Altra vittoria di carattere della Lazio, che (come con l’Empoli) emerge vittoriosa da una partita complicata grazie alle sue soluzioni.
Zac, si gira. Questa volta niente boutade dagli undici metri. Zaccagni, sebbene appena entrato, si prende pallone e responsabilità di andare dal dischetto. Castellanos a secco, questa volta, non è un fattore. Il bacio dell’argentino al proprio capitano è l’highlight della serata, la cui leadership è riconosciuta all’interno del gruppo.
Già, il gruppo. Quel gruppo che Baroni è stato in grado, sapientemente e pazientemente, di ricucire e (ri)plasmare. Quella del centravanti che cede pallone e riflettori al proprio compagno è una scena che alla Lazio non si era più abituati a vedere, ma che si torna ad ammirare con gioia. Taty non segna neanche stavolta, ma nonostante il suo centravanti sia fermo a quota 5 gol in campionato la Lazio (24 reti all’attivo) ha comunque il terzo attacco della Serie A.
In Italia solo Inter (25) e Atalanta (29) hanno fatto meglio. In Europa (considerando tutte le competizioni) soltanto Bayern Monaco (30) e Barcellona (38) fanno meglio del collettivo di Baroni. Già, il collettivo. Quella componente marginalizzata e fagocitata dall’individualismo dei cosiddetti “senatori”, che sistematicamente immolavano il bene della squadra sull’altare del proprio ego personale. Potati i rami secchi e le mele marce, la Lazio ragiona da squadra. Pensa da squadra. Gioca da squadra.
Alla faccia di chi pensava che senza Immobile non si potesse più giocare a calcio. Il centravanti da 40 gol (se fa solo quello) è utile alla sua squadra come un partito che prende il 30% alle elezioni. Lui esulta, ma la coalizione perde perché i voti se li è presi tutti lui. Il centravanti che fa giocare (bene) la squadra; che gioca con e per la squadra; che fa segnare anche i suoi compagni, magari segnerà qualche gol in meno. Ma chi se ne importa, verrebbe da dire, se i risultati sono questi
.Oggi la Lazio ha più soluzioni e per questo vince più partite. Gare come quelle contro il Cagliari (o contro l’Empoli) la “vecchia” Lazio non le avrebbe mai vinte, in quanto era prigioniera dell’egoismo dei suoi singoli. Avere più giocatori che vanno in gol (11, nessuno in Italia ne ha mandati a segno di più) significa essere imprevedibili. Imprevedibilità significa più soluzioni e più soluzioni vuol dire più vittorie, quindi più punti. Sintomatico di questo la coesistenza, che pareva impensabile, fra lui e Dia.
Due che nascono come nove veri, che pensano da centravanti e che quindi vorrebbero segnare tutte le partite. Eppure fra i due non c’è una deleteria competizione, ma una sana cooperazione. Quando segna uno esulta anche l’altro, perché sa che segnerà alla prossima. Per questa ragione il senegalese ha accettato di giocare molto più lontano dalla porta (da “finto dieci”) per i suoi standard. Ha accettato di sacrificarsi perché ha percepito la stessa predisposizione al sacrificio da parte dei suoi compagni.
Scordatevi la Lazio del “Re” e dei suoi dieci cavalieri serventi. La monarchia a Formello è caduta e quando cade la Corona è sempre una cosa positiva. Molti si chiedono dove possa arrivare questa Lazio. A questa domanda rispondo che non ha senso iniziare a chiederselo. Sarebbe stupido, considerando che la forza di questa squadra risiede proprio nella sua leggerezza. Nella consapevolezza che questo è un anno zero. Una stagione senza obiettivi, e tale deve rimanere.
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