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Juventus, è arrivato Motta: come giocherà la sua Vecchia Signora
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redazione
Dopo l’arrivo alla Juventus, Thiago Motta è subito partito verso la Continassa per svolgere le visite mediche: dove è stato accolto calorosamente dai tifosi.
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Juventus, è iniziata l’era di Thiago Motta
Dopo essere atterrato all’aeroporto di Malpensa nella serata di ieri, domenica 7 luglio, attorno alle ore 20, il neo-allenatore della Juventus Thiago Motta si è immediatamente recato alla Continassa. Dove questa mattina ha svolto le visite mediche al JMedical assieme al suo staff, accolto calorosamente dai suoi nuovi tifosi.
L’ex mister del Bologna, però, conoscerà i suoi giocatori solamente mercoledì 10 luglio, data dell’inizio del ritiro bianconero.
Quando verrà presentato il tecnico
Al momento la data della presentazione del nuovo tecnico non è ancora stata annunciata da parte della società, ma quasi sicuramente si terrà nel corso della prossima settimana.
Attualmente l’unica cosa di cui si è a conoscenza sono i dettagli e la durata del suo contratto. Il tecnico italo-brasiliano, infatti, sarà bianconero fino al 30 giugno 2027.
Come giocherà la sua Juventus
In attesa dell’arrivo del successore di Massimiliano Allegri, il ds Cristiano Giuntoli ha già compiuto qualche mossa riguardo al mercato in entrata. Il portiere Michele Di Gregorio e il centrocampista Douglas Luiz, o ancora il quasi certo approdo del figlio d’arte Khepren Thuram: centrocampista in uscita dal Nizza.
L’era di Thiago Motta, però, per dichiararsi tale ha ancora bisogno di qualche innesto, per aumentare la qualità e il valore della rosa. Primo fra tutti l’atalantino Teun Koopmeiners, il cui cartellino però si aggira attorno ai 60 milioni. L’inglese Jadon Sancho e il centrale dell’Arsenal Jakub Kiwior, vecchia conoscenza di Motta ai tempi dello Spezia. Per fare cassa si pensa di utilizzare il non più incedibile Federico Chiesa.
Dunque, nella migliore delle ipotesi, questa potrebbe essere la probabile formazione della Juventus 2024/25
(4-2-3-1): Di Gregorio; Danilo; Bremer; Kiwior; Cambiaso; Douglas Luiz; Thuram; Koopmeiners; Yildiz; Sancho; Vlahovic

THIAGO MOTTA PUNTA IL DITO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Il cambio di modulo rilancia il Milan, che asfalta l’Udinese, e rispolvera il Theo Hernandez dei giorni migliori. Che sia la strada giusta per il futuro?
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Il Milan travolge l’Udinese con un sonoro 0-4 e ritrova compattezza, brillantezza e, soprattutto, efficacia offensiva. Una delle migliori versioni stagionali della squadra rossonera, arrivata grazie a un cambio di sistema forzato dalle assenze sulla destra ma che ha dato frutti immediati. Un Milan ordinato e letale, in cui si sono rivisti i migliori Theo Hernandez e Rafael Leao.
Proprio il terzino francese, spesso primo bersaglio delle critiche per il rendimento di quest’anno, sembra poter rinascere con questo 3-4-3. Meno compiti difensivi, più campo da attaccare: la ricetta della rinascita potrebbe essere stata finalmente trovata.

RAFAEL LEAO E THEO HERNANDEZ ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Theo ritrova se stesso nel 3-4-3
Uno dei volti simbolo del successo alla Dacia Arena è stato proprio Theo, tornato al gol e autore di una prestazione totale. Il francese è apparso più attento dietro e molto più incisivo in avanti, come dimostrato dal gol del 3-0, che potrebbe essere letto come un segnale per un futuro ancora rossonero. La verità è che poche volte in stagione si era visto il vero Theo, quello delle falcate sulla sinistra e delle incursioni letali. A Udine, è tornato a fare quello che gli riesce meglio: attaccare.
L’intuizione di Sergio Conceicao di passare alla difesa a tre con due esterni alti ha dato una scossa importante al Milan. Il 3-4-3, più equilibrato ma al contempo aggressivo, ha regalato una migliore fase difensiva e liberato la qualità dei giocatori più offensivi. Theo ha agito sulla linea dei centrocampisti, coperto alle spalle da Tomori e Pavlovic, e ha potuto sfruttare al massimo i suoi strappi senza dover rientrare con continuità.
Milan, ora serve continuità
Quella contro l’Udinese è stata probabilmente la miglior prestazione dell’era Conceicao, ma ora la sfida sarà dare continuità a questo nuovo assetto. Il modulo, seppur scelto per necessità, ha rivelato potenzialità interessanti, soprattutto per esaltare giocatori come Theo e Leao, che hanno bisogno di libertà e spazi.
La rinascita del francese potrebbe rappresentare una delle chiavi per il finale di stagione e per tenere vive le speranze europee. La strada è ancora lunga, ma il nuovo Milan visto alla Dacia Arena ha riacceso l’entusiasmo tra i supporters rossoneri.
Focus
Violenza sulle donne: dalle curve ai campi si alza un No
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1 giorno fail
11/04/2025By
Sara Cambi
Violenza sulle donne: dopo gli ennesimi femminicidi di Ilaria Sula e Sara Campanella, la reazione del mondo del calcio è stata forte e decisa.
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In Italia, il calcio, linguaggio popolare per eccellenza, si è fatto eco del dolore e della speranza di un’intera società ferita.
Violenza di genere: il silenzio è complice
Le curve, da sempre teatri di cori e rivalità, si sono trasformate in agorà moderne.
Luoghi in cui la rabbia si è sublimata in consapevolezza.
E la voce di chi troppo spesso è ignorato si è alzata, finalmente, a squarciare il silenzio.
I femminicidi di Ilaria Sula e Sara Campanella hanno scosso le fondamenta dell’indifferenza, obbligandoci a guardare in faccia la realtà.
Di fronte a queste tragedie, il calcio non ha scelto la neutralità, ma l’impegno.
Gli striscioni nelle curve
Nella scorsa giornata di campionato il linguaggio del calcio si è intrecciato con quello della memoria.
I tifosi di Palermo e Messina hanno scelto di rompere il silenzio, trasformando gli spalti in luoghi di consapevolezza e di lotta.
Hanno sollevato striscioni che gridano contro la violenza maschile sulle donne.
Un nome evocato dagli spalti: quello di Sara Campanella, la giovane studentessa di 22 anni assassinata a Messina il 31 marzo da un compagno di università.
A Sorrento, la Curva Sud del Messina ha scritto: “L’amore non uccide. Sara vive in tutti noi.” Parole semplici, ma capaci di aprire varchi nella coscienza.
Sul campo, i calciatori portavano il lutto al braccio, mentre i giocatori del Sorrento hanno deposto fiori sotto il settore ospiti: un gesto di silenziosa, potente solidarietà.
A Palermo, durante la partita contro il Sassuolo, è stato esposto uno striscione dalla Curva Nord: “Nel ricordo di Sara, a difesa delle donne. Basta femminicidi.”
Gli atleti rosanero sono scesi in campo con magliette dedicate alla causa.
Sulle maglie, la scritta: “Non un minuto di silenzio. Contro la violenza sulle donne.” E sul retro, i nomi delle vittime, a partire da quello di Sara Campanella.
In tribuna, la famiglia di Sara ha trovato spazio e calore: una piccola comunità si è stretta attorno al dolore.
Anche la curva Est della Ternana ha voluto ricordare Ilaria, la giovane di Terni assassinata a Roma. I tifosi hanno voluto ribadire che ogni vittima non è un numero, ma una ferita aperta nella carne viva del nostro presente.
Inoltre sia la squadra maschile sia quella femminile hanno postato messaggi di vicinanza e partecipazione, in particolare nel giorno di lutto cittadino.
La violenza ha una solida base culturale
La storia di Sara e quella di Ilaria Sula sono tristemente simili. Entrambe ventiduenne, entrambe strappate alla vita dall’ex compagno.
Deve essere chiaro, però, che non sono eccezioni tragiche, ma manifestazioni di una radice profonda e sistemica: il patriarcato, che ancora oggi plasma, giustifica e legittima la violenza.
Non è questione di etnie o di culture “altre”, come provano a suggerire alcune narrazioni politiche fuorvianti. È un fenomeno strutturale, alimentato ogni giorno da una cultura che normalizza il dominio e il possesso, anche nei rapporti più intimi.
Le curve del tifo vengono spesso descritte come focolai di intolleranza.
Ultimamente stanno invece diventando cassa di risonanza di un messaggio collettivo: non accettiamo più il silenzio.
Non accettiamo più l’indifferenza.
Un terribile controsenso
Intanto, paradossalmente, nel mondo del calcio si continuano a tesserare atleti condannati per violenze sessuali.
Mentre sono le tifoserie a prendere posizione pubblica, a fare quello che istituzioni e vertici sportivi troppo spesso evitano: nominare il patriarcato, riconoscere la sua pervasività, denunciarlo senza ambiguità.
Perché sì, cara classe politica, il patriarcato esiste ancora. Ed è proprio questo il nemico da combattere. Ogni giorno, in ogni campo, non solo da gioco.
Storia del calcio contro la violenza sulle donne
Alla Curva Sud del Milan, il 25 novembre 2023, durante Milan–Fiorentina, le parole si sono fatte pietra: “Abusi e violenze sulle donne: ultimo rifugio di vili e meschini. Voi non siete uomini.”
Alla Curva Sud Siberiano della Salernitana, lo stesso giorno, durante Salernitana–Lazio, il rosso, colore del sangue e della ribellione, ha segnato i volti dei tifosi.
La campagna #unrossoallaviolenza è diventata gesto corale, con queste parole a sorreggere il silenzio delle vittime: “Chi picchia una donna è un vigliacco. Chi picchia una donna è un essere insignificante.”
A Cosenza, nello stadio intitolato a Gigi Marulla, il 15 settembre 2024, un altro striscione ha risuonato come una preghiera laica “Verità per Ilaria Mirabelli.”
Perché la memoria è lotta, e il ricordo di Ilaria, giovane ultras scomparsa in circostanze oscure, chiede giustizia oltre l’oblio.
Parola ai giocatori
Durante l’ottava edizione della campagna #unrossoallaviolenza, sostenuta dalla Lega Serie A e da WeWorld, molti calciatori hanno scelto di esporsi.
Non più solo atleti, ma uomini consapevoli, si sono mostrati con un segno rosso sul volto, accanto alle proprie compagne, mogli, figlie.
Mile Svilar, portiere serbo di 25 anni della Roma, è intervenuto sull’argomento dopo l’omicidio di Ilaria Sula, uccisa proprio nella capitale.

MILE SVILAR PENSIEROSO GUARDA IN ALTO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
“È insopportabile continuare a sentire queste notizie ogni giorno. Sono tragedie che riguardano tutti noi, perché potrebbero colpire chiunque”, ha dichiarato Svilar.
“Dobbiamo ripartire dall’educazione: crescere figli che interiorizzino valori sani e che sappiano accettare un ‘no’ senza trasformarlo in violenza. È un messaggio da ripetere quotidianamente, e sono convinto che ciascuno di noi abbia una responsabilità in questo”.
Anche Giada Greggi, centrocampista venticinquenne della Roma femminile e della Nazionale italiana, ha espresso la sua vicinanza e riflessione sulla questione. “Sara e Ilaria avevano più o meno la mia età, con la vita ancora tutta davanti: quello che è accaduto mi ha profondamente scossa”.

GIADA GREGGI ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Greggi ha poi aggiunto: “Come società dobbiamo prendere atto che il femminicidio è l’esito estremo di comportamenti che troppo spesso vengono sottovalutati o normalizzati, come la gelosia morbosa e il controllo ossessivo. È fondamentale educare i ragazzi, fin da piccoli, a capire che il rifiuto fa parte della vita e a liberarsi dalla mentalità del possesso, visto che, quasi sempre, la violenza arriva da persone vicine”.
Un gol contro la violenza
Secondo l’Istat, in Italia si registrano in media 150 femminicidi ogni anno, e nel 2025 l’Osservatorio de La Repubblica ne conta già 11.
Il sostegno del mondo del calcio può essere significativo. Non sono soltanto episodi da cronaca sportiva: sono spiragli di umanità, brecce aperte dentro il muro dell’abitudine.
Sono il segno che anche dentro le arene del tifo, spesso teatro di divisioni, può risuonare un canto comune: quello della dignità e del rispetto.
Perché il calcio, come ogni linguaggio collettivo, ha il potere di scegliere da che parte stare.
E quando si schiera dalla parte della vita, la partita è sempre quella giusta.
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Giovani nelle Coppe: 34 dalla Serie A ma lo spazio è ridotto
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2 giorni fail
10/04/2025
Calendari fitti e senza respiro costringono i club a schierare i giovani. Quella che sembra un’inversione di tendenza nasconde però un analisi più profonda.
Le difficoltà generate dalle moltissime partite hanno costretto i club a rifugiarsi anche nelle giovanili. Quello che potrebbe essere un cambiamento di pensiero però, visto con occhio più critico, sembrerebbe soltanto una contingenza del momento attuale del calcio, in primis quello europeo.

IGOR TUDOR CARICA KENAN YILDIZ ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Il nodo giovani
In sintesi, lo spazio reale per gli U19 è piuttosto esiguo. In questa stagione, considerando tutte le competizioni organizzate dalla UEFA, sono stati 94 i ragazzi che hanno giocato almeno 180 minuti. Spoiler: nessuno di questi è italiano. Secondo spoiler: sebbene il numero di 19enni (o meno) utilizzati da club italiani è di 34 con soli 901 minuti totali. Un totale molto più basso rispetto a quello di altri campionati come Premier League, Bundesliga, LaLiga e Ligue 1. E non solo: anche di altri 13 campionati ritenuti sulla carta minori.
I club con più U19 utilizzati
Per uno strano caso del destino però, la società ad aver schierato più U19 per minutaggio totale è allenata da un italiano. Stiamo parlando, ovviamente, dell’Ajax di Francesco Farioli, eliminata dall’Europa League agli ottavi. Più del doppio del Barcellona, che può contare sui gioielli usciti da La Masia, in primis Lamine Yamal e Pau Cubarsí. In top 10 l’altra big giovane di Champions League, il PSG. Per trovare invece segni del nostro campionato bisogna arrivare alla 23ª posizione, occupata dalla Juventus.
I giovani con più minuti in Europa
I bianconeri hanno scommesso e creduto in Kenan Yildiz, uno dei due pupilli mandati in campo da Thiago Motta prima dell’eliminazione ai play-off. Il turco ha ripagato con un gol (al PSV) e un assist (contro il Man City). Questi sono stati gli unici registrati da un club della Serie A in Europa in stagione per la categoria U19 (19enni o più piccoli al momento della gara).
In totale i minuti del numero 10 bianconero sono stati 669, più di calciatori in ascesa come Warren Zaire-Emery e Désiré Doué. I due del club parigino però proveranno ad avvicinarsi nei prossimi impegni di coppa. Non abbastanza però per superare o raggiungere Lamine Yamal e di Geovany Quenda, fra i più chiacchierati del momento, e dell’ex-Milan Jan-Carlo Simić. La scelta del serbo è stata ripagata, passato all’Anderlecht per avere un ruolo più centrale nel calcio dei grandi. Del resto, la formula vincente rimane sempre la stessa: qualità importanti riscontrabili nel calciatore, fiducia e coraggio da parte dei tecnici. Quel mix che ha portato Farioli a fare di Jorrel Hato, 19enne olandese, un elemento cardine dei Lancieri.
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