Categorie: editoriale

Il “modello Thatcher” è solo propaganda

All’indomani della bolla ultras, Luigi De Siervo ha riesumato dalla tomba il cadavere di Margaret Thatcher: non ne sentivamo la mancanza.

Margaret Thatcher? Che bruci all’Inferno!” basterebbe questa massima di Alessandro Barbero, professore e storico oltreché Premio Strega nel 1996, per riassumere l’estremo disprezzo che trasversalmente viene provato nei confronti di Margaret Thatcher.

Oggi, però, non siamo qui per parlare delle sue sciagurate politiche o del fatto che sia stata uno dei peggiori primi ministri (non il peggiore, perché purtroppo esiste Boris Johnson) nella storia del Regno Unito. Oggi parleremo del cosiddetto “modello Thatcher” (applicato al calcio) e di come chi ne parla sembri non conoscerlo per nulla.

Indice

Che cos’è il “modello Thatcher”?

Concetto desueto, vetusto ancorché anacronistico, ma ritirato fuori da Luigi De Siervo (Amministratore Delegato della Lega Serie A) a cui serviva una risposta facile a un problema estremamente complesso.

Ovvero quello degli ultras, dopo l’ultima inchiesta fiume che ha travolto Inter e Milan, e che nulla c’entra con la violenza negli stadi. A cui il modello Thatcher (senza riuscirci) provò a mettere un freno.

«Quello che sta succedendo ci permette di avere stadi finalmente liberi. Stiamo tutti sognando una riforma stile Thatcher, liberando gli stadi da queste persone violente che li sfruttano. Spero di essere all’inizio di un ciclo che consenta alla politica di renderli a misura di famiglia», queste le parole di De Siervo, a margine del “Simposio Fondazione Roma: dove le idee prendono forma”.

Per modello Thatcher s’intende una serie di riforme, varate dall’allora primo ministro britannico, fra il 1985 e il 1990. Immediatamente successive alla tragedia dell’Heysel e patrocinata per porre un argine al fenomeno degli Hooligans. Vennero quindi emanate due legislazioni, ovvero lo Sporting Events Act (1985, che in sostanza vietava il consumo di bevande alcoliche all’interno degli stadi, degli impianti sportivi e dei mezzi di trasporto) e il Public Order Act (1986, una legge che vietava l’ingresso negli impianti ai tifosi considerati violenti, stabilendo l’obbligo di firma nei giorni delle partite e implementando un sistema di schedatura per alcuni di essi).

SIMONE INZAGHI SUONA LA CARICA ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Perché non ha funzionato?

Oltre a questo vennero intensificati i controlli, inasprite alcune leggi (rendendo, per esempio, punibili alcuni comportamenti non violenti che prima non lo erano) e ristrutturando gli stadi. Ad esempio costruendo delle barriere che limitavano il contatto fisico fra i tifosi, nella speranza che questo potesse rendere le loro azioni più controllabili. Così non andò e nel 1989 il calcio inglese dovette affrontare un’altra tragedia: Hillsborough.

Una strage che, ironia della sorte, si sarebbe potuta evitare senza le barriere volute dal governo Thatcher, dato che quest’ultime crearono enormi problemi a livello organizzativo e nell’accesso del pubblico agli spalti. Fu proprio a questa tragedia che fece seguito il cosiddetto “Rapporto Taylor“. Nel 1989, la Camera dei Lord affidò alla commissione presieduta dal giudice Peter Taylor di Gosforth il compito di stilare un rapporto.

A tale rapporto fece seguito il Football Spectators Act, legiferato nel 1989 ma considerato “provvisorio”: la sua versione definitiva arrivò soltanto nel Gennaio del 1990. Tra le riforme più importanti introdotte dal rapporto vi è l’obbligo per tutti gli stadi di prevedere soli posti a sedere, da riservare a tutti gli spettatori muniti di biglietto

.

Va detto, però, che molti club iniziarono l’opera di ammodernamento dei propri impianti sportivi molto prima che scattasse l’obbligo. Molte opere di ristrutturazione vennero sì completate dopo il 1989, ma i lavori, in tal senso, erano iniziati molto tempo prima.

‘R’ come “Ristrutturazione“, non come “Repressione

Citando Leonardo Gualano di Goal.com: “Il ‘rapporto Taylor’ viene considerato la base per tutte le successive riforme adottate in materia di violenza negli stadi in Inghilterra e, per molti versi, la sua natura è opposta al ‘modello Thatcher. A seguito delle sue conclusioni, infatti, si decise di puntare di più sulla responsabilizzazione di club e tifosi e sulll’ammodernamento degli stadi, piuttosto che sulla ‘semplice’ repressione.”

Non a caso, dal 1991 in poi e quindi a dimissioni della Thatcher già avvenute, il calcio inglese intensificò un percorso di riforme che lo porterà ad essere ciò che è oggi. Il “modello Thatcher” è stato un fallimento (come gran parte delle sue politiche, checché se ne dica), poiché non solo non ha risolto il problema della violenza negli stadi ma soprattutto ha scaturito un’altra tragedia che si sarebbe potuta evitare.

Il cosiddetto “pugno duro” non funziona, non ha mai funzionato e mai funzionerà. La storia, in tal senso, ci fornisce continuamente dimostrazioni di questo assunto lapalissiano. Ciò che ha salvato il calcio inglese dall’incedere incessante degli Hooligans non è stato il modello repressivo imposto dalla Thatcher, ma una serie di riforme, regolamentazioni e investimenti che (in molti casi) sono iniziati a mandato finito. 

Il cordone ombelicale che lega tifo organizzato e società, sin quasi a generare un rapporto simbiotico e per certi versi parassitario, è un problema serio e non può essere liquidato con tanta leggerezza. L’inasprimento delle pene è un evergreen. Non c’è stato un singolo caso nella storia dell’umanità in cui questo modo di concepire le cose abbia risolto un problema, eppure le persone lo accolgono sempre in modo trionfale.

E’ molto più facile gettare in pasto alla mandria di tifosi belanti uno specchietto per le allodole, piuttosto che ricalcare (veramente) il modello inglese. Iniziando un reale processo di riforma del calcio, che sarebbero lungo, complesso e dispendioso. I modelli non sono esportabili, dato che la situazione del tifo in Inghilterra è molto diversa rispetto a quella italiana. Ha dei connotati tutti suoi, tipici del territorio. Sono “region locked“, per utilizzare un termine moderno. Oltretutto, e questa è la cosa più importante, il modello Thatcher allude a cambiamenti che sono già stati implementati in tutto il mondo.

Ed è ovvio che sia così, dato che stiamo parlando di un protocollo pensato quasi quarant’anni fa. Parlare oggi di Thatcherismo è anacronistico: non significa niente. E’ soltanto l’ennesimo modo per non dover parlare di un problema, dando l’illusione ai tifosi di star lavorando per la sua risoluzione e infine demandandola a chi verrà dopo. Se l’Inferno esiste davvero, probabilmente sta divorando la Thatcher con le sue fiamme e non c’è quindi alcuna ragione per scomodarla. E se a dircelo è uno storico, forse c’è da crederci.

Aggiornato al 09/10/2024 10:37

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Pubblicato da
Marco Palleschi Terzoli

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