editoriale
Lazio involuta: i dati che certificano la “crisi” di Baroni
Una Lazio incerottata non va oltre l’1-1 in casa con il Como. Per la squadra di Baroni solo una vittoria nelle ultime cinque gare.
I dati, di per sé, non dicono nulla. Non raccontano una verità oggettiva e sopraelevata rispetto alla comune percezione del tifoso. Sono però un caposaldo dell’esegesi calcistica, dato che rappresentano uno dei pochi punti fermi di uno sport estremamente soggettivo, e devono essere alla base dell’analisi. Se interpretati nella giusta maniera, possono essere capisaldi di ragionamento e indicarci un pattern da seguire.
Il diktat di Baroni stride con l’attualità
La Lazio che ha incantato l’Italia (e non solo) durante la prima parte di stagione si basava su due presupposti fondamentali. Il primo era una straordinaria coralità, resa possibile soltanto dalla pretesa (impossibile in un calendario così congestionato) di avere sempre a disposizione (e in una condizione psico-fisica ottimale) i capisaldi della squadra. Tavares a sinistra, Guendouzi-Rovella nel mezzo, Dia-Taty con Zaccagni.
Il secondo è la condizione fisica della squadra nella sua interezza, fondamentale per reggere un gioco basato su ritmi asfissianti non solo per gli avversari ma anche per i giocatori stessi. Per perorare il suo credo calcistico, Baroni ha sempre preteso una squadra alta e corta. La conditio sine qua non per rendere sostenibile un assetto tanto spregiudicato è una straordinaria e costante applicazione di squadra.
Guendouzi e Rovella devono coprire enormi porzioni di campo; i due esterni devono eseguire uno sfibrante lavoro da cursori a tutta fascia (per coprire i laterali che vanno in sovrapposizione, diventando ali aggiunte in fase di possesso ma scoprendo il fianco in transizione); i due attaccanti devono muoversi molto per tutto il fronte d’attacco, non dando mai riferimenti all’avversario ma fornendo sempre una soluzione ai compagni.
Lazio più esposta: cosa ci dicono i dati
Se manca questo, salta il banco e crolla il castello. Il sentito comune del tifoso è che la Lazio alterni buone e cattive prestazioni in base alla partita, fra un tempo e l’altro o addirittura a seconda dello spezzone di gara. I dati, però, forniscono una lettura diversa e ci restituiscono il pattern di una squadra sistematicamente più esposta. Il risultato finale della partita, come spesso nel capita nel calcio, è una variabile aleatoria e figlia di circostanze, ma l’andamento (statistico) della gara è sempre lo stesso.
Infatti, nelle ultime sei partite, la Lazio ha fatto registrare un xGA superiore a 1 in cinque. L’xGA è un acronimo che sta per “Expected Goal Against” e indica le “situazioni da gol” (o per lo meno quelle in cui “un gol è atteso”, e quindi più probabile, statisticamente) concesse da una squadra nell’arco di un match. Gli xG non sono propriamente le occasioni create o subite, ma questa semplificazione ci è comunque utile.
Nelle precedenti 21 partite, era successo solo 6 volte. La partita contro l’Atalanta, da molti descritta come estremamente positiva, è stata (statistiche alla mano) la peggior prestazione difensiva della Lazio dell’anno. Infatti, in quell’occasione gli xGA furono 2,81. Il peggior dato della stagione per la Lazio e il secondo miglior dato dei bergamaschi, che solo contro il Genoa (con un xG di 3,65) avevano creato di più.
17 tiri concessi al Como, è “record”: ma c’è un pattern
Per fare un paragone, nella debacle contro l’Inter gli xG dei nerazzurri erano stati di 2,14. Quella contro gli orobici era stata la seconda peggior performance difensiva della stagione, con 14 tiri concessi agli avversari: gli stessi concessi al Como all’andata e alla Fiorentina. Peggio soltanto contro la Juventus (ma giocando 60 minuti con un uomo in meno) e contro l’Ajax, su un campo tradizionalmente complicato.
Proprio contro i lariani la Lazio ha riscritto il proprio record negativo, facendo calciare 17 volte la squadra di Fabregas. Un dato certamente corroborato dall’inferiorità numerica dell’ultima mezz’ora, ma la fragilità difensiva della squadra di Baroni era tangibile anche in parità numerica. A nulla è servito l’inserimento in pianta stabile di Dele-Bashiru (che pure sta giocando benissimo) per ridare “equilibrio” alla squadra.
Quando manca uno fra Dia e Castellanos (e anche Pedro, in questo caso) la Lazio torna ad essere prevedibile come lo era quella di Sarri, ma si sapeva che non avrebbero potuto giocarle tutte. Guendouzi e Rovella avrebbero terribilmente bisogno di tirare il fiato ogni tanto, ma sono gli unici giocatori della rosa a non avere ricambi. Come al solito un dato è un dato e da solo non vuol dire nulla. Di per sé i numeri non sono insinuanti e l’occhio digitale non pretende di essere superiore all’occhio umano: fornisce solo uno spunto.
La conclusione che sovviene spontanea è che la Lazio sia corta e che, allo stato attuale delle cose, non sia in grado sostenere (sul lungo periodo) i ritmi chiesti da Baroni. Anche questa è una fredda analisi senza pretese. La si può interpretare, a seconda di chi legge, come una critica all’allenatore o alla dirigenza, anche se preferirei venisse letta come una “critica” a tifosi e opinionisti.
I difetti c’erano anche prima, quando i risultati li mascheravano, e costruire aspettative sulla base di mezza stagione non è mai positivo. Non si può pretendere una Lazio competitiva su tutti i fronti al primo anno di un cambio pelle radicale. I dati, di nuovo, da soli non dicono nulla, ma possiamo interpretarli come un monito a non disperdere l’entusiasmo solo per la delusione di aver perso contatto con la realtà.
editoriale
Juventus, tra calciomercato e campo: ora viene il difficile
Sarà un gennaio di fuoco per la Juventus: la squadra deve dare dei segnali tra campionato e Champions, la dirigenza deve rispondere presente sul calciomercato.
Gennaio è e sarà un mese decisivo per la Juventus, sia sul campo, sia sul mercato. I bianconeri devono tornare a vincere, ma hanno di fronte un calendario da brividi con derby, Atalanta, Milan e Napoli in campionato e due sfide decisive in Champions League.
In casa Juventus bisogna credere al progetto, nonostante le difficoltà e gli infortuni, nonostante un distacco importante dal primo posto.
Il mondo bianconero non deve disunirsi e rimanere in totale sintonia, non tutto è perduto a patto di continuare a giocare sempre concentrati ed evitare gli errori da suicidio di massa collettivo che la Juve ha fatto nelle ultime partite.
I motivi per essere fiduciosi ci sono ma c’è bisogno di una risposta sul campo e da parte della dirigenza sul fronte calciomercato.
Juventus, parola al campo
Serve una reazione da parte di tutti, del gruppo e provare ad iniziare una serie di vittorie, invertendo la serie che non vede i bianconeri vincenti per più di due partite di seguito, un dato che, sicuramente, cozza con le ambizioni di chi vuole provare a puntare in alto. Con il Torino tutti si aspettano che la squadra ci metta alta intensità e soprattutto un livello elevato di attenzione in modo che possa, sicuramente, provare a portare a casa la vittoria.
Juventus, il punto sul calciomercato
A partire dalla difesa, priva di Bremer e Cabral e con Danilo in partenza.
Le ultime indicazioni danno Ronald Araujo sempre più vicino a Torino. Il difensore uruguaiano, ma con passaporto spagnolo, avrebbe già detto sì alla proposta della Signora e adesso bisogna trovare l’accordo definitivo con il Barcellona (che avrebbe proposto anche Andreas Christensen) su modalità di cessione e ingaggio. La Juve, però, ha bisogno di un altro difensore e per quel posto sono in lizza Antonio Silva del Benfica e David Hancko del Feyenoord. Per lo slovacco ex Fiorentina bisognerà tuttavia attendere l’estate visto che il club olandese non intende cederlo adesso.
Considerati i continui guai di Milik, poi, bisognerà mettere mano anche all’attacco. L’obiettivo numero uno sarebbe Joshua Zirkzee, vecchio pallino di Thiago Motta. La trattativa con il Manchester United, però, non è ancora decollata e per questo pare più semplice arrivare a Kolo Muani. Il Psg sarebbe disposto a cederlo in prestito, contribuendo a parte dell’ingaggio e l’impressione è che si possa arrivare alla fumata bianca. Si è parlato anche di Fullkrug, ma molto dipenderà dal possibile cambio sulla panchina del West Ham.
editoriale
Due anni senza Vialli: il ricordo
Il 5 gennaio 2023 veniva portato via a soli 59 anni Gianluca Vialli, un gigante per il calcio italiano e non solo. Il ricordo dalla carriera all’Europeo 2020.
Nel giorno dell’anniversario della morte di Gianluca Vialli ci teniamo a ricordare che non è stato solo un grande calciatore con Cremonese, Sampdoria e Juventus, ma anche un importante figura all’interno dello staff della nazionale che ha trionfato negli ultimi Europei. Ripercorrendo assieme ciò che Gianluca è stato dentro e al di fuori dal campo.
La carriera di Vialli
Sono memorabili gli anni alla Sampdoria con Roberto Mancini. Giocatore con cui, ben prima dell’esperienza in Nazionale, riuscì ad instaurare un rapporto incredibile, culminato con lo storico scudetto blucerchiato del ’91 e con la Coppa delle Coppe 2 anni prima.
La finale della Coppa delle Coppe vinta grazie alla doppietta del grande Gianluca testimonia quanto grande sia stato come giocatore, anche ben prima della Champions League e dell’esperienza in Inghilterra.
Vialli, in 325 presenze in Serie A, riuscirà a mettere a segno più di 120 goal, guadagnandosi di diritto un posto nella lista dei migliori attaccanti a cavallo tra fine anni ’80 e 90′. Inoltre, assieme ad una grande carriera ricca di trofei e vittorie, grazie alla quale riuscì a coronare il sogno di ogni calciatore, porta con sé anche numerosi record. Infatti Vialli è l’unico attaccante ad aver vinto tutte e tre le storiche competizioni Uefa destinate alle squadre di Club, di cui anche ovviamente anche la Champions League vinta nel 1996 con la Juventus.
La mitica carriera di Vialli si concluse in Inghilterra con la maglia dei Blues, squadra che poi gli affidò anche la panchina: dando inizio così ad una nuova fase della vita calcistica del giocatore nato a Cremona.
L’esperienza con la Nazionale
Gianluca Vialli è sempre stato un grande leader. A partire da quando era calciatore, trascinando con i goal le sue squadre. E per finire anche quando si è seduto in panchina, grazie al suo straordinario carisma.
Nel 2020 ne abbiamo avuto l’ennesima prova. Infatti Vialli si dimostrò una figura imprescindibile per la conquista dell’Europeo da parte della spedizione italiana, di cui fece parte nel ruolo di assistente di Roberto Mancini: suo amico e compagno di una vita.
Durante tutta l’esperienza Vialli riuscì a trasmettere le sue idee sia sul piano tattico che dal punto di vista relazionale, motivando i calciatori al fine di conferire in loro un senso d’unità che si rivelò fondamentale al fine della conquista del trofeo. Emblematico il suo abbraccio con l’allenatore subito dopo la vittoria dell’Europeo, capace di rendere al meglio l’idea dell’importanza del suo ruolo.
Quel successo, nonostante rappresenti un enorme obbiettivo conseguito dal nostro paese in ambito sportivo, esula dai confini sportivi. Affermandosi come una vera e propria celebrazione dei valori che Vialli ci ha tenuto a ricordare fino all’ultimo dei suoi giorni. Grazie di tutto, Gianluca.
editoriale
Ronaldo ci riprova: “Arabia meglio della Ligue 1”, la LFP risponde con…Messi
Cristiano Ronaldo, dalla sua pensione dorata in Arabia Saudita, prova nuovamente a convincerci della competitività di un campionato che nessuno guarda.
Non è la prima volta che Cristiano Ronaldo, che avendo capito di essere un ex-giocatore sta iniziando a fare l’opinionista, “attacca” (indirettamente) la massima serie francese. Lo aveva già fatto qualche mese fa, arrivando ad affermare che (nonostante l’imminente scoppio della bolla saudita) “la Saudi Pro League fosse meglio“.
Ronaldo attacca, la Ligue 1 risponde con…Messi
Le argomentazioni son, bene o male, sempre le stesse. “Campionato di basso livello” (suppongo che a Riyad non abbiano trasmesso Monaco-PSG, a parer mio una delle più belle partite dell’anno) e “dopo il PSG c’è il vuoto“. Evidentemente ignorando che, nelle prime otto della League Phase della Champions League, ci siano due francesi: Brest e Lille. Con quest’ultima che ha battuto il Real Madrid, ex-squadra del portoghese.
Poi, però, il lusitano tira fuori una nuova perla dal cilindro. “Provate a fare uno scatto con 40 gradi all’ombra e poi vedete“. Meraviglioso. Come se in Qatar e in Arabia Saudita gli stadi non fossero dotati dei più moderni strumenti di condizionamento climatico, ma sorvoliamo. Come se non avessimo giocato un’edizione dei Mondiali in Qatar e non fossimo in procinto di giocarne un’altra, proprio in Arabia Saudita.
E, a proposito di Qatar, la Ligue 1 (stavolta) ha deciso di rispondere alle provocazioni dell’attaccante dell’Al-Nassr. Tramite un post pubblicato sul suo profilo Twitter, la LFP (l’ente regolatore della massima divisione transalpina) ha postato una foto ritraente Lionel Messi (acerrimo rivale di Ronaldo) mentre bacia il trofeo della Coppa del Mondo. Vinto proprio in Qatar con la sua Argentina, durante i Mondiali del 2022.
A corredo dell’immagine un’eloquente didascalia, che recita: “Lionel Messi mentre gioca (e vince, aggiungo io) con 38 gradi“. Messi, che per due anni (dal 2021 al 2023), ha arricchito (assieme ad altri straordinari campioni come Neymar, Mbappé ma non solo) l’esperienza calcistica di tutti gli appassionati di Ligue 1.
Mentre la Saudi Pro League, che sarebbe dovuta essere The Next Big Thing, è ferma all’arrivo di un-ex campione (tra l’altro in evidente fase calante già da prima di dichiararlo indirettamente, accettando una pensione dorata in Medio Oriente) e poco altro. Rinnovo la mia provocazione dell’ultimo editoriale: la Ligue 1 muove ancora oltre mezzo milione di diritti televisivi annui. L’Arabia Saudita, invece, Cristiano?
Leo Messi jugando con 38 grados 🌟🇦🇷🐐 pic.twitter.com/2AWglqm8zk
— Ligue 1 Español (@Ligue1_ESP) December 28, 2024
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