Nella Germania calcistica l’immagine pubblica di Jurgen Klopp è irrimediabilmente deturpata, a causa della sua scelta di firmare per la RedBull.
In Germania ci sono poche cose più odiate della RedBull. L’RB Leipzig è per distacco la squadra più odiata in terra teutonica. Le proteste nei confronti della multinazionale produttrice di Energy Drink risale ai primi anni del 2000′. L’azienda austriaca tentò di acquistare numerosi club per dare vita al proprio progetto, scontrandosi però quasi sempre con le proteste (spesso molto violente) delle tifoserie dei club oggetto delle trattative.
Quando il Leipzig venne rilevato dalla compagnia austriaca, alcuni suoi tifosi, in segno di protesta, crearono un club a sé stante e si distaccarono dal resto della tifoseria. Il Leipzig, di fatto, non è solo un affronto al modo di fare calcio in Germania, ma è anche una palese violazione delle regole interne alla federazione.
La Germania è uno dei pochissimi paesi a mantenere l’azionariato popolare come principale forma di gestione delle società calcistiche. Per questa ragione, il regolamento della DFB vieta categoricamente di intestare la maggioranza azionaria ad un unico soggetto. La RedBull violò questa condizione, ma avvalendosi di un cavillo. Il club venne nominalmente reso proprietà di una società fantasma, creata ad hoc per l’occasione.
In questo modo, la RedBull assunse de facto il controllo sulla società e potè garantirsi la priorità esclusiva del club: un unicum in Bundesliga. Non solo: la DFB vieta ai club di inserire nomi di marchi commerciali o di aziende all’interno del proprio nome, ma la RedBull inserì comunque la denominazione RB attribuendole un significato diverso. Ovvero, RasenBallsport: letteralmente “sport della palla che rotola su un prato“.
La sola esistenza del Leipzig viene percepita come un’anomalia sistemica all’interna del modello tedesco e le sue partite, quantomeno nei suoi anni di avvicinamento al calcio professionistico, sono spesso state contraddistinte da pittoresche proteste: talune anche violente. Dal 2009 in poi ogni squadra del calcio tedesco ha interiorizzato la presenza di una sorta di “secondo derby“. C’è la propria squadra rivale e poi c’è l’RB Leipzig.
Per questa ragione la scelta di Jurgen Klopp di diventare Global Head of Soccer del progetto RedBull ha fatto letteralmente esplodere di rabbia la terra teutonica, innamorata di lui prima come “figura” che come allenatore di calcio. Presentandosi come nuovo allenatore del Liverpool
, ai microfoni del Der Spiegel si definì come “The Normal One“. In contrapposizione a José Mourinho, “The Special One“: tornato al Chelsea tre anni prima.Klopp aveva sempre coltivato la sua figura da uomo spartano, dallo stile comunicativo all’outfit: rigorosamente in tuta al campo d’allenamento e durante le partite. La sua scelta di sposare il progetto RedBull, percepito come la cosa più distante possibile dallo spirito calcistico, ha fatto imbestialire coloro che apprezzano Klopp per ciò rappresentava. Coloro che lo percepivano come uno di loro, uno che amava il calcio come loro.
La stampa tedesca ci è andata giù pesante nei suoi confronti, ma il più duro di tutti è stato sicuramente Günter Klein, giornalista del Münchner Merkur, che, sin dal giorno dell’annuncio ufficiale della collaborazione, ha riempito (e sta tutt’ora riempiendo) il suo profilo Twitter con critiche nei confronti di Klopp.
Da “innocenti” meme a vere e proprie stilettate, come quando lo ha definito “un pagliaccio con un incarico di fantasia” o “un uomo falso, come i suoi denti“. Non ha dubbi il portale tedesco T-online.de: “Klopp ha commesso il peggior errore della sua carriera. La sua immagine pubblica in Germania non esiste più“.
La risposta sta nella disparità economica che, dalla riunificazione della Germania, vige fra i territori di quella che una volta era la Germania Ovest e quelli dell’ex-enclave sovietica. Nella parte occidentale del paese, infatti, la densità capillare di club professionistici efficienti e blasonati avrebbe reso difficile alla RedBull l’acquisizione di un club di livello. Questo non succede però nei territori dell’ex-Germania Est, dove il livello della pratica calcistica era stato gravemente indebolito dalla diaspora verso Occidente dei suoi migliori elementi.
Quella delle enormi differenze sociali fra la parte occidentale del paese e quella orientale è una vecchia storia. Sempre presente dal 1989, ma più che mai attuale con la recente crisi economica (la Germania è in recessione da poco meno di un anno) che ha colpito il paese. Figlia della sciagurata politica europee delle auto-sanzioni e dell’allontanamento dal suo principale partner commerciale: la Russia.
Oggi a pagare dazio del bellicismo occidentale è tutta la Germania (la Volkswagen ipotizza la chiusura di alcuni suoi stabilimenti, non era mai successo in 87 anni), ma soprattutto quella che guarda verso Est. Senza una situazione socio-economica di questo tipo, forse la RedBull non avrebbe potuto acquistare il Leipzig.
Aggiornato al 11/10/2024 2:00
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