Il portiere di Serie D Emmanuel Opara si è raccontato ai nostri microfoni durante il penultimo giorno di calciomercato. Tra carriera e passioni calcistiche.
Sorriso aperto, un accento romano che fa subito simpatia: Emmanuel Opara è un giovane uomo con le idee chiare. Sia sul calcio in generale che sulla squadra del suo cuore: la Roma.
Durante l’evento di chiusura del calciomercato estivo, che si sta tenendo in questi giorni all’Hilton Rome EUR La Lama Hotel, il giocatore si è raccontato in esclusiva ai nostri microfoni, parlando dei propri esordi, della passione per la Roma e del calciomercato, ipotizzando alcuni arrivi per il club giallorosso.
Opara esordisce così: “Sono malato di Roma“.
Da quanto tempo coltivi questa passione?
“Penso da quando sono nato. Mi è sempre piaciuto il rosso, con il pallone da bambino ci ho sempre giocato. Così mi sono chiesto: quale squadra posso tifare? Devi scegliere. Io stavo a Roma, già solo pronunciando il nome della città ho deciso per quale squadra tifare. Loro (la Lazio, ndr) sono nati prima, ma la Roma ha quel qualcosa in più“.
In famiglia tifate tutti Roma?
“In realtà no: dei miei fratelli, uno tifa la Lazio e l’altro tifa il Milan. Oggi riusciamo a vedere le partite insieme perché ormai siamo cresciuti, ma da piccoli era difficile. C’era pure il rischio che ci mettessimo le mani addosso (sorride, ndr)”.
Tu da piccolo sognavi già di fare il portiere, di lavorare in questo settore?
“Il calcio mi è sempre piaciuto, ma ho iniziato da terzino destro. Il mister decise di mettermi in basso a destra, anche se io volevo fare la punta. Odiavo correre. Poi un giorno ho visto i portieri fare l’allenamento individuale e mi sono detto “Quasi quasi…”. Avevo 7-8 anni“.
Parlaci un po’ del tuo percorso come giocatore.
“Ho iniziato all’Urbe Roma, poi ho girato diversi club. Ho avuto anche una breve parentesi in Inghilterra (al Maidenhead United, ndr). Lì la maggior parte delle squadre usa soprattutto il 4-2-2, il calcio è fisico: i difensori centrali sono alti, lenti e macchinosi, mentre gli esterni sono velocissimi.
Lì si allenano 2 volte a settimana e io, venendo da una squadra che si allenava una volta al giorno, anche con doppie sedute, mi chiedevo come fosse possibile che si allenassero così poco. Poi, però, quando li vedevi andavano a tremila. Sono rimasto 6-7 mesi là e mi è servito tantissimo“.
Ti manca l’Inghilterra?
“Moltissimo, ci ritornerei anche subito. Il tifo era caldissimo: anche se andavi a giocare fuori Londra, avevi comunque 3.000 spettatori. Lì in Inghilterra, come ti avvicini a una squadra locale, ti seguono. Sono malati per quella squadra“.
Come portiere quali erano i tuoi punti di riferimento?
“Quando avevo 8-9 anni c’erano i vari Peruzzi, Pagliuca, Turci, Scarpi, Mazzantini: tutti portieri anni Novanta. Guardavo loro perché mi piacevano i portieri spettacolari, quelli che facevano le parate scenografiche. Poi, mano a mano che crescevo, seguivo Buffon, Čech, Casillas, che erano i top player dell’epoca“.
E oggi, invece, chi reputi un portiere da prendere come esempio?
“Ce ne sono 3-4. De Gea, anche se a molti non piace. Allison, che è anche un ex della Roma: quando è andato via mi è dispiaciuto, perché era veramente forte, e lo è tuttora.
Poi Navas del Paris Saint Germain e per un periodo anche Donnarumma, quando era al Milan. E ancora: Courtois, l’ex Chelsea Mendy, che oggi è in Arabia Saudita”.
Tu ci andresti in Arabia Saudita?
“A piedi, sì (ride, ndr). A livello economico penso che ci andrebbero un po’ tutti. La mia paura è che facciano la fine della Cina di 5-6 anni fa, perché adesso si stanno concentrando sui giocatori fenomeni, ma bisogna vedere quanto dura. E’ vero che il calcio europeo è in crisi, non ha molti soldi, ma la passione che c’è in Europa è difficile trovarla
Passiamo a un giocatore fenomeno che è appena arrivato alla tua Roma: Romelu Lukaku. Secondo te, come alcuni tifosi sperano, arriva Lukaku e si vince lo scudetto?
“Solo Lukaku non basta. La Roma deve proprio cambiare sistema di gioco. E’ vero che sono andati via Matic e Ibanez, che dei difensori giallorossi era quello più veloce, però oggi ci sono più scelte sia a livello di modulo che a livello di gioco. La Roma deve cercare di essere un po’ più fluida perché, ti dico la verità, quando la guardo giocare un po’ mi annoia“.
Secondo te, la Roma quale modulo di gioco dovrebbe adottare per essere più avvincente e intrattenere chi la guarda?
“Io sono un “vedovo” di Spalletti e sono innamorato del 4-2-3-1, perché la Roma migliore l’ho vista sotto Spalletti. Oggigiorno la Roma può fare il 4-2-3-1 come il 4-3-3.
L’unico modulo che non dovrebbe giocare è il 3-5-2, che a me non piace perché la Roma non ha esterni importanti come, invece, l’Inter ha Di Marco, Dumfries o Cuadrado“.
Il punto debole della Roma, in effetti, sono proprio gli esterni.
“Esatto. Con tutto il rispetto per Celik e gli altri, il migliore sembra Karsdorp, che la Roma ha pure cercato di dare via. Il nuovo acquisto, Kristensen, io non lo farei giocare“.
Quali sono gli esterni con i quali, a tuo parere, si potrebbe migliorare la rosa giallorossa?
“A destra, se avessi molti soldi da investire, metterei Cancelo del Manchester City; a sinistra Marcos Alonso, che non costa nemmeno molto ed è sempre affidabile. Alla Roma, adesso, il migliore è Zalewski che non è nemmeno un esterno“.
In porta, visto il momento di Rui Patricio, chi ci vedresti come sostituto?
“Prenderei me (ride, ndr). Ironia a parte, se disponessi di un budget alto, oggi prenderei Donnarumma: è italiano, giovane, conosce bene il campionato italiano ed è preparato bene. Se avessi un budget più limitato prenderei Carnesecchi oppure Vicario, che poi è andato al Tottenham“.
A proposito di calcio inglese, cosa pensi dello strapotere di acquisto di cui gode la Premier League?
“Beh, loro hanno alcuni vantaggi: per prima cosa, una propria valuta che vale più dell’euro, poi hanno un altro tipo di visibilità, che permette agli imprenditori stranieri di andare lì e investire, comprando i club“.
In Italia ci stiamo vendendo tutto: l’Inter l’abbiamo venduta ai cinesi, il Milan e la Roma agli americani…
“Non ci sono più i presidenti di una volta: i Franco Sensi, i Moratti, lo stesso Berlusconi, Gaucci. Non ci sono più quei presidenti italiani davvero tifosi della squadra che comprano. Parlando da romanista, ricordo che Franco Sensi si è indebitato pur di comprare Batistuta. Oggi il calcio è solo business: se vali, ti vendo e incasso. Una volta il calcio era anche passione“.
Passione, certo, ma anche la rabbia è molto importante per ottenere risultati. Secondo te Mourinho riesce a farla tirare fuori ai suoi ragazzi?
“Penso che i giocatori che lavorano con Mourinho siano pronti a morire per lui. Chiunque tu senta, da Lampard a Materazzi, tutti dicono la stessa cosa. Evidentemente è in grado di trasmetterti quella rabbia focosa che non tutti gli allenatori sono in grado di trasmetterti. Lui è malato di vittoria. Non a caso ha vinto 26 trofei: non si vincono, se non c’è la fame“.
Sperando che la Roma, in questa stagione, sia più affamata che mai, ringraziamo Emmanuel per la sua disponibilità e gentilezza e per il tempo che ci ha dedicato.
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