editoriale
Il “non detto” di Ranieri, una “Mourinhata” che cela altro
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La “Mourinhata” di Ranieri a Oporto: una caduta di stile che cela dell’altro, perché il “non detto” talvolta è più esplicito di ciò che si dice.
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Settimana infuocata nel “Bel Paese”. Le discussioni arbitrali e sul VAR oltrepassano i confini nostrani ed esondano in quelli internazionali, solitamente estranei a litanie che è possibile udire soltanto in Italia.
A Ranieri cade la corona: si “traveste” da Mou per una sera
Da tutti potevamo aspettarci un’uscita di questo genere, tranne che da Claudio Ranieri. Ribattezzato “Sir Claudio” in Inghilterra. E non solo perché “Sir” è l’appellativo di cortesia con cui gli anglosassoni battezzano tutti i personaggi pubblici di genere maschile. “Sir” lo si deve anche alla sua signorilità, che solitamente è imperturbabile e degna di un lord inglese. Nonostante ciò, Ranieri è comunque un figlio della Roma.
In tutti i sensi. Verace, spontaneo e sincero come si addice perfettamente alla periferia romana. Ma anche esperto in dietrologia, vittimismo e naturalmente incline al complotto. Ranieri non è esente dalla narrazione tossica che spesso e volentieri accompagna l’ambiente di Trigoria, che vede nell’individuazione di un nemico esterno un leitmotiv ricorrente nell’ambiente giallorosso: concetto portato al non plus ultra da Mourinho.
Se però la creazione artificiale di un nemico esterno per compattare l’ambiente è sempre stata la peculiare arma comunicativa dello Special One, da un serafico come Ranieri ci si aspettava altro. Sir Claudio non perse il suo aplomb neanche il 17 Aprile del 2016, quando una disastrosa gestione della gara da parte di Jonathan Moss rischiò di compromettere la corsa del suo Leicester (2-2 in casa con il West Ham) verso la Premier League.

CLAUDIO RANIERI ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Il Claudio furioso: (ri)spunta addirittura Taylor
Parole gravissime quelle di Ranieri, che ne ha per tutti. Dall’arbitro Stieler (“Voleva far vincere il Porto“) a Roberto Rosetti, presidente della Commissione Arbitri del UEFA. Accusato di essere “quello che ha designato Taylor per Budapest“, in riferimento all’arbitraggio di Roma-Siviglia. Finale dell’edizione 2022-2023 dell’Europa League, con una clamoroso rigore negato ai giallorossi sul finale dei tempi supplementari.
Una dichiarazione che, come nel migliore dei crossover cinematografici, tesse una tela di continuità con la linea comunicativa dello stesso Mourinho, a cui fece seguito un aggressione da parte di alcuni “tifosi” giallorossi nei confronti proprio del fischietto inglese. All’epoca le dichiarazioni del portoghese vennero (giustamente) condannate, ma come mai non si fa lo stesso con quelle di Ranieri? Perché il tecnico romano cita l’Atalanta.
Nel corso della conferenza stampa post-partita, Ranieri fa un esplicito riferimento al rigore che ha permesso al Club Brugge di battere la squadra di Gasperini a tempo scaduto. Le forche caudine della comunicazione nostrana insorgono, chiedendo “rispetto” e millantando inesistenti “complotti” che vorrebbero “danneggiare l’Italia nella corsa al secondo posto nel Ranking UEFA, favorendo (per qualche ragione) la Spagna“.

L’URLO DI CLAUDIO RANIERI CHE PUNTA IL DITO ( FOTO FORNELLI/KEYPRESS )
L’Italia è ferma (ai complotti), come il suo calcio
Inserita in questo contesto più ampio, la sfuriata di Ranieri assume tutt’altro significato. Con ogni probabilità l’Italia quest’anno non riuscirà a mantenere uno dei primi due posti nel Ranking UEFA, che permetterebbe alla Serie A di avere 8 squadre (di cui 5 in Champions League) nelle competizioni UEFA. In parte a causa di un cambio nel regolamento, che fino all’anno scorso equiparava i punti ottenuti in Europa League e Conference League a quelli ottenuti in Champions: una “stortura” prontamente rimossa.
Fin dall’inizio era chiaro a tutti che se l’Italia avesse voluto mantenere il secondo posto nel Ranking UEFA avrebbe dovuto far fare alle sue squadre un percorso simile a quello fatto l’anno scorso dall’Atalanta (in Europa League) e dalla Fiorentina in Conference League. Impresa ovviamente impossibile, perché le squadre italiane non sono minimamente attrezzate e questa tre-giorni europea ne ha dato una lapalissiana dimostrazione.
Lo show di Gasperini, che impazzisce per un rigore ineccepibile in termini di regolamento; la rabbia di Conceicao, che decide arbitrariamente quanto dura una conferenza stampa e quante domande debbano fargli i giornalisti locali; e lo sfogo di Ranieri tracciano questo solco. Il calcio italiano, ancora una volta vittima della sua bolla, sognava di aver raggiunto un livello e si è svegliato ancora lontanissimo da esso.
E non potendolo ammettere, l’unica alternativa rimane quella di preparare l’opinione pubblica ad uno scenario che tutti sanno essere inevitabile ma che si sta cercando di rimandare il più a lungo possibile. Una tecnica che prende a piene mani da altri contesti, che in teoria dovrebbero essere lontanissimi dal calcio. Ma alla fine tutto il mondo è paese, giusto? L’Italia non impara mai dai suoi errori.

Milan-Serie A: Dalle lacune dirigenziali al velato appoggio nei confronti della guida tecnica. Il vero problema in casa Milan e la comunicazione. Ecco i dettagli.
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Da Fonseca a Conceição o la bufera dirigenziale, il vero problema del Milan in questa stagione – e non solo – è stato quello della comunicazione. Spesso assente o troppo sbilanciata su una visione business-oriented, mirata a valorizzare il potenziale di un brand enorme come quello di una società capace di vincere tutto in trent’anni, la comunicazione rossonera ha finito per trascurare ciò che accade sul campo. E, quel che è peggio, non sembra destinata a cambiare rotta.
Un gioco delle parti a tratti ambiguo, che talvolta ha appoggiato apertamente l’allenatore in carica – prima Fonseca, oggi Conceição – e in altre occasioni si è invece affrettato ad additare le guide tecniche come uniche responsabili dei risultati deludenti. Fino ad arrivare alle parole di Zvonimir Boban, che nelle ultime ore hanno fatto il giro del web.
Parole che non hanno fatto altro che alimentare un polverone del tutto evitabile intorno a una dirigenza già da tempo contestata e invitata a prendere una direzione diversa. Un intervento che solleva ulteriori dubbi sulla reale vicinanza dei piani alti al destino sportivo del Milan, specie alla luce di una comunicazione che – pur dichiarandosi fedele al motto “Always Milan” affisso sulla fiancata del Pullman che accompagna la squadra – appare oggi sempre più distante dallo spirito e dai valori storici del club.
Milan, cosa è successo?
Due sono gli eventi simbolici che riassumono al meglio le lacune comunicative della dirigenza rossonera: il caso legato al direttore sportivo (il cosiddetto “DS gate”) e la scelta dell’allenatore per la prossima stagione. Una la conseguenza dell’altra.
Prima ancora di pensare alla guida tecnica, infatti, il Milan dovrebbe risolvere le fratture interne alla propria struttura societaria. Qualunque sia la direzione intrapresa, sarà il nuovo dirigente – chiunque egli sia, ammesso che ci sia – a decidere a chi affidare la panchina rossonera nel 2025/26. Ma al momento resta viva la percezione, condivisa anche all’esterno, di un club diviso tra due anime, due visioni inconciliabili che impediscono di tracciare una linea chiara e coerente.
Ai piani alti risiedono quei nomi altisonanti additati da Boban come “non competenti”, che hanno fatto di tutto per sbarazzarsi degli ultimi due baluardi capaci di comprendere le esigenze del club, Maldini-Massara e lo stesso Boban. Business men con un’idea in testa, la cui iniziale è una “S” con una riga nel mezzo, come quella del dollaro. Volti a seguire un ideale sempre più distante dall’eredità del club più internazionale che esiste in Italia: il Milan.
Un Milan volto a rendere realtà il modello inglese del “Surveillance Capitalism”, dove il tifo diventa un’occasione di lucro per l’azienda. Come descritto dalla nota sociologa statunitense Shoshana Zuboff, in questo modello l’utente – e in questo caso il tifoso – non è il consumatore, ma il prodotto.
Prima Tare, poi l’accordo (successivamente saltato) con Paratici, passando per D’Amico, salvo poi tornare sui propri passi con lo stesso Tare, e infine il silenzio. Un silenzio che, dopo Pasqua, ha finito per contraddistinguere le stanze di Casa Milan. Perché, in fin dei conti, dove altro si può trovare il “Board of Governors” rossonero?
Al di là delle comparsate di Ibrahimović in stile cameo e di qualche dichiarazione pre-scritturata di Furlani, il resto dei dirigenti del Milan sembra sparito nel nulla.
Un mistero che nemmeno una ricorrenza come il 125º anniversario del club è riuscita a svelare.

ZLATAN IBRAHIMOVIC PENSIEROSO GUARDA IN ALTO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Ritrovare chiarezza e unità dovrebbe essere la priorità. Perché in una società come l’AC Milan, che in passato ha insegnato comunicazione sportiva a tutto il calcio europeo, questi aspetti non possono più essere considerati secondari.
editoriale
Cagliari, questa salvezza è tutt’altro che un miracolo
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1 giorno fail
12/05/2025
Il Cagliari cade anche a Como ma rimane in zona sicura. La squadra di Nicola è ormai a un passo dalla salvezza, ma continua a non convincere.
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Il Cagliari cade anche a Como e incassa la quarta sconfitta nelle ultime cinque giornate. Una striscia negativa che stona con l’obiettivo salvezza ormai quasi raggiunto, ma che lascia pochi sorrisi e tante perplessità. Dopo la vittoria pesante in casa dell’Hellas Verona, che aveva di fatto ipotecato la permanenza in massima serie, i rossoblù sembrano essersi fermati, come se il traguardo virtuale bastasse per considerarsi soddisfatti.
La realtà, però, racconta di una squadra che gioca male, che non ha un’anima e che mostra gli stessi limiti mentali e strutturali di inizio stagione, soprattutto quando subisce un gol.
Contro il Como si è vista una squadra fragile e senza grinta, in linea con le ultime uscite. L’ultimo periodo ha confermato che, più che merito dei rossoblù, la salvezza, seppur ancora non aritmetica, è figlia soprattutto dei demeriti delle dirette concorrenti.
I fischi di parte del pubblico, nonostante l’obiettivo a un passo, sono un segnale evidente: il malcontento c’è, perché manca un’identità, un atteggiamento più coraggioso, e una proposta di gioco che vada oltre il minimo indispensabile.

DAVIDE NICOLA ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Cagliari, serve una riflessione sul progetto tecnico
Se un anno fa la salvezza firmata Claudio Ranieri era stata un piccolo capolavoro, oggi non si può parlare di miracolo. Nicola è riuscito, salvo sorprese, a centrare l’obiettivo, ma lo ha fatto senza mai dare alla squadra un’impronta chiara. I tanti esperimenti, l’insistenza su giocatori più votati alla quantità che alla qualità, e l’assenza di un gioco riconoscibile hanno tolto entusiasmo a una piazza passionale come quella cagliaritana.
I 33 punti potrebbero bastare per salvarsi con qualche giornata d’anticipo, e probabilmente molti tifosi firmerebbero ogni anno per una salvezza tranquilla, ma si può e si deve fare di più.
La squadra sembra cullarsi nella mediocrità, senza mai provare a superare i propri limiti. Per questo, a fine stagione, sarà necessario aprire una riflessione profonda sul progetto tecnico: per non rischiare di restare indietro nei prossimi anni, serve pianificare con ambizione e chiarezza.

Il Napoli si fa rimontare due volte dal Genoa e perde due punti sull’Inter. Nonostante la serata storta, però, il destino rimane nelle mani degli azzurri.
Il Napoli non risponde alla vittoria dell’Inter sul campo del Torino e si ferma in casa contro il Genoa, facendosi rimontare due volte dal Grifone. I numeri dicono che gli azzurri avrebbero meritato la vittoria, ma serve la lucidità di andare oltre le statistiche e guardare la prestazione complessiva: quella di ieri è stata una partita giocata con paura, con una squadra forse schiacciata dalla pressione degli ultimi giorni.
L’infortunio di Lobotka dopo poco più di cinque minuti ha sicuramente complicato i piani, ma il Napoli è sembrato poco reattivo, poco dinamico, quasi fermo, soprattutto nel primo tempo. Un dato emblematico: il giocatore con più tocchi tra gli azzurri è stato Olivera, da difensore centrale.
Deludente in particolare la catena di destra, di solito la più solida e produttiva: Di Lorenzo, Politano e soprattutto Anguissa, il peggiore in campo, non hanno garantito la qualità e la spinta viste negli ultimi anni. Ma anche gli altri non hanno brillato.
A emergere è stato ancora una volta Scott McTominay che, pur schierato da esterno sinistro nel 4-4-2 disegnato da Conte, ha giocato con lucidità, senza mai fare una scelta banale. Lo scozzese è stato decisivo con due assist, prima per il gol di Lukaku e poi per quello di Raspadori. Ma la sua solidità mentale non è bastata a compensare la fragilità dei compagni.

GIOVANNI DI LORENZO RAMMARICATO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
I soliti cali dopo il vantaggio
Come già accaduto diverse volte in stagione, dopo il gol del vantaggio il Napoli ha abbassato il baricentro, come se aspettasse la reazione avversaria più per paura che per strategia. Un atteggiamento che spesso ha pagato, ma non ieri, perché il Genoa ha saputo sfruttare al massimo ogni occasione e ogni minima disattenzione degli azzurri.
Anche i cambi di Conte non hanno aiutato: Raspadori, timido nel primo tempo ma in netta crescita dopo il gol del 2-1, è stato sostituito per coprirsi con l’ingresso di Billing, mentre Anguissa, autore forse della sua peggior prestazione stagionale, è rimasto inspiegabilmente in campo fino alla fine.
Politano, completamente stremato, all’84° non è riuscito a ostacolare il cross di Aaron Martin da cui è nato il 2-2, e Conte ha deciso di sostituirlo con Neres solo dopo il pareggio.
Anche l’atmosfera allo stadio era strana: dopo il primo gol del Genoa, il Maradona è rimasto in silenzio fino al 2-1, per poi spegnersi di nuovo dopo il 2-2.
Una serata storta, segnata anche da quella scaramanzia che sembra essersi rotta: molti tifosi si sentivano già campioni d’Italia e avevano iniziato a festeggiare. Persino il gol di testa di Vasquez, il primo subito su questa situazione in campionato, ha avuto un sapore simbolico.

L’ESULTANZA DI DAVID NERES ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Napoli, adesso servono nervi saldi
Ovviamente nulla è ancora perduto. Il Napoli è sempre a +1 sull’Inter, e tutto dipenderà ancora una volta dagli azzurri. Quella di ieri è stata una serata negativa, forse nata già nei giorni precedenti con tutte le voci che hanno disturbato l’ambiente.
Ora, però, non bisogna lasciarsi travolgere dal panico: il Napoli ha due finali davanti a sé, contro Parma e Cagliari, e con 6 punti lo Scudetto sarebbe matematico, indipendentemente dai risultati dell’Inter.
Conte dovrà ritrovare lucidità nelle scelte e trasmettere alla squadra la calma e la convinzione che ieri sono mancate. Il gruppo ha dimostrato più volte di sapersi rialzare. Ora è il momento di farlo di nuovo.
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