Categorie: Premier League

La Premier League e il “Controllo Statale”

L’organo indipendente per la gestione della Premier League sta già mostrando un cambiamento epocale. Prima l’Everton. Ora (forse) il City e il Chelsea.

Ci sono due correnti di pensiero preponderanti in economia. Una che rigetta il controllo statale e predica l’assoluta libertà di azione per le imprese. E un’altra che esige un controllo capillare dello stato sui mercati e sul suo andamento.

Il primo prende il nome di libero mercato o liberismo. Il secondo non ha una vera e propria nomenclatura. Viene principalmente associato all’economia pianificata, tipica degli stati socialisti e/o comunisti.

E’ quindi quantomeno peculiare che il primo governo al mondo a istituire un organo di controllo calcistico sia quello inglese. Il paese delle folli privatizzazioni e fautore del Thatcherismo. Un paese di natura conservatrice e da sempre strenuo sostenitore del capitalismo. Un paese che, nonostante il suo legame quasi simbiotico con gli Stati Uniti, ha sempre mantenuto quel desiderio incrollabile di autonomia che lo ha contraddistinto e condotto sino alla Brexit.

La Premier League e il “Modello Inglese” #1: I Diritti Televisivi

Il cosiddetto “modello inglese” consiste nell’immettere quanti più soldi possibili nel sistema calcio nazionale. E lo si fa principalmente in due modi. Il primo tramite la ripartizione dei diritti televisivi.

La Premier League suddivide la torta dei ricavi secondo tre criteri:

I Criterio: il 50% dell’intero ricavato viene suddiviso equamente fra tutti i club. E’ una prassi consolidata, anche in Italia vige la stessa procedura.

L’altra metà viene a sua volta divisa in due e suddivisa in questa maniera:

II Criterio: il primo 25% viene assegnato SOLO sulla base dei risultati sportivi. E’ la prima grande differenza con l’Italia. Dove il 50% (e non il 25) dei ricavi viene assegnato ANCHE sulla base dei risultati sportivi. Gli altri criteri sono i risultati storici (quindi legati al blasone del club) e il seguito del club.

In particolare si pone l’accento su crismi quali il ricavo al botteghino (biglietti venduti e/o abbonamenti sottoscritti) e l’audience media. Per i meno addetti ai lavori, più la tua squadra è stata seguita l’anno precedente e più guadagnerai l’anno successivo. Un sistema non meritocratico, che non solo fa in modo che i ricchi rimangano tali ma che lo diventino sempre di più.

III Criterio: il secondo 25%, invece, viene assegnato sulla base dello status delle infrastrutture del club. Per infrastrutture si è sovente intendere il centro sportivo. Lo stadio. Il settore giovanile et similia. In Italia sento parlare spesso di infrastrutture inadeguate, ma mai nessuno ha messo degli incentivi economici al loro sviluppo. Esempio: nel suo reportThe Best Academy in the World“, il CIES ha stipulato la classifica dei migliori vivai del mondo.

Non a caso, nelle prime dieci posizioni ci sono due squadre inglesi. Il Chelsea (secondo) ha prodotto 78 giocatori per un totale di 630 milioni di euro. Il City (quinto) ha prodotto 81 giocatori per un totale di 510 milioni di euro. La prima squadra italiana si trova addirittura alla 40esima posizione. E’ l’Atalanta, che ha prodotto 48 giocatori per un totale di 217 milioni di euro.

La Premier League e il “Modello Inglese” #2: Mercato Nazionale

Il secondo consiste nell’attenzione al mercato nazionale. Avete mai avuto l’impressione che i prezzi del mercato inglese fossero inflazionati rispetto al mercato globale? I trasferimenti interni alla Premier League hanno dei prezzi mediamente molto più alti rispetto a tutti gli altri campionati d’Europa.

Un giocatore di X valore che si trasferisce da una squadra inglese all’altra in media verrà pagato molto di più del suo omologo (di pari livello o comunque di valore simile) di un qualsiasi altro campionato.

Questo accade principalmente per tre motivi:

I Motivo: le squadre inglesi, tendenzialmente, non hanno necessità di vendere i propri asset. Sia per i bilanci in ordine, sia per gli alti fatturati che rendono meno impellente la necessità di fare cassa.

II Motivo: le squadre inglesi, tendenzialmente, hanno una capacità di spesa mediamente molto superiore a quella del resto dell’Europa.

III Motivo: le squadre inglesi, a parità di prezzo, preferiscono investire nel mercato nazionale piuttosto che in quello internazionale.

La ragione è duplice. In primis: essendo la Premier League è il campionato dal più alto coefficiente di difficoltà al mondo, acquistando un calciatore che già gioca in Inghilterra non hai dubbi sul suo adattamento al calcio inglese.

In secundis: anziché portare i soldi all’estero, si preferisce farli rimanere all’interno dei confini nazionali. Così facendo si crea una sorta di autarchia economica. Una condizione di autosufficienza che arricchisce progressivamente tutti i club. Più soldi girano, più ricche diventano le squadre.

Questo si traduce, e qui ci ricolleghiamo al secondo motivo di cui sopra, in una maggiore capacità di spesa da parte dei club. Sono anni che la Premier League è il campionato in cui si spende più. Per accorgersene basterebbe anche solo guardare l’ultima sessione di calciomercato estivo. Dove sei delle dieci squadre ad aver investito di più militano in Premier League

Gli atavici limiti del Capitalismo

Sembra tutto perfetto. Io, grande club inglese, ho tanti soldi per acquistare i tuoi giocatori. E tu, piccolo club inglese, guadagni tanti soldi dal fatto che io acquisti i tuoi giocatori. E vissero tutti ricchi e contenti. O forse no

.

Perché la Premier League rimane l’estremizzazione calcistica del capitalismo. Un sistema patologico dove, ineluttabilmente, le porzioni maggiori di ricchezza sono concentrate nelle mani di pochissimi individui. E in una plutocrazia non c’è modo di sovvertire l’ordine costituito.

Lo status quo rimane quindi immutabile. Il capitalismo è un modo di intendere l’economia che, da sempre, porta degli immediati (e spesso cospicui) vantaggi all’inizio ma finisce sempre con l’arrovellarsi su sé stesso nel tempo.

A dimostrazione di quanto appena asserito, lo scorso Febbraio la English Football League (l’ente regolatore che gestisce le tre leghe professionistiche al di sotto della Premier League) ha chiesto al governo inglese un aiuto per redistribuire gli introiti derivanti a cascata dalla massima serie.

Il presidente della EFL, Rick Parry, ha annunciato di aver chiesto al governo inglese di “aiutare il calcio professionistico inglese a riparare un sistema distorto e non più funzionale allo sviluppo di tutto il movimento.

Karl Marx sosteneva che “ogni sistema capitalistico porta in sé i semi della propria autodistruzione“. Una consapevolezza che è stata acquisita anche oltremanica, dove l’impressione che il sistema calcio sia sempre più vicino alla propria implosione è molto più che una mera sensazione.

I “White Paper” del calcio inglese

Non dovrebbe quindi stupire se, dopo oltre trent’anni di sfrenato liberismo economico, la Premier League abbia messo in piedi la prima misura di stampo “socialista” nella storia della plutocrazia del pallone. 

Ovvero un organo di controllo indipendente il cui obiettivo sarà quello di regolamentare il calcio inglese. L’esecutivo britannico ha annunciato l’avvio di un progetto per “trasformare radicalmente le regole che regolano la gestione del calcio in Inghilterra.” E conta di farlo utilizzando uno strumento chiamato “White Paper“. I white paper sono piani formali per la legislazione con l’obiettivo dichiarato di “gestire e controllare il sistema calcio.”

Il governo inglese è stato convinto dalla revisione mossa dall’ex-Ministro dello Sport Tracey Crouch. La Crouch, nel Novembre del 2021, ha pubblicato uno scritto di 162 pagine dal nome “Fan-Led Review of Football Governance“.

Una mozione in cui propone di regolamentare la Premier League, rendendola più egalitaria e sostenibile. Parole che hanno evocato brutti ricordi nelle menti dei “potenti del calcio”. Christian Purslow, l’allora amministratore delegato dell’Aston Villa, dichiarò “la Crouch intende uccidere la Premier League“.

O ancora. Angus Kinnear, direttore generale del Leeds, ha paragonato le 47 raccomandazioni contenute nel rapporto al collettivismo agricolo di Mao Tse-Tung. Una visione fantasiosa e ben lontana dalla realtà, ma che ci ricorda come il comunismo rimanga il peggior incubo dei capitalisti. 

Anche da morto. Ironicamente, la Crouch fu Ministro dello Sport per il Partito Conservatore. Partito di destra/centro-destra a livello nazionale, mentre a livello europeo fa parte del “Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei“. Che, per intenderci, è il partito a cui fa capo Giorgia Meloni.

La stessa EFL, al pari della FA e della Premier League, si era detta contraria alla mozione all’epoca. Salvo rendersi conto che il calcio inglese non era più in grado di autoregolarsi, poiché lacerato dall’interesse economico La EFL è attualmente in trattativa con la FA e la Premier League per dare alla luce il cosiddetto “New Deal“. Un nuovo accordo che, cito ancora una volta dai ragazzi di Social Media Soccer: “comprende la regolamentazione dei flussi finanziari con misure di controllo più rigide sui costi, l’incremento degli investimenti sullo sviluppo dei giocatori e il rimodellamento del calendario a livello nazionale.

(Photo by Steve Flynn/News Images)

“Modello non più sostenibile”

Ma per quale motivo in Inghilterra il partito di coloro che ritengono l’invidiato modello inglese “non più sostenibile” sta raccogliendo così tanti consensi?

I motivi sono principalmente tre:

#1 Le continue e generalizzate perdite: in Inghilterra hanno introdotto un loro personale modello di Financial Fair Play e stanno valutando anche l’implementazione di un Salary Cap. La prima squadra a farne le spese è stata l’Everton, penalizzata di dieci punti in classifica dopo qualche anno sotto la lente d’ingrandimento degli organi competenti, e adesso rischiano di fare la sua stessa fine (se non una addirittura peggiore) anche Manchester City e Chelsea.

#2 Evitare gestioni scellerate dei club: come quella, per esempio, del Derby County. Retrocesso in League One (dopo 26 anni dall’ultima volta) a causa della situazione disastrosa in cui versavano i suoi conti

#3 Vietare le sponsorizzazioni fantasma: come per esempio il takeover concluso circa un mese fa dal PIF (il Public Investment Fund, il fondo saudita che gestisce il Newcastle) per circa 350 milioni di euro. Una stratagemma simile a quello che per anni aveva consentito al Manchester City di eludere i paletti del FFP UEFA. A tal proposito, i club di Premier League hanno recentemente votato una mozione che vieta le sponsorizzazioni fra aziende che fanno capo alla stessa proprietà. Diciotto squadre su venti si sono dette favorevoli. Le uniche contrario, guarda caso, sono il City e il Newcastle.

Aggiornato al 18/11/2023 17:49

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Pubblicato da
Marco Palleschi Terzoli

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