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Roma: Un eterno Déjà Vu

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Roma

La clamorosa sconfitta della Roma a Firenze è la cronaca di un disastro annunciato che sembra ripetersi da anni con una costanza inquietante.

La Roma esce dal Franchi sconfitta con un roboante 5-1 dalla Fiorentina. La vittoria contro la Dinamo Kiev aveva illuso qualcuno che il peggio fosse alle spalle. Eppure la debacle in terra toscana di domenica da parte degli uomini di Ivan Juric sembra aver sorpreso meno di quanto il risultato dovrebbe far sorprendere, e forse è proprio questa la cosa più preoccupante.

Il rendimento della Roma in questa stagione potrebbe parlare da solo. In dodici partite ufficiali tra Serie A ed Europa League i giallorossi hanno raccolto tre vittorie, cinque pareggi e quattro sconfitte, per un totale di quattordici punti complessivi. Queste le fredde cifre, che però non possono per ovvie ragioni raccontare una stagione che a molti tifosi romanisti ricorda sinistramente la stagione di vent’anni fa, ovvero quella del 2004-05, nella quale si alternarono in panchina ben quattro allenatori diversi.

Aldilà degli scongiuri e delle scaramanzie del caso, il momento della Roma è frutto di un effetto di tante cause che da tanti anni si ripropongono ciclicamente all’interno dell’universo romanista e che, con una cadenza metodica e implacabile, stravolgono qualsiasi velleità di un progetto sportivo a medio-lungo termine.

Roma-Dinamo Kiev, Pellegrini milan

LA DELUSIONE DELLA ROMA CON MANU KONE, PAULO DYBALA, LORENZO PELLEGRINI E BRYAN CRISTANTE ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Tanti allenatori, una sola sorte

Claudio Ranieri, Vincenzo Montella, Luis Enrique, Zdenek Zeman, Rudi Garcia, Luciano Spalletti, Eusebio Di Francesco, Paulo Fonseca, Josè Mourinho, Daniele De Rossi. Dieci allenatori che, a partire dalla stagione sportiva 2009-2010, si sono susseguiti alla guida tecnica della Roma. Dieci uomini che sono legati da un comun denominatore: nessuno di loro è stato seduto sulla panchina giallorossa per più di due stagioni e mezzo.

L’ultimo a durare più di tre stagioni era stato Luciano Spalletti nella sua prima versione dell’avventura romanista (dal 2005 al 2009). Ormai parliamo di circa quindici anni fa. Dal 2011 la Roma è stata (prima sotto la gestione Pallotta, poi sotto la gestione Friedkin) di proprietà americana. Un po’ troppo per credere che la discontinuità di una progetto tecnico sia solo frutto di casualità.

Se la presidenza di Pallotta era stata caratterizzata da un chiaro-scuro in cui la parte luminosa era stato il piazzamento costante in Champions League e la parte buia una gestione a dir poco pittoresca delle sessioni di calciomercato, quella dei Friedkin rischia di essere solamente una gestione confusionaria e, almeno al momento, destinata ad infrangersi in un vicolo cieco.

La vittoria della Conference League nel 2022 sembra ormai lontana quasi quanto l’ultimo tricolore della Roma. Un successo che ha fatto presagire l’inizio di un periodo d’oro tanto agognato e desiderata nella capitale di parte giallorossa. Ed invece, come da quindici anni a questa a parte, è stato un momento di felicità in cui adesso non ci si può più nascondere.

Il vuoto dirigenziale persiste

Roma, i Friedkin

I presagi di sventura, spesso, arrivano prima della tragedia stessa. Se sei lucido abbastanza da capire e prevedere ciò che sta per arrivare puoi salvarti. Ed invece ancora una volta si è ricaduti nello stesso identico errore: la mancanza di programmazione.

Eppure Josè Mourinho aveva messo tutti in allarme, criticando pubblicamente a più riprese la società giallorossa (o meglio, Made In Usa) ed accusandola di mancanza di una pianificazione concreta e, soprattutto, dell’assenza di un organigramma completo di figure che lavorino tutti insieme per uno solo scopo: il bene della Roma.

Mandato via lo Special One, l’ultimo allenatore a portare un trofeo nella bacheca romanista dopo più di dieci anni, è toccato anche a Daniele De Rossi. La scelta di esonerare l’ex bandiera giallorossa ha sorpreso tutti, anche le società che con la Roma non si sono mai amate, e questo fa capire molto della maldestra gestione dei Friedkin che, come sempre, rimangono nel silenzio.

Juric, per ora, resta. Non si sa ne come, ne per quanto. Ma è solo questione di tempo, ed anche il croato si aggiungerà, volente o nolente, alla lunga lista dei mister che sono arrivati a Roma per cercare la gloria e se ne vanno lasciando le macerie alle spalle. Il tutto nel solito vuoto dirigenziale che ha quasi del comico, e che rischia di esserci per molto tempo.

Perché alla Roma da tanti anni è così, e nessuno ormai si sorprende più. Un eterno dèjà vù del grottesco che diventa realtà. E nessuno ha la certezza che il peggio sia passato.

 

 

 

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Serie A, quanto “costa” un infortunato?

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Juventus, Bremer

Quanto costa ad un club pagare un giocatore infortunato? Calcio & Finanza ha evidenziato la spesa dei venti club di Serie A.

A questo mondo tutto ha un costo, anche gli infortuni dei calciatori. Non solo nella misura in cui l’assenza di uno o più calciatori importanti può pregiudicare l’andamento di una stagione, e quindi l’eventuale raggiungimento di obiettivi sportivi ed/o economici, ma anche dal punto di vista della svalutazione economica.

Serie A, 230 milioni in fumo per gli infortuni: tutti i dati

E’ quanto emerso dal Social Football Summit 2024, andato in scena a Roma fra il 19 e il 20 Novembre. E’ stata la stessa AIC (acronimo che sta per Associazione Italiana Calciatori, n.d.r.) a renderlo noto, tramite le parole del suo presidente Umberto Calcagno. Insieme al Direttore Organizzativo Fabio Poli e al collaboratore Marco Piccinni, l’AIC ha analizzato il processo di svalutazione economica causata da infortuni superiori ai 90 giorni.

Una ricerca denominata “Injury Time” ha evidenziato che un calciatore (fra quelli militanti nelle squadre che disputano almeno 54 partite a stagione) vada mediamente incontro a 71 infortuni l’anno. Un dato che riguarda i calciatori impiegati dalle proprie squadre per circa il 90% dei minuti disponibili, ma l’aumento delle partite causato dal nuovo format rischia di portare i giorni d’indisponibilità ad un incremento del 50%.

Ne consegue che, nella peggiore delle ipotesi, il fruitore calcistico non potrebbe godere (per un terzo delle partite) degli atleti per i quali paga un biglietto o un servizio di streaming. Uno scenario che cozza con la volontà degli organi di controllo calcistici, che volevano regalare al pubblico un’esperienza sportiva più godibile ma che rischiano di schiacciare la spettacolarità delle partite con un calendario congestionato.

La seconda parte della ricerca, invece, verte sul costo complessivo che le società calcistiche devono sobbarcarsi quando si fanno carico dei giocatori infortunati. Nella stagione 2023/2024, i club italiani, inglesi e spagnoli hanno sostenuto uno sforzo economico pari a 1475 milioni di euro.

Una spesa che la Premier League ha sostenuto da sola per oltre la metà, ovvero il 58%. La Liga il 26%, mentre la Serie A il 16%: per un totale di 230 milioni di euro. Il valore economico dei giorni di indisponibilità dei calciatori infortunati di Premier, Liga e Serie A è stato di 707 milioni di euro complessivi per la stagione 2023/2024. 785 milioni, invece, è il costo complessivo per la svalutazione dei cartellini dei calciatori.

Serie A

DUVAN ZAPATA ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

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Lione, viaggio nell’ennesimo disastro targato Textor

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Ligue 1, Olympique Lione

Prima l’ottimismo, poi la doccia fredda. Il Lione ha registrato perdite per oltre 500 milioni e dovrà rientrare, pena la retrocessione.

Sono invecchiate malissimo le parole pronunciate da John Textor, nuovo proprietario del Lione, al termine dell’incontro andato in scena l’altro ieri con i vertici della LFP. Ovvero l’organo che, sotto l’egida della federazione calcistica francese, gestisce e organizza in Francia i campionati di Ligue 1 e di Ligue 2.

Lione, (non) “andrà tutto bene

L’imprenditore americano aveva espresso tutto il suo ottimismo al termine della riunione, affermando come quest’ultima fosse andata “molto bene“. Poi, nemmeno ventiquattro ore dopo, la doccia gelata. Il comunicato della DNCG (acronimo che sta per “Direction Nationale du Contrôle de Gestion“, ovvero l’organizzazione responsabile del monitoraggio e della supervisione dei conti delle squadre di calcio francesi) ha assunto i connotati del lugubre epitaffio funebre, rievocando nella menti dei tifosi gli spettri del passato.

Quelli della scorsa stagione, la prima stagione intera del Lione sotto l’egida della Eagle Football, dove il club del Rodano rischiò la retrocessione per quasi tutto il girone d’andata. Una situazione frutto anche di una gestione finanziaria disastrosa, che aveva comportato all’OL un blocco pressoché totale del mercato nell’estate del 2022. Pochissimi acquisti e quasi tutti low cost, con tante cessioni dolorose che avevano quasi azzerato il patrimonio tecnico della squadra: Malo Gusto, Castello Lukeba, Bradley Barcola.

Quasi, appunto. Perché in mezzo ci fu la controversa e contestata acquisizione di Ernest Nuamah, all’epoca attaccante del Nordsjaelland. Il calciatore fu fatto acquistare al Molenbeek (modesto club della massima serie belga, anch’esso controllato dalla Holding di Textor) e subito dopo girato in prestito al Lione: con un diritto di riscatto fissato esattamente alla stessa cifra con la quale era stato prelevato dalla squadra danese.

Lione

Textor dopo i Friedkin: gli USA come un “Re Mida maledetto

Poi i copiosi investimenti, sciorinati fra l’inverno e l’estate del 2023, avevano fatto rientrare la situazione. La scorsa estate il Lione è stata la seconda squadra francese a investire di più sul mercato. Meno del PSG (147 milioni spesi contro i 169 dei parigini) ma con un passivo superiore, ovvero 109 milioni rispetto ai 98 milioni dei parigini. Soldi spesi in larga parte per esercitare le clausole di riscatto presenti nei contratti di calciatori presi in prestito lo scorso inverno (fra cui lo stesso Nuamah), più qualche colpo come Mikautadze e Niakhaté.

Una situazione che aveva messo i Les Gones nelle condizioni di dover rientrare di circa 100 milioni di euro negli ultimi giorni di mercato: cosa mai avvenuta. Gli organi di controllo francesi hanno continuato a vigilare sullo stato di salute delle casse del club e la sentenza è stata lapidaria. Il Lione sarà retrocesso d’ufficio in Ligue 2 al termine della stagione, a meno ché non riesca a rientrare del debito accumulato. I lionesi avevano chiuso l’ultimo esercizio di bilancio presentando perdite accumulate superiori al mezzo miliardo: circa 505 milioni.

In vista del mercato invernale 2025, quindi, torneranno le limitazioni finanziarie (che erano state un tratto distintivo della precedente estate) e i paletti al tetto salariale. Il Lione sarà quindi costretto a vendere, senza possibilità di investire allo stesso modo in entrata, a meno ché non riesca ad ingegnarsi (come il Barcellona) per trovare soluzioni “alternative”. Il primo indiziato a salutare è ovviamente Rayan Cherki, il cui contratto con l’OL scadrà nel 2026: questa sarà quindi l’ultima occasione utile per monetizzare.

Textor ha recentemente dichiarato che il talento franco-algerino dovrebbe rimanere almeno fino a Giugno, ma visti i precedenti non c’è da fidarsi troppo delle parole dell’uomo d’affari americano. Con una simile situazione finanziaria, difficilmente il Lione potrà permettersi il lusso di trattenere Cherki. E non solo lui, dato che, salvo miracoli manageriali di cui questa dirigenza (seppur rinnovata) non sembra assolutamente capace, è prevista una vera e propria diaspora. L’ennesimo disastro made in USA: dei Re Mida maledetti.

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Messi-CR7, i re senza tempo continuano a dominare in nazionale

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Portogallo - Cristiano Ronaldo

Il duo Messi-CR7 continua a scrivere nuove pagine della storia, ognuno con la rispettiva nazionale, e l’età non vuole spegnere la loro leggenda.

Cristiano Ronaldo e Lionel Messi, i due volti più iconici del calcio moderno, continuano a riscrivere la storia, confermandosi decisivi anche in nazionale. Nonostante abbiano ormai superato l’età in cui molti calciatori pensano al ritiro, i due fenomeni dimostrano che classe, talento e dedizione non conoscono limiti.

I risultati di Ronaldo e Messi non sono solo numeri impressionanti, ma anche una testimonianza della loro incredibile longevità e della capacità di adattarsi a un calcio che cambia continuamente. A dispetto dell’età – Ronaldo 39 anni e Messi 37 – i due continuano a stupire, dimostrando che il talento non ha età.

Ronaldo, doppietta e spettacolo in Nations League

L’ultima prodezza di Cristiano Ronaldo è arrivata nella sfida di ieri sera tra Portogallo e Polonia, in cui il fuoriclasse ha siglato una doppietta. Prima un rigore calciato con la solita freddezza, poi una spettacolare rovesciata che ha fatto esplodere i tifosi, ricordando i fasti di una carriera ricca di magie.

Con 5 gol in 5 partite, Cristiano Ronaldo è attualmente in testa alla classifica marcatori della Nations League, a pari merito con il giovane talento sloveno Benjamin Sesko. Una performance che non solo consolida il primato del Portogallo nel girone, ma dimostra anche come CR7 sia ancora il leader indiscusso della sua nazionale.

Messi-CR7

Messi, re delle qualificazioni sudamericane

Dall’altra parte del globo, Lionel Messi sta scrivendo un altro capitolo della sua storia con l’Argentina. Con 6 gol in 8 presenze, la Pulce è il miglior marcatore delle qualificazioni sudamericane al Mondiale 2026, guidando l’Albiceleste verso una nuova fase di gloria.

Messi, che ha trascinato l’Argentina al trionfo mondiale in Qatar, continua a incantare con le sue giocate e a segnare gol decisivi. Il suo ruolo nella nazionale non è solo quello di finalizzatore, ma anche di ispiratore per una squadra giovane e affamata di successi.

 

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