili da paragonare. Eppure, così non è. La Fiorentina, pur avendo affrontato grandi cambiamenti negli ultimi anni si trova saldamente ancorata nella parte destra della classifica. È ormai una habitue delle fasi finali della Conference League, una competizione che, fin dalla sua creazione, ha sempre visto una squadra italiana contendersi i primi posti.
La Fiorentina è senza ombra di dubbio una realtà destinata a diventare sempre più grande e a rafforzarsi ulteriormente, anche grazie alla dirigenza ricchissima che ha a già dimostrato la voglia di crescere e di credere fortemente nel progetto, la quale non si accontenterà di un ottavo posto e di due finali consecutive, per di più tutte culminate con delle sconfitte.
La voglia di migliorare è palpabile; saprà Palladino essere l’uomo giusto per guidare la squadra chiamata a fare il salto di qualità?
editoriale
Cagliari, questa salvezza è tutt’altro che un miracolo

Il Cagliari cade anche a Como ma rimane in zona sicura. La squadra di Nicola è ormai a un passo dalla salvezza, ma continua a non convincere.
Il Cagliari cade anche a Como e incassa la quarta sconfitta nelle ultime cinque giornate. Una striscia negativa che stona con l’obiettivo salvezza ormai quasi raggiunto, ma che lascia pochi sorrisi e tante perplessità. Dopo la vittoria pesante in casa dell’Hellas Verona, che aveva di fatto ipotecato la permanenza in massima serie, i rossoblù sembrano essersi fermati, come se il traguardo virtuale bastasse per considerarsi soddisfatti.
La realtà, però, racconta di una squadra che gioca male, che non ha un’anima e che mostra gli stessi limiti mentali e strutturali di inizio stagione, soprattutto quando subisce un gol.
Contro il Como si è vista una squadra fragile e senza grinta, in linea con le ultime uscite. L’ultimo periodo ha confermato che, più che merito dei rossoblù, la salvezza, seppur ancora non aritmetica, è figlia soprattutto dei demeriti delle dirette concorrenti.
I fischi di parte del pubblico, nonostante l’obiettivo a un passo, sono un segnale evidente: il malcontento c’è, perché manca un’identità, un atteggiamento più coraggioso, e una proposta di gioco che vada oltre il minimo indispensabile.

DAVIDE NICOLA ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Cagliari, serve una riflessione sul progetto tecnico
Se un anno fa la salvezza firmata Claudio Ranieri era stata un piccolo capolavoro, oggi non si può parlare di miracolo. Nicola è riuscito, salvo sorprese, a centrare l’obiettivo, ma lo ha fatto senza mai dare alla squadra un’impronta chiara. I tanti esperimenti, l’insistenza su giocatori più votati alla quantità che alla qualità, e l’assenza di un gioco riconoscibile hanno tolto entusiasmo a una piazza passionale come quella cagliaritana.
I 33 punti potrebbero bastare per salvarsi con qualche giornata d’anticipo, e probabilmente molti tifosi firmerebbero ogni anno per una salvezza tranquilla, ma si può e si deve fare di più.
La squadra sembra cullarsi nella mediocrità, senza mai provare a superare i propri limiti. Per questo, a fine stagione, sarà necessario aprire una riflessione profonda sul progetto tecnico: per non rischiare di restare indietro nei prossimi anni, serve pianificare con ambizione e chiarezza.
editoriale
Napoli, è il pareggio della paura

Il Napoli si fa rimontare due volte dal Genoa e perde due punti sull’Inter. Nonostante la serata storta, però, il destino rimane nelle mani degli azzurri.
Il Napoli non risponde alla vittoria dell’Inter sul campo del Torino e si ferma in casa contro il Genoa, facendosi rimontare due volte dal Grifone. I numeri dicono che gli azzurri avrebbero meritato la vittoria, ma serve la lucidità di andare oltre le statistiche e guardare la prestazione complessiva: quella di ieri è stata una partita giocata con paura, con una squadra forse schiacciata dalla pressione degli ultimi giorni.
L’infortunio di Lobotka dopo poco più di cinque minuti ha sicuramente complicato i piani, ma il Napoli è sembrato poco reattivo, poco dinamico, quasi fermo, soprattutto nel primo tempo. Un dato emblematico: il giocatore con più tocchi tra gli azzurri è stato Olivera, da difensore centrale.
Deludente in particolare la catena di destra, di solito la più solida e produttiva: Di Lorenzo, Politano e soprattutto Anguissa, il peggiore in campo, non hanno garantito la qualità e la spinta viste negli ultimi anni. Ma anche gli altri non hanno brillato.
A emergere è stato ancora una volta Scott McTominay che, pur schierato da esterno sinistro nel 4-4-2 disegnato da Conte, ha giocato con lucidità, senza mai fare una scelta banale. Lo scozzese è stato decisivo con due assist, prima per il gol di Lukaku e poi per quello di Raspadori. Ma la sua solidità mentale non è bastata a compensare la fragilità dei compagni.

GIOVANNI DI LORENZO RAMMARICATO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
I soliti cali dopo il vantaggio
Come già accaduto diverse volte in stagione, dopo il gol del vantaggio il Napoli ha abbassato il baricentro, come se aspettasse la reazione avversaria più per paura che per strategia. Un atteggiamento che spesso ha pagato, ma non ieri, perché il Genoa ha saputo sfruttare al massimo ogni occasione e ogni minima disattenzione degli azzurri.
Anche i cambi di Conte non hanno aiutato: Raspadori, timido nel primo tempo ma in netta crescita dopo il gol del 2-1, è stato sostituito per coprirsi con l’ingresso di Billing, mentre Anguissa, autore forse della sua peggior prestazione stagionale, è rimasto inspiegabilmente in campo fino alla fine.
Politano, completamente stremato, all’84° non è riuscito a ostacolare il cross di Aaron Martin da cui è nato il 2-2, e Conte ha deciso di sostituirlo con Neres solo dopo il pareggio.
Anche l’atmosfera allo stadio era strana: dopo il primo gol del Genoa, il Maradona è rimasto in silenzio fino al 2-1, per poi spegnersi di nuovo dopo il 2-2.
Una serata storta, segnata anche da quella scaramanzia che sembra essersi rotta: molti tifosi si sentivano già campioni d’Italia e avevano iniziato a festeggiare. Persino il gol di testa di Vasquez, il primo subito su questa situazione in campionato, ha avuto un sapore simbolico.

L’ESULTANZA DI DAVID NERES ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Napoli, adesso servono nervi saldi
Ovviamente nulla è ancora perduto. Il Napoli è sempre a +1 sull’Inter, e tutto dipenderà ancora una volta dagli azzurri. Quella di ieri è stata una serata negativa, forse nata già nei giorni precedenti con tutte le voci che hanno disturbato l’ambiente.
Ora, però, non bisogna lasciarsi travolgere dal panico: il Napoli ha due finali davanti a sé, contro Parma e Cagliari, e con 6 punti lo Scudetto sarebbe matematico, indipendentemente dai risultati dell’Inter.
Conte dovrà ritrovare lucidità nelle scelte e trasmettere alla squadra la calma e la convinzione che ieri sono mancate. Il gruppo ha dimostrato più volte di sapersi rialzare. Ora è il momento di farlo di nuovo.
editoriale
Gaza, The Last Day: il calcio non si giri dall’altra parte

Per oggi, 9 Maggio 2025, è stata lanciata l’iniziativa “The Last Day for Gaza”. Un invito a non girarsi dall’altra parte, rivolto anche al pallone.
Il 9 Maggio è la “Festa dell’Europa“. Non a caso è stato scelto questo giorno per sensibilizzare sulle disumane condizioni di vita a cui, da circa 60 anni e ben prima del 7 Ottobre, sono costretti i residenti della Striscia di Gaza. E’ un monito rivolto all’Europa, in cui le si chiede di non girarsi dall’altra parte: e vale anche per il calcio.
Calcio & Politica: quando gli atleti prendono posizione
Il mondo del calcio è pieno di giocatori che hanno assunto posizioni politiche. Uno dei miei preferiti è sicuramente Socrates, il genio del Corinthians che amava Gramsci e che deve il suo nome alla passione del padre per il filosofo greco. La sua esultanza, un pugno chiuso (simbolo universale del marxismo) rivolto al cielo, è divenuta celebre. Dopo aver segnato un gol con la maglia del Timão, nel 1982, mostrò il pugno chiuso, in segno di sfida, agli esponenti del regime militare brasiliano, che erano accorsi allo stadio per assistere al match.
Il 21 Novembre del 1973, la selezione nazionale dell’allora Unione Sovietica si rifiutò di recarsi allo Stadio Nacional di Santiago per la gara di ritorno contro il Cile. Era il Cile di Pinochet, che faceva sparire gli oppositori politici del regime imprigionandoli proprio nelle secrete di quello stadio: torturandoli e uccidendoli. La diserzione costò all’URSS la qualificazione ai Mondiali del 1974, poi vinto dalla Germania Ovest (la parte “Occidentale” della Germania) in finale contro l’Olanda di Cruyff, ma un gesto così vale molto più di qualsiasi trofeo.
Ci sono però anche esempi recenti. Il calciatore dell’Inter, Medhi Taremi, si era apertamente schierato contro il regime degli Ayatollah in occasione dei Mondiali del 2022. Lo fece sui suoi profili social ma anche pubblicamente, quando, assieme al resto della squadra, si rifiutò di cantare l’inno nazionale iraniano in occasione della gara contro l’Inghilterra. Alla base della sua protesta la morte di Mahsa Amini, manifestante 23enne uccisa dalla polizia morale, e il suo collega calciatore Amir Azadani, scampato per un soffio alla pena di morte.
Un altro calciatore nerazzurro, Henrikh Mkhitaryan, prese pubblicamente posizione contro il genocidio del suo popolo (quello armeno) perpetrato dall’esercito azero nel Nagorno-Karabakh. Il calciatore del Genoa Ruslan Malinovskyi, il 23 Marzo del 2024, ha attaccato sui social l’Atalanta (sua ex squadra) rea di aver “festeggiato” il gol segnato da Aleksej Mirančuk (all’epoca tesserato per gli orobici) con la nazionale russa.
Il fantasista ucraino ha definito l’ex compagno di squadra “complice del terrorismo russo”, allegando immagini di alcune città ucraine vittime dei bombardamenti russi. C’è chi si schiera contro il proprio regime e chi invece si schiera a favore. Il 14 Ottobre del 2019, la nazionale turca ha celebrato una rete nella partita di qualificazione a Euro2020 contro la Francia. Fin qui nulla di strano, se non fosse altro il fatto che i calciatori turchi celebrarono quella rete con un saluto militare: un gesto che è stato considerato apologia del regime militare di Erdogan, con condanna unanime della comunità internazionale e con la federazione calcistica turca multata di 50 mila euro.
9 Maggio 2025, l’ultimo giorno di Gaza
Fun fact: il regime turco sostiene la pulizia etnica degli armeni, per la quale la comunità internazionale non ha espresso lo stesso livello di indignazione manifestato per il “saluto militare” dei calciatori turchi. La Turchia è a sua volta un membro della NATO, che ha permesso le operazioni di regime change (nell’ottica della Dottrina Monroe) che hanno portato ai rovesciamenti dei governi democraticamente eletti in Cile e in Brasile (ma non solo) e alla presa del potere delle giunte militari di estrema destra che hanno perpetrato i crimini di cui sopra.
L’espansione della NATO è anche una delle cause dello scoppio della guerra in Ucraina. E a proposito di ipocrisia, il 28 Febbraio 2022 (c’era già stata l’invasione ucraina da parte della Russia), in occasione del goal di Mirančuk contro la Sampdoria, quest’ultimo e Malinovskyi si abbracciarono. Pochi giorni dopo, nei pressi di Zingonia, verrà esposto uno striscione raffigurante una stretta di mano fra i due e sullo sfondo le bandiere della Russia e dell’Ucraina: meno di due anni dopo Malinovskyi darà del “collaborazionista” all’ex compagno.
Siccome è stato dimostrato che le personalità pubbliche, anche quelle legate al mondo del pallone, sanno prendere posizioni scomode quando vogliono, questo articolo vuole essere semplicemente un invito a coloro che hanno il privilegio di avere una folta platea a cui parlare. In un mondo ormai irrimediabilmente corrotto da ipocrisia e partigianeria, si chiede a chi può una presa di posizione seria sulla tematica d’attualità più dirimente del nostro secolo. Un invito esplicito, rivolto (anche) al mondo del pallone, a non girarsi dall’altra parte.
Perché, come si legge nel comunicato ufficiale della manifestazione, voltare lo sguardo altrove ci rende poco a poco meno umani. Al calcio chiediamo una presa di posizione seria, non l’ipocrisia della scritta peace (che troneggia durante le partite) mentre quello stesso paese invia armi per continuare i conflitti. Lo sdegno deve ovviamente coinvolgere tutte le guerre, a prescindere dalle cause e dalle varie responsabilità, ma questa non è una guerra. E’ un genocidio perpetrato su una sponda del nostro stesso mare. Non giratevi dall’altra parte.
#ultimogiornodigaza #gazalastday
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