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Inter, non è solo stanchezza: il vero calo è mentale

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Inter

L’Inter cade in casa con la Roma e perde la vetta della classifica. La squadra di Inzaghi sembra a corto di energie, più mentali che fisiche.

Serie A
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L’Inter cade di nuovo, stavolta in casa contro la Roma, e perde la testa della classifica. Dopo la bruttissima sconfitta in Coppa Italia contro il Milan, la squadra di Inzaghi non riesce a reagire e ora si ritrova a -3 dal Napoli, che ha anche un calendario – almeno sulla carta – più agevole. 

È la terza sconfitta di fila per i nerazzurri tra tutte le competizioni, senza segnare nemmeno un gol: un dato che non si registrava dal 2012. Dopo una stagione fin qui straordinaria, con l’Inter lanciatissima verso un potenziale Triplete, il crollo è stato improvviso e fragoroso. 

Il debito di ossigeno è evidente, ma non basta parlare solo di condizione fisica: il vero problema sembra essere mentale.

Inter

Una fragilità inattesa

La squadra ha perso certezze, e lo si è visto chiaramente nei cali di attenzione contro Parma e Bologna, ma anche nell’atteggiamento remissivo nel secondo tempo della semifinale contro il Milan e nella prima parte di gara di ieri contro la Roma. 

È vero, non si può dominare per 90 minuti ogni volta, ma questa Inter, fino a poco tempo fa, trasmetteva solidità e compattezza anche nei momenti di difficoltà. Oggi invece appare più fragile, meno sicura, più vulnerabile. 

La mancanza di due pedine fondamentali come Dumfries e Thuram ha certamente pesato tantissimo: l’esterno olandese è tornato ieri dopo lo stop e ha subito fatto vedere quanto sia importante sulla fascia, mentre l’attaccante francese è ancora fuori. Inzaghi spera di riaverlo per la gara di Champions contro il Barcellona, perché i numeri parlano chiaro: con Thuram la media gol è di 2.3 a partita, senza di lui scende a 0.3. E la media punti passa da 2.2 a 1.

Inter

MARCUS THURAM E LAUTARO MARTINEZ ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Inter, serve uno switch mentale

Il recupero di Dumfries e Thuram sarà fondamentale, ma da solo non basta. L’Inter, che mai con Inzaghi si era trovata in una situazione così complicata, dovrà soprattutto ritrovare la propria forza mentale. Servirà uno switch nella testa, per ripartire e tornare ad essere quella squadra che fino a poche settimane fa incuteva timore in Italia e in Europa. 

Tornano in mente le parole di Mkhitaryan, che a gennaio definì l’Inter “ingiocabile”: parole che oggi, a distanza di pochi mesi, sembrano invecchiate male. 

Forse proprio da qui, da una riflessione profonda sui propri limiti e sui propri errori, potrà nascere la svolta. Perché il margine per rimettersi in carreggiata c’è ancora, ma ora serve lucidità, solidità e la forza di reagire. Nella testa, prima ancora che nelle gambe.

editoriale

Bologna, Italiano è diventato grande: come è cresciuto il tecnico di Karlsruhe

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Bologna

Il Bologna ha conquistato la Coppa Italia, battendo per 1-0 il Milan di Conceicao. A prendersi tanti applausi il tecnico felsineo, Vincenzo Italiano.

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Una serata pazzesca per l’intera città di Bologna. Un traguardo che mancava da tantissimo tempo che ha fatto muovere un’intero capoluogo verso l’Olimpico di Roma. Erano oltre 35mila i tifosi felsinei accorsi all’impianto della Capitale per poter assistere ad una serata che comunque sarebbe rimasta nella storia.

La storia però è stata fatta. Infatti, al termine dei 90 minuti della finale di Coppa Italia ad alzare il trofeo è stato il Bologna, al termine di una partita maschia, senza troppe emozioni, ma comunque molto tesa. I rossoblù arrivavano alla sfida sicuramente con più leggerezza rispetto agli avversari che avevano l’obbligo di trionfare per salvare, in qualche modo, una stagione fallimentare, nonostante la vittoria della Supercoppa Italiana.

In casa Bologna però c’era qualcuno che arrivava alla finalissima di Roma con dei precedenti non favorevoli: Vincenzo Italiano. L’attuale tecnico dei felsinei, fino a ieri sera, aveva un brutto rapporto con le finali: ne aveva giocate ben tre, sulla panchina della Fiorentina, e tutte e tre le aveva perse.

La doppia sconfitta in finale di Conference contro West Ham ed Olympiakos e la sconfitta contro l’Inter in Coppa Italia avevano gettato molte ombre sul tecnico di Karlsruhe, piccola cittadina del sud della Germania. Era stato etichettato come un perdente, a causa delle sue idee di calcio molto offensive che le sono costate, appunto, quei trofei.

Bologna, Italiano

VINCENZO ITALIANO PUNTA IL DITO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Italiano, dallo psicodramma contro il West Ham al trionfo in Coppa Italia

Infatti, ci ricordiamo tutti come arriva la prima finale persa in Conference contro il club inglese. Difesa altissima al 90′ e contropiede fulminante degli Hammers che sgretolano i sogni di tutto il popolo fiorentino. Sogni che erano già andati in fumo qualche settimana prima contro l’Inter in Coppa Italia. La sfortuna, mista anche al non volersi mai allontanare dalle proprie idee, colpisce anche l’anno successivo. Nonostante l’essere tornato ad un anno di distanza all’ultimo atto della Conference League, ad alzare il trofeo è sempre la squadra avversaria. Si chiude così nel peggiore dei modi la sua avventura sulla panchina della Viola.

In estate viene preso dal Bologna per sostituire Thiago Motta, colui che aveva portato il club emiliano a tornare in Champions League dopo 59 anni: un’eternità. Molti all’annuncio storcono un pò il naso per la scelta di Italiano, sicuri del fatto che sia un passo indietro rispetto all’ex giocatore dell’Inter. E all’inizio hanno anche ragione: il Bologna stenta nelle prime giornate di campionato, non riuscendo ad esprimere un buon calcio e soprattutto lasciando parecchi punti per strada.

Ma era solo questione di tempo ed ecco che il brutto anatroccolo diventa un bellissimo cigno. In Champions le prestazioni aumentano di livello e anche in Serie A i felsinei si avvicinano pericolosamente alle zone alte della classifica. In Coppa Italia, grazie anche ad un avversario molto più debole sulla carta, raggiungono la finale.

Sono passati due anni dalla finale persa con l’Inter, ma Vincenzo Italiano è maturato e cresciuto da quella partita e soprattutto ha voglia di levarsi dalle spalle quell’etichetta di perdente. Ieri, forte dell’1-0, fa una scelta che in pochi si sarebbero aspettati da un allenatore così votato all’attacco: una scelta conservativa.

Fa uscire Orsolini, il suo uomo migliore, e fa entrare Casale, un difensore. Cambio modulo con il Bologna che passa alla difesa a 5 e addio sogni di rimonta per il Milan. Al triplice fischio parte la festa con Italiano che si prende giustamente la scena.

Bologna

IL BOLOGNA VINCE LA COPPA ITALIA ( FOTO KEYPRESS )

In due anni il tecnico di quella cittadina del sud della Germania è cresciuto e si è fatto uomo. Tanto merito a tutto l’organigramma del Bologna per la Coppa Italia, ma sicuramente tanti applausi anche per Vincenzo che finalmente conquista il suo primo trofeo. Il primo, si spera, di una lunga serie…

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Più brand che squadra: il Milan ha perso la sua voce

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Milan

Milan-Serie A: Dalle lacune dirigenziali al velato appoggio nei confronti della guida tecnica. Il vero problema in casa Milan è la comunicazione. Ecco i dettagli.

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Da Fonseca a Conceição o la bufera dirigenziale, il vero problema del Milan in questa stagione – e non solo – è stato quello della comunicazione. Spesso assente o troppo sbilanciata su una visione business-oriented, mirata a valorizzare il potenziale di un brand enorme come quello di una società capace di vincere tutto in trent’anni, la comunicazione rossonera ha finito per trascurare ciò che accade sul campo. E, quel che è peggio, non sembra destinata a cambiare rotta.

Un gioco delle parti a tratti ambiguo, che talvolta ha appoggiato apertamente l’allenatore in carica – prima Fonseca, oggi Conceição – e in altre occasioni si è invece affrettato ad additare le guide tecniche come uniche responsabili dei risultati deludenti. Fino ad arrivare alle parole di Zvonimir Boban, che nelle ultime ore hanno fatto il giro del web.

Parole che non hanno fatto altro che alimentare un polverone del tutto evitabile intorno a una dirigenza già da tempo contestata e invitata a prendere una direzione diversa. Un intervento che solleva ulteriori dubbi sulla reale vicinanza dei piani alti al destino sportivo del Milan, specie alla luce di una comunicazione che – pur dichiarandosi fedele al motto “Always Milan” affisso anche sulla fiancata del Pullman che accompagna la squadra – appare oggi sempre più distante dallo spirito e dai valori storici del club.

Milan, cosa è successo?

Due sono gli eventi simbolici che riassumono al meglio le lacune comunicative della dirigenza rossonera: il caso legato al direttore sportivo (il cosiddetto “DS gate”) e la scelta dell’allenatore per la prossima stagione. Una la conseguenza dell’altra.

Prima ancora di pensare alla guida tecnica, infatti, il Milan dovrebbe risolvere le fratture interne alla propria struttura societaria. Qualunque sia la direzione intrapresa, sarà il nuovo dirigente – chiunque egli sia, ammesso che ci sia – a decidere a chi affidare la panchina rossonera nel 2025/26. Ma al momento resta viva la percezione, condivisa anche all’esterno, di un club diviso tra due anime, due visioni inconciliabili che impediscono di tracciare una linea chiara e coerente.

Ai piani alti risiedono quei nomi altisonanti additati da Boban come “non competenti”, che hanno fatto di tutto per sbarazzarsi degli ultimi due baluardi capaci di comprendere le esigenze del club, la coppia Maldini-Massara e prima ancora lo stesso Boban.

Business men con un’idea in testa, volti a seguire un ideale sempre più distante dall’eredità del club più internazionale che esiste in Italia: il Milan.

Una società volta a rendere realtà il modello inglese del “Surveillance Capitalism”, dove il tifo diventa un’occasione di lucro per l’azienda. Che come descritto dalla nota sociologa statunitense Shoshana Zuboff, in questo modello l’utente – e in questo caso il tifoso – non è il consumatore, ma il prodotto.

Milan

ZLATAN IBRAHIMOVIC PENSIEROSO GUARDA IN ALTO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Prima Tare, poi l’accordo (successivamente saltato) con Paratici, passando per D’Amico, salvo poi tornare sui propri passi con lo stesso Tare, e infine il silenzio. Un silenzio che, dopo Pasqua, ha finito per contraddistinguere le stanze di Casa Milan. Perché, in fin dei conti, dove altro si può trovare il “Board of Governors” rossonero?. Al di là delle comparsate di Ibrahimović in stile cameo e di qualche dichiarazione pre-scritturata di Furlani, il resto dei dirigenti del Milan sembra sparito nel nulla. Un mistero che nemmeno una ricorrenza come il 125º anniversario del club è riuscita a svelare.

Ritrovare chiarezza e unità dovrebbe essere la priorità. Perché in una società come l’AC Milan, che in passato ha insegnato comunicazione sportiva a tutto il calcio europeo, questi aspetti non possono più essere considerati secondari.

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editoriale

Cagliari, questa salvezza è tutt’altro che un miracolo

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Cagliari deiola

Il Cagliari cade anche a Como ma rimane in zona sicura. La squadra di Nicola è ormai a un passo dalla salvezza, ma continua a non convincere.

Il Cagliari cade anche a Como e incassa la quarta sconfitta nelle ultime cinque giornate. Una striscia negativa che stona con l’obiettivo salvezza ormai quasi raggiunto, ma che lascia pochi sorrisi e tante perplessità. Dopo la vittoria pesante in casa dell’Hellas Verona, che aveva di fatto ipotecato la permanenza in massima serie, i rossoblù sembrano essersi fermati, come se il traguardo virtuale bastasse per considerarsi soddisfatti. 

La realtà, però, racconta di una squadra che gioca male, che non ha un’anima e che mostra gli stessi limiti mentali e strutturali di inizio stagione, soprattutto quando subisce un gol.

Contro il Como si è vista una squadra fragile e senza grinta, in linea con le ultime uscite. L’ultimo periodo ha confermato che, più che merito dei rossoblù, la salvezza, seppur ancora non aritmetica, è figlia soprattutto dei demeriti delle dirette concorrenti. 

I fischi di parte del pubblico, nonostante l’obiettivo a un passo, sono un segnale evidente: il malcontento c’è, perché manca un’identità, un atteggiamento più coraggioso, e una proposta di gioco che vada oltre il minimo indispensabile.

Cagliari

DAVIDE NICOLA ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Cagliari, serve una riflessione sul progetto tecnico

Se un anno fa la salvezza firmata Claudio Ranieri era stata un piccolo capolavoro, oggi non si può parlare di miracolo. Nicola è riuscito, salvo sorprese, a centrare l’obiettivo, ma lo ha fatto senza mai dare alla squadra un’impronta chiara. I tanti esperimenti, l’insistenza su giocatori più votati alla quantità che alla qualità, e l’assenza di un gioco riconoscibile hanno tolto entusiasmo a una piazza passionale come quella cagliaritana.

I 33 punti potrebbero bastare per salvarsi con qualche giornata d’anticipo, e probabilmente molti tifosi firmerebbero ogni anno per una salvezza tranquilla, ma si può e si deve fare di più. 

La squadra sembra cullarsi nella mediocrità, senza mai provare a superare i propri limiti. Per questo, a fine stagione, sarà necessario aprire una riflessione profonda sul progetto tecnico: per non rischiare di restare indietro nei prossimi anni, serve pianificare con ambizione e chiarezza.

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