Le Olimpiadi di Parigi non sono ancora finite. Iniziano oggi le Paralimpiadi. Ai nostri microfoni, intervistato in esclusiva: il Campione olimpico Pellegrini.
Quello di Andrea Pellegrini è un palmares di tutto rispetto. Orgoglio italiano a cinque cerchi, ha alle spalle diverse Olimpiadi.
È stato uno dei pochi, se non l’unico ad aver partecipato, alla competizione in due sport diversi: pallacanestro e scherma. Quella di Andrea, è una storia di tenacia, nella quale l’insegnamento è: non mollare mai!
Cos’è per te lo sport?
“Lo sport è per me, un modo per mettermi alla prova, provare a superare i propri limiti, senza dimenticare il rispetto per gli avversari. Lo sport ha tante sfaccettature. Fare l’atleta significa sacrificarsi, talvolta si sacrifica anche l’amore per la propria ragazza o ragazzo. Quando ti alleni, sei sempre in palestra, lontano da tutti e spesso non esci con gli amici per stare concentrato. Devi curare tutto nel minimo dettaglio: anche il sonno, metterci il cuore. Ma serve anche un team dietro, e grazie al mio sono arrivato dove sono”.
Lo sport, prima e dopo l’incidente:
“Prima dell’incidente ero una promessa delle arti marziali e facevo surf. Mi allenavo tutti i giorni: corsa, mare e full-contact. Puntavo alla nazionale delle arti marziali ma poi c’è stato l’incidente. Mi era svanito un sogno, ma poi ho conosciuto dei ragazzi al Santa Lucia. Mi hanno cambiato la vita“.
Essere atleta paraolimpico, ieri e oggi:
“Prima non c’erano i media di adesso. Ora si parla di Bebe, della Versace, della tripletta nell’atletica paralimpica: adesso se ne parla di più. Nel 92′ quando mi sono affacciato alla scherma al Santa Lucia, e tre anni dopo sono riuscito ad entrare in Nazionale, non c’era l’informazione di oggi. Stessa cosa per la pallacanestro, dove ho raggiunto la maglia azzurra nel ’97. Ero già un atleta, e continuare ad allenarmi mi ha fatto bene”.
Per chi non lo conoscesse, il Santa Lucia è uno dei centri d’avanguardia per la neuro-riabilitazione e la ricerca nelle neuro-scienze.
“Per me il Santa Lucia è casa, il mio team, il mio faro – spiega Pellegrini – Ha fatto parte della mia famiglia, è stato tutto per me: senza, non sarei arrivato a questi livelli, se avrei conosciuto lo sport paralimpico. Il Santa Lucia è il padre di tante persone. C’erano tanti sport da provare. Lì era tutto normale, chi era ricoverato poteva fare sport, con squadre che facevano i campionati. Mi sono divertito, lo sport si viveva come da normo-dotato.”
Un consiglio per chi si trova a fare i conti con la disabilità, talvolta all’improvviso:
“Non bisogna mai mollare! Oggi come oggi, su internet si possono contattare le federazioni che sono legate allo sport para-olimpico, oppure direttamente il C.I.P .Quando io ho avuto l’incidente, mi sono iscritto in palestra: dopo tutti i sacrifici, non bisogna buttare al vento niente. Bisogna star bene con se stessi, e continuare a seguire i propri sogni: anche paralimpici. Oggi abbiamo 25 discipline, non sono poche
“.“Nel 2004 ho fatto il mio primo tatuaggio. Per rendere indelebile la mia prima medaglia d’oro olimpica ad Atene. E’ stata una scommessa. Ad Atlanta 96′, la mia prima olimpiade sono arrivato secondo: si sono fatti il tatuaggio i miei amici, lì in America, ma io volevo la medaglia più pesante: doveva essere significativo. Ho fatto sette olimpiadi, serviva qualcosa di più per il tatuaggio. Anche nel 2000, a Sidney ho perso la finale e ottenuto l’argento. Finalmente ad Atene, quattro anni dopo, ho vinto l’oro nella sciabola ed è arrivato il tatuaggio, era destino: ne è valsa la pena. Poi ne sono arrivati degli altri”.
L’emozione a cinque cerchi: “Vedere uno stadio pieno, per te, è indescrivibile. Sidney secondo m la più bella, ma Atene rimane Atene. Sono riuscito ad essere competitivo in tutte le olimpiadi, e questo mi dà emozione. Arrivare ad un traguardo del genere, riempie d’orgoglio. Non è semplice, ma bisogna sempre trovare il modo di andare avanti, anche dopo una sconfitta. Quando vinci è tutto bello, ma poi si ricomincia: è il bello dello sport”.
“Qualcosa è cambiato, anche a livello di premi. Per andare all’olimpiade, tutti fanno parte di un gruppo sportivo militare, percependo uno stipendio. E’ importante. Il sistema si è mosso, però c’è ancora selezione, poca. Bisognerebbe ampliarla un pò di più: non solo ai top. Dare, quindi, anche agli atri atleti la possibilità di allenarsi come i migliori.”
“I Fantastici“: “Bebe Vio è una forza, con il programma i Fantastici, ha messo in risalto vari sport paraolimpici, e con la sua fondazione Art4sport, dà la possibilità a molti di scoprire lo sport paraolimpico”.
“A Londra 2012, la mia ultima olimpiade di pallacanestro. Nel 2008 ho avuto dei problemi alla schiena, due anni dopo, ho sofferto molto a causa del polso, che via via è andato calcificandosi. Gli sforzi erano talmente tanti, che per la Nazionale ho dovuto prendere la scelta di ritirarmi, nel club è diverso. Ad oggi continuo ad essere un atleta: gioco nella Lazio, pallacanestro. Quest’anno stiamo migliorando la squadra per la Serie A.
L’intervista, spero possa essere un punto di riflessione. La vita, anche se delle volte, ci mette a dura prova, ci offre sempre un nuovo inizio. Lo sport, in questo caso, è una chiave per vedere la luce in fondo a quei tunnel, che spesso sembrano troppo bui, ma dove dopo: c’è sempre il sole!”
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