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Rabiot ha scoperchiato il vaso di Pandora. Max, come fai a lavorare così?
Hanno destato scalpore le parole pronunciate da Adrien Rabiot al termine della partita pareggiata 1-1 in casa con la Salernitana.
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Juventus, girone di ritorno da retrocessione
Al netto di due partite da campionato ancora da giocare, che potrebbero permettere ad Allegri e alla Juventus di incrementare il (magro) bottino di punti accumulati nel girone di ritorno, 21 punti in 17 partite sono a dir poco inaccettabili. La Juventus non faceva così male nel girone di ritorno dalla stagione 1992-1993.
In quel caso i punti accumulati nel girone di ritorno furono appena 20. Come si spiega un tale tracollo, che ha portato la Juventus ad avere una media punti da retrocessione (15 punti nelle ultime 15 partite, peggio hanno fatto solo Frosinone, Sassuolo e Salernitana) nella seconda parte di campionato?
“E’ colpa dell’allenatore” urlerebbero tracotanti i neoplatonici del pallone. Se non fosse che parliamo dello stesso allenatore che nel girone d’andata di punti ne aveva fatti 46. La squadra è quella. L’allenatore pure e il modo di metterla in campo (se non in determinati frangenti) anche. E allora che cosa è cambiato per Madama?
Juventus, la società (e non Allegri) è responsabile del crollo
Semplice, è cambiato il focus della squadra. E’ un discorso che è stato fatto tante volte, ma con la Juventus virtualmente in lotta per lo scudetto nessuno a Vinovo si sognava di far trapelare informazioni concernenti nuovi allenatori. Tuttavia, nessuno nella nuova dirigenza ha mai avuto la minima intenzione di confermare Allegri.
La loro è sempre stata una fiducia a tempo, che è venuta meno non appena i risultati hanno smesso di essere eccezionali e sono diventati semplicemente ottimi. Allegri è stato scaricato alla prima occasione utile e questa scelta societaria (checché ne strillino i giochisti) qualifica la dirigenza e non l’allenatore.
Immaginate di essere un giocatore della Juventus. Immaginate di rendervi conto a metà campionato che l’Inter fa un altro sport. Immaginate di rendervi conto (con sei mesi d’anticipo) che l’allenatore attuale non verrà poi confermato per la prossima stagione, in quanto tutti sanno degli incontri con Thiago Motta.
Rabiot disilluso, Marotta prova lo sgarbo?
In questo clima di totale incertezza, dove la Juventus attuale si è dimostrata ancora una volta lontana parente di quella capace di creare un modello imitato e stimato da tutti, sembra assolutamente comprensibile il senso di totale scollamento che i tesserati della Juventus stanno provando oramai da mesi.
Un imprinting societario che Beppe Marotta (probabilmente il principale artefice di quella Juventus) da un paio d’anni sta provando a replicare anche ad Appiano Gentile. Un passaggio di consegne che il dirigente torinese verrebbe corroborare con una dimostrazione di forza in piena, ovvero strappando Rabiot agli odiati rivali.
E’ risaputo che Rabiot sia venuto alla Juventus soltanto per Allegri e che questa estate sia rimasto a Torino soltanto per Allegri. Alla luce anche delle sue recenti dichiarazioni, che hanno aperto il vaso di Pandora nello spogliatoio bianconero, immaginarsi una permanenza del francese appare complesso.
L’Inter, che con una politica aziendale diametralmente opposta a quella che la Juventus ha inaugurato con l’arrivo di Cristiano Giuntoli, non si farebbe problemi (visto il suo status da parametro zero) ad offrirgli un ricco quadriennale. Un esborso che probabilmente la nuova Juventus non riconoscerebbe a un quasi 30enne.
Mentre il transalpino a Milano ritroverebbe tutto ciò che non ha trovato a Torino. Una progettualità chiara, ambizioni e soprattutto una società credibile. Tutte caratteristiche che appartenevano alla Juventus del passato, quella che Rabiot ha visto dall’esterno e che l’ha spinto a preferire il bianconero ai top club europei nell’estate del 2019. Un anno dopo l’addio di Marotta, che ora potrebbe coronare le ambizioni del francese.
Focus
Roma, é davvero tutta colpa di Matias Soulé?
E’ davvero tutta colpa di Matias Soulé? Critiche e aspettative su di lui, ma il giovane argentino ha ancora tempo per brillare. Cosa lo frena davvero?
Che fine ha fatto Matías Soulé? La Roma è uscita sconfitta in Svezia contro l’Elfsborg. Una partita in cui i giallorossi non sono mai riusciti a imporsi concretamente, eccezion fatta per gli ultimi 15 minuti. La prestazione complessiva della squadra è stata sotto tono, ma le maggiori critiche sono piovute su Matías Soulé. L’argentino, classe 2003, era tra i giocatori più attesi, ma ha deluso le aspettative. Tuttavia, ci si chiede: è davvero tutta colpa di Soulé?
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Dove sta il problema?
Da un giocatore del suo calibro ci si aspetta sempre quel lampo di genio capace di cambiare le sorti di una partita, ma ieri sera così non è stato. Guardando le heatmap della partita, si nota che la maggior parte delle azioni più intense si sono sviluppate proprio nella sua zona di competenza: ovvero sulla fascia destra. Soulé ha totalizzato 73 tocchi con una precisione nei passaggi del 91%. Numeri che, almeno sulla carta, non sembrano raccontare di una prestazione insufficiente. Allora, dov’è il vero problema?
Uno dei fattori chiave è sicuramente il modulo. Seppur sulla carta possa sembrare simile a quello che adottava nel Frosinone, la realtà è ben diversa. Con la squadra di Di Francesco Soulé giocava alto a destra, ma aveva soprattutto il compito di accentrarsi: favorendo così le incursioni dei terzini e degli esterni.
Il gioco del Frosinone era fondato sul fraseggio e sul possesso palla, caratteristiche che esaltavano le qualità tecniche dell’argentino. Con Juric, invece, la Roma predilige verticalizzazioni rapide, un approccio che sembra non sposarsi bene con lo stile di gioco di Soulé. Nella partita contro l’Elfsborg, infatti, ha faticato a trovare spazi, finendo spesso per pestarsi i piedi con i propri compagni e scontrandosi contro la solida linea difensiva svedese.
Juric a difesa di Soulé
A fine partita, Juric ha difeso il suo giocatore ai microfoni di Sky Sport: “Secondo me si dà da fare, ha qualità, ma è solo al secondo anno in Serie A. Non riesce a esprimere tutto il suo talento, però cerca sempre il contatto con la palla e si fa vedere. Questo significa che non sente la pressione. Sono convinto che crescerà. Ha fatto un anno di Serie A al Frosinone, bisogna essere tranquilli. Oggi mi è piaciuto di più per le posizioni in campo, bisogna lavorare, ma sono fiducioso.”
Dybala/Soulé, l’uno esclude l’altro
Un altro aspetto da considerare è la presenza di Paulo Dybala. Soulé è stato acquistato dalla Roma pensando a una possibile partenza di Dybala che però non si è concretizzata, limitando così le chance da titolare del giovane argentino. Entrambi occupano la stessa zona di campo ed è difficile immaginare di schierarli insieme senza compromettere l’equilibrio della squadra.
Se Dybala e Soulé condividessero il campo potrebbero formare una coppia d’attacco potenzialmente esplosiva, ma il problema risiede nella fase difensiva. Entrambi non eccellono nel ripiegamento e, con i già noti problemi difensivi della Roma, schierarli insieme significherebbe rischiare troppo nella copertura. Dato di fatto che, per la cronaca, aveva compreso fin da subito anche Daniele De Rossi, esonerato forse senza una giusta causa ed in maniera troppo repentina.
Il talento c’è
La conclusione è che Soulé è un giocatore di grande talento, ma ha ancora bisogno di tempo per inserirsi nel contesto tattico di una squadra ambiziosa come la Roma. Le sue qualità sono indiscutibili, ma al momento sembra troppo leggero per portare sulle spalle le responsabilità di una squadra e di una città che da anni delude le aspettative. Soulé ha tutte le carte in regola per diventare un top player, ma per farlo dovrà crescere ancora. Soprattutto sotto il profilo tattico e mentale, ma non si dica che non abbia talento.
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Genoa – Sampdoria: leggenda e dietrologia dello ‘striscione a testa in giù’
Genoa – Sampdoria, le origini dello striscione a testa in giù
Esiste un codice non scritto delle frange più estremiste del tifo organizzato: il furto dello striscione della fazione avversaria rappresenta uno dei gesti più importanti e clamorosi. Tale gesto segna la “vittoria” sul campo di una determinata frangia a discapito di un’altra. Il vessillo avversario “rubato” esposto al contrario, costituisce a tutti gli effetti un bottino di guerra.
Il codice ultras
Negli anni ’80 e ’90, il fenomeno ultras in Italia raggiunse il massimo apice, trasformandosi in una sorta di culto urbano in cui il calcio diveniva identità, appartenenza e, soprattutto lotta. In questo mondo fatto di codici non scritti e valori propri, rubare una bandiera o uno striscione avversario significa molto più di una semplice bravata, una vera e propria dichiarazione di guerra, un trofeo che segna la superiorità di un gruppo sull’altro.
Ciò che è accaduto in Genoa – Sampdoria ne è la conferma. Come gli antichi guerrieri che si contendevano il dominio dei campi di battaglia, gli ultras si scontrano negli stadi e fuori da essi, su autostrade, nei pressi delle stazioni ferroviarie o negli autogrill. Ogni striscione rubato non rappresenta solo un pezzo di stoffa, ma l’essenza stessa, l’anima del gruppo avversario. Sottrarre quel vessillo significa infliggere un’umiliazione tale che, secondo il codice d’onore ultras, può portare allo scioglimento del gruppo sconfitto. Come accadeva per i guerrieri antichi, perdere la propria bandiera significava perdere il proprio onore.
Il vessillo rubato come bottino di guerra
Questa dinamica affonda le sue radici in antiche pratiche belliche. Già i Vichinghi, durante le loro incursioni in Europa, erano soliti rubare le bandiere nemiche e issarle a testa in giù, un chiaro segnale di scherno e sottomissione. Per loro, la bandiera rappresentava molto più di un semplice simbolo: era l’essenza stessa del nemico, un trofeo di guerra da esporre come segno di vittoria.
Nel mondo ultras, questi rituali guerrieri si ripetono acquisendo una simbologia che riporta alla mente antiche battaglie per il controllo dei territori. Sottrarre una bandiera, uno striscione, significa anche marcare il confine tra chi domina e chi viene sconfitto. La bandiera rovesciata diventa il segno tangibile di una vittoria morale, di un’umiliazione inflitta agli avversari.
Ciò che è accaduto in Genoa – Sampdoria è solo la punta di un iceberg. In un contesto fatto di simbologie e codici, la bandiera non è solo appartenenza, ma una vera e propria arma di guerra psicologica. E come in tutte le guerre, l’onore e la sopravvivenza del gruppo dipendono dalla capacità di difendere i propri colori e, quando possibile, sfilare quelli degli avversari.
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Empoli-Fiorentina come non l’avete mai vista
Ricco di rivalità e tradizione, il derby tra Empoli-Fiorentina è una delle sfide più affascinanti del calcio toscano. Questa volta sarà ancora più speciale.
Il primo incontro risale alla stagione 1985-86, nei quarti di finale di Coppa Italia, dove la Fiorentina ribaltò la sconfitta dell’andata per 3-2 con un netto 3-0 al ritorno, grazie alla doppietta di Monelli e al gol di Oriali.
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Empoli-Fiorentina, i primi confronti in campionato
La prima sfida in Serie A tra Empoli–Fiorentina si giocò nella stagione successiva, 1986-87, e terminò 1-1, con i gol di Antognoni per la Fiorentina e Casaroli per l’Empoli.
Nei due campionati successivi le partite terminarono in pareggio a reti inviolate e ci volle un decennio prima che le due squadre si ritrovassero di nuovo; nella stagione 1997-98. In quell’occasione l’Empoli ottenne una vittoria storica al Franchi per 2-1 con le reti di Tonetto e Martusciello, ribaltando il vantaggio iniziale dei viola firmato da Batistuta.
Keyword: equilibrio totale
Il derby toscano è una gara di totale equilibrio, le statistiche non mentono. Le due formazioni si sono incontrate 26 volte dal 1997 ad oggi. Nelle ultime 20 partite 5 sono finite a favore degli azzurri, 9 a favore dei viola e 6 match sono terminati in pareggio.
L’1-1 è il risultato più frequente tra le due squadre in Serie A, ma ha avuto luogo soltanto due volte al Castellani negli ultimi anni. L’ultima volta è stata nella scorsa stagione. Per trovare un altro pareggio con lo stesso punteggio in casa dell’Empoli bisogna tornare indietro al dicembre 2005, quando Pazzini e Vannucchi furono i marcatori del match. Questi dati sottolineano l’imprevedibilità di una sfida che, storicamente, ha sempre riservato sorprese.
Empoli-Fiorentina, gli anni recenti e l’inversione di marcia
Più recentemente, Fiorentina ed Empoli hanno continuato a sfidarsi regolarmente: con la viola che spesso ha mantenuto una posizione di predominio sia sul campo che in classifica. Tuttavia, ci sono stati episodi significativi in cui l’Empoli ha saputo imporsi. Uno degli esempi più eclatanti è la vittoria del 2021-2022, quando gli azzurri si imposero per 2-1 in rimonta con i gol di Bandinelli e Pinamonti.
Altra curiosità sul match sta negli ultimi score degli azzurri, i quali non perdono un derby dal lontano 2022: in quell’occasione la Fiorentina vinse grazie ad un gol dell’ormai ex Nico Gonzalez.
Empoli imbattuto: un record storico
Inusuale per gli ultimi anni, l’Empoli si presenterà al prossimo derby contro la Fiorentina occupando una posizione migliore in classifica rispetto ai gigliati. Un altro fatto significativo che sottolinea il momento d’oro dell’Empoli è che, per la prima volta nella sua storia, la squadra è riuscita a restare imbattuta nei primi cinque turni di campionato.
Questo risultato, insieme alla sorprendente posizione in classifica, evidenzia il buon lavoro fatto dalla squadra azzurra e prepara il terreno per un derby toscano ancora più inedito, combattuto e spettacolare. Un confronto tra passato e presente, proiettato verso il futuro.
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