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Southgate è il miglior CT di sempre nella storia dell’Inghilterra

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Inghilterra, Southgate

Inghilterra-Spagna non sarà soltanto la seconda finale europea (consecutiva) per Southgate, ma anche la seconda nella storia inglese.

Nell’epoca dell’estremo relativismo e della post-verità, anche una sciocchezza ampiamente smentita dai fatti può essere percepita come assodata. Quella che in apparenza potrebbe apparire come un’opinione molto forte e controcorrente, in realtà è la semplice conclusione logica a cui chiunque potrebbe arrivare.

Southgate, the record breaker

Gareth Southgate è il terzo allenatore con più panchine nella storia della Nazionale Inglese, nonché il terzo ad aver vinto più partite: 64 in 101 partite, per la precisione. Meglio di lui hanno fatto soltanto Sir Walter Winterbottom (recordman assoluto con 78 vittorie in 139 partite) e il leggendario Alf Ramsey.

69 vittorie in 113 partite, passato alla storia per essere colui che ha portato nella bacheca dei Three Lions il loro unico titolo mondiale. L’attuale commissario tecnico inglese condivide proprio con Ramsey la media punti più alta della storia dei Tre Leoni: 2,08 punti di media a partita.

Solo che, se Ramsey questa media punti l’ha ottenuta disputando appena 12 partite nelle principali competizioni internazionali, Southgate l’ha ottenuta in 25. L’Inghilterra, prima d’ora, non aveva mai disputato per due edizioni consecutive la finale di un Europeo e soprattutto non è mai riuscita a vincerne uno.

In generale, in tutta la sua storia l’Inghilterra ha disputato soltanto tre finali internazionali. Oltre alle due con Southgate al timone, la sopracitata vittoria nel Mondiale del 1966. Ciò implica che l’Inghilterra ha giocato il 67% delle proprie finali internazionali grazie a questo allenatore e il 100% di quelle europee.

Southgate

Photo Source: Transfermarkt.

Quale futuro dopo Berlino?

A Southgate viene spesso imputato di non aver vinto nulla con la Nazionale. Come se due finali europee di fila e una semifinale Mondiale fossero “nulla”. Tuttavia, la gloriosa e ultracentenaria storia di Sua Maestà è costellata di generazioni estremamente talentuose ma in fondo sempre perdenti.

Del resto fu proprio Gary Lineker a coniare uno degli aforismi più celebri della storia della selezione d’oltremanica. Quando, dopo due sconfitte consecutive contro la Germania (nei Mondiali del 1990 e agli Europei del 1996, entrambe in semifinale ed entrambe ai rigori), il centravanti britannico disse: “Il calcio è uno sport semplice. Si gioca 11 contro 11 per 90 minuti e alla fine vincono sempre i tedeschi“.

Una frase sintomatica della natura intrinsecamente perdente della Nazionale Inglese. Una natura riflessa anche nel motto tipico dei Tre Leoni, ovvero It’s Coming Home. Una celebrazione del calcio a prescindere dal risultato della partita, dove i tifosi inglesi si autoproclamano vincitori a priori in quanto inglesi.

Una mentalità che Southgate e la sua Golden Generation stanno provando a cambiare, scontrandosi però con l’arroganza dell’opinione pubblica locale. Un atteggiamento snob e inutilmente aristocratico, figlio di chi si ostina a identificarsi in un sistema vetusto e anacronistico come quello monarchico.

Per questo motivo, in caso di mancata vittoria in finale contro la Spagna, difficilmente a Southgate verrà rinnovata la fiducia. Quasi come se alzare un trofeo non fosse un’impresa, ma il minimo sindacale. Forse è il caso di chiudere un ciclo comunque vada a finire, ma la sensazione è che (comunque vada a finire) quest’uomo non riceverà dalla miope opinione pubblica anglosassone il rispetto e la gratitudine che avrebbe meritato.

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L’Italia batte Francia dopo 16 anni

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Italia, Juventus

L’Italia dopo 16 anni torna a battere la Francia, non capitava dal 2008. In casa loro ciò non succedeva da 70 anni, precisamente dall’11 aprile 1954.

L’Italia vince a 16 anni dall’ultima volta

Fino a ieri sera erano passati ben 16 anni dall’ultima volta che gli azzurri avevano battuto la formazione francese in una gara ufficiale. Era precisamente il 2008, nella partita che valeva il passaggio ai quarti di finale dell’Europeo. In campo quella sera per la nazionale scesero in campo Buffon, Panucci, Grosso, Chiellini, Gattuso, Toni, De Rossi, Cassano, Zambrotta, Perrotta, Pirlo, guidati dal CT Roberto Donandoni.

La formazione azzurra si impose per 2-0 con le reti di Andrea Pirlo e Daniele De Rossi.

In casa loro non accadeva dal 1954

Un altro dato interessante è quello che riguarda l’ultima vittoria ottenuta al di là delle Alpi. Non accadeva infatti di portare i tre punti a casa dal 1954, precisamente domenica 11 aprile alle ore 15. Caso strano e singolare, gli Azzuri si imposero con lo stesso risultato (3-1 sulla Francia) e proprio a Parigi.

In campo allora scesero per l’Italia Ghezzi, Vincenzi, Giacomazzi, Neri, Tognon, Nesti, Boniperti, Pandolfini, Galli, Capello, Frignani. Andarono in gol Galli per due volte e Pandolfini.

italia

LUCIANO SPALLETTI SORRIDENTE ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

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Thiago Motta gioca come Allegri: no alla rivoluzione, sì alla continuità

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Allegri

Dopo le prime tre giornate di Serie A, è già possibile tirare le primissime conclusioni su Thiago Motta e sulla sua Juventus.

Sebbene sia prematuro tirare qualsivoglia conclusione a Settembre, finora la tanto agognata “rivoluzione” in casa Juventus non c’è stata. E questo è un bene, in quanto, come ho spiegato in un vecchio editoriale, Torino è il peggior luogo in assoluto dove fare le rivoluzioni.

Indice

Thiago Motta come Allegri: il confronto

Una squadra che arriva terza in classifica e che vince la Coppa Italia non ha bisogno di essere rivoluzionata e questo è il primo punto fondamentale della disamina. La belante mandria giochista ha accolto Thiago Motta come “il nuovo Sacchi“, dimostrando (non che ce ne fosse bisogno) di giudicare senza guardare le partite.

Thiago Motta è un difensivista, nell’accezione più positiva possibile del termine. Ovvero pensa prima di tutto a non prendere gol, come tutti i grandi allenatori del mondo. Persino Guardiola, idolo della scuola giochista, cura in maniera maniacale la fase difensiva: poiché non prendere gol è la base per vincere le partite.

Lo dimostra anche questo avvio di campionato, dove al primo posto in classifica ci sono le squadre che hanno subito meno gol delle altre. In questo fondamentale, l’italo-brasiliano ha fatto (sin qui) addirittura meglio del suo predecessore: la sua è infatti l’unica squadra italiana a non aver ancora subito gol.

Juventus-Roma, Thiago Motta

THIAGO MOTTA PUNTA IL DITO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Da Bologna a Torino: Thiago non è cambiato

Allo stesso punto del campionato, la Juventus di Allegri aveva subito un gol in più di quella di Thiago ma aveva segnato lo stesso numero di gol. Questo per spegnere sul nascere i bollori di chi, dopo due 3-0 inferti a due squadre in lotta per non retrocedere, gridava già alla moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Dopo un inizio accidentato, in cui subì 4 gol nelle prime 3 partite, il Bologna di Motta fece registrare quattro clean sheet consecutivi: compresi tre zero a zero di fila. Immaginate se tre zero a zero consecutivi li avesse fatti Allegri con la Juventus: come minimo un’interrogazione parlamentare. Li fa Motta e “gioca bene“.

Il Bologna ha concluso la scorsa Serie A con 32 gol subiti (terza miglior difesa, un solo gol subito in meno della Juventus) e con gli stessi gol fatti della Vecchia Signora: ovvero 54. 17 invece i clean sheet (13 per Skorupski e 4 per Ravaglia) mentre 16 son stati quelli della Juventus: 15 per Szczesny e 1 per Perin.

Thiago Motta, Cristiano Giuntoli

Thiago Motta “smaschera” le contraddizioni dei giochisti

Il dato più interessante, però, è quello relativo al possesso palla. Chi si aspettava una Juventus arrembante e sempre pronta a schiacciare l’avversario nella propria area di rigore sarà probabilmente rimasto deluso. Dopo le prime tre giornate, la Juventus è settima per possesso palla medio: con un dato del 55,3%.

Un dato sicuramente più alto rispetto a quello dell’anno scorso (la Juventus chiuse 12esima con il 48,5%), anche se con un campione statistico decisamente più ampio, ma che non mostra un’inversione di tendenza. Il ché dimostra una verità lapalissiana, finora cocciutamente rifiutata dai giochisti, ovvero che con questo centrocampo non è possibile far giocare la Juventus differentemente.

E se è in parte vero che Thiago Motta in queste prime tre giornate sta giocando con gli stessi giocatori dell’anno scorso, di fatto non ha ancora inserito a pieno regime nessuno dei nuovi acquisti, è altrettanto vero che rispetto ad Allegri ha un Fagioli in più. Che certamente non sarà Douglas Luiz o Koopmeiners, ma (con il dovuto rispetto) nemmeno McKennie o Nicolussi Caviglia.

Il progetto che Thiago Motta intende impostare alla Juventus appare chiaro e cristallino. Ripartire dall’ottima base che Allegri gli ha lasciato, per poi inserire gradualmente i nuovi e portare la proposta tecnica bianconera al Next Level. L’italo-brasiliano e il labronico (che, ricordiamolo, chiese Kroos proprio in funzione di questo cambio pelle) condividono la stessa visione. Thiago probabilmente porterà i risultati sperati, perché è bravissimo, ma con questa campagna acquisti li avrebbe portati anche Allegri.

Il ché testimonia, ancora una volta, come la scelta di far fuori Allegri non avesse una natura tecnico-tattica, ma “politica”. La qualità del gioco non c’entra nulla, poiché questa dicotomia fra giochisti e risultatisti esiste soltanto nei salotti e sui social. Nel calcio vero, quello in cui girano miliardi e miliardi di euro ogni anno, le società vogliono solo vincere. Soprattutto alla Juventus. Soprattutto a Torino, dove, storicamente, le rivoluzioni (di nessun tipo) non hanno mai attecchito.

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Saudi Pro League, la bolla saudita è già scoppiata

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Saudi Pro League, Cristiano Ronaldo

L’esperimento Saudi Pro League è tecnicamente fallito, ma deve essere tenuto in vita “artificialmente”: almeno fino al 2034.

Avete presente l’Ucraina? Ovvero un paese virtualmente fallito, ma tenuto artificialmente in vita dai denari americani per motivi propagandistici? Ecco, il campionato saudita è praticamente la stessa cosa.

Indice

Saudi Pro League, progetto a tempo: obiettivo “Mondiale”

Se la data di scadenza appiccicata sulla fronte di Kiev è il Novembre del 2024, periodo in cui si terranno le elezioni presidenziali americane, quello della Saudi Pro League è il 2034. Non si tratta (ovviamente) di un problema economico in questo caso, ma che l’esperimento saudita fosse a scadenza lo si sapeva già.

Parimenti a quanto fatto dal Qatar, che ha (vanamente) cercato di “ripulire” la propria immagine in vista dei Mondiali del 2022, il progetto Saudita prevede la sponsorizzazione del proprio paese (in maniera particolare utilizzando il calcio come veicolo) in vista dei Mondiali del 2034: assegnati proprio al paese arabo.

Tante le scelte commerciali che sono andate in questo senso. Dal tentativo di restaurare la Nazionale dell’Arabia Saudita, affidandola a Roberto Mancini, passando per i tanti campioni convinti a suon di milioni ad andare a giocare in Arabia. Tuttavia, nonostante i numerosi investimenti, il progetto saudita fatica a carburare.

Saudi Pro League

I club sauditi hanno dimezzato gli investimenti sul mercato

Partiamo dai numeri. La scorsa estate, ovvero quella del “lancio” del progetto saudita in quanto immediatamente successiva allo sbarco in Oriente di Cristiano Ronaldo, le squadre saudite hanno mosso quasi un miliardo di euro sul mercato. Un flusso di denari sterminato, che portò in molti a vedere nella Saudi Pro League un campionato destinato a diventare, nel giro di un paio d’anni, fra i migliori al mondo.

Molte scelte di mercato, fra cui certe clausole folli e al limite dell’irragionevole come quella con cui il Napoli si è legato mani e piedi a Victor Osimhen, sono state fatte e pensate in funzione di questo mare magnum: che si pensava inesauribile. Eppure questa estate i club sauditi hanno praticamente dimezzato la propria capacità di spesa, facendo registrare uscite inferiori al mezzo miliardo di euro.

Pensate che l’Al-Hilal, l’anno scorso una delle regine del mercato (terza squadra al mondo per investimenti profusi dopo Chelsea e PSG), quest’anno ha visto ridursi la propria capacità di spesa praticamente ad un terzo dell’anno precedente: passando da oltre 370 milioni spesi sul mercato a 93. 

Saudi Pro League

La Saudi Pro League è un flop: non la guarda nessuno

Un’inversione di tendenza che non si spiega soltanto con la necessità (relativa) di calmierare gli investimenti, ma anche (e soprattutto) con la maggiore e crescente riluttanza dei calciatori importanti ad accettare la destinazione saudita. La Saudi Pro League (per ora) non è diventata quello che tutti si aspettavano e, se questo in parte era fisiologico e prevedibile, le prospettive non sono certo delle più incoraggianti.

Del resto fu lo stesso Cristiano Ronaldo, lo scorso Gennaio, a dire che la Saudi Pro League fosse già uno dei primi cinque campionati al mondo. Addirittura anteponendola alla Ligue 1 nella sua personalissima graduatoria, stilata non si capisce sulla base di quali parametri. Tuttavia, la realtà dei fatti è ben diversa da quella sbandierata dal pensionato portoghese e si riflette nella totale incapacità delle autorità saudite di rendere il proprio prodotto attrattivo.

La Saudi Pro League non la guarda letteralmente nessuno (almeno il campionato francese mezzo miliardo di euro l’anno in diritti televisivi li muove ancora, caro Cristiano), né in patria né tantomeno all’estero, e gli stadi sono sempre tristemente vuoti. Non siamo ancora ai livelli del Qatar, dove persone raccattate casualmente per strada venivano pagate per assistere alle partite facendo finta di essere tifosi, ma non siamo troppo lontani.

Per questo motivo i rappresentanti delle istituzioni saudite, nei prossimi giorni, inizieranno un lungo pellegrinaggio in giro per l’Europa, nella speranza di trovare qualcuno che gli insegni come fare impresa sportiva. E, per incentivare i professionisti europei a rispondere al loro disperato appello, sono disposti a mettere sul piatto sgravi economici e un regime fiscale particolarmente agevolato.

Si parla di: zero tasse sulle persone fisiche; aliquota unica del 20% per le società; Iva al 15%. E, grazie ad accordi bilaterali stipulati con molti paesi (Italia compresa), non è prevista doppia tassazione in patria. Nessuno può sapere se queste mosse salveranno il progetto saudita, ma ciò che appare certo è che difficilmente la Saudi Pro League si trasformerà nel tanto auspicato Nirvana calcistico.

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