Ieri è venuto a trovarci in redazione il nostro amico Tiziano Maggiolini, ex calciatore, terzino sinistro che ha giocato in serie B e C1.
Romano cresciuto nel quartiere Talenti, nell’arco di una carriera durata 16 anni Tiziano ha giocato quasi 300 partite in serie C1, ha segnato 24 gol, girato molto e fatto parte di diverse squadre, fra cui il Venezia e il Palermo.
Ci ha raccontato la sua esperienza di giocatore e di imprenditore di progetti legati alla sanità e allo sport.
G: Tiziano, com’è nata la tua passione per il calcio?
T: A cinque anni. Ho iniziato quando mio fratello grande, che ha quattro anni in più di me, giocava già a calcio. Andando a vedere lui mi sono appassionato.
In famiglia siamo sempre stati appassionati di calcio e in particolare della Roma.
Da lì ho iniziato nel settore giovanile dell’Achillea, fino a che non ho fatto i provini con la Lodigiani: di trecento ragazzini, ne sceglievano diciotto. E io sono stato preso, all’età di 10 anni. Ho poi esordito in C1 con la Lodigiani a 16 anni.
In campionato iniziai a giocare a 18 anni e andò subito bene: il primo anno segnai 6 gol in campionato e 4 in Coppa Italia.
A fine carriera, quando mi ritrovai a giocare nel Latina, mi resi conto che il calcio era cambiato. Non era più quel calcio che avevo avuto la fortuna di vivere, soprattutto in categorie inferiori come la C1.
G: E com’era diventato?
T: Era meno performante e meno meritocratico. Il calcio mi piaceva solo quando stavo nel rettangolo verde. Fuori era diventato combattere per i contratti.
Io ho vinto premi, come quello con la Lodigiani come miglior giovane della C1, in un periodo nel quale i riconoscimenti li ricevevi se dimostravi qualcosa.
G: Com’è avvenuto il distacco dalla carriera di giocatore professionista?
T: A 27 anni ho avuto un figlio e questo mi ha portato a fare determinate scelte. Anche se avevo l’opportunità di andare in serie B, non ci sono andato perché non ne avrei tratto un vantaggio sul piano economico. Per me, il calcio è sempre stato anche un lavoro.
Nel frattempo ho studiato e mi sono laureato: prima in Scienze Motorie, poi in Fisioterapia. Oggi lavoro nel settore da imprenditore e con due lauree. La mia famiglia ha saputo consigliarmi bene e ho fatto molti sacrifici per poter essere dove sono oggi.
Non si pensa mai all’età dei calciatori. Io ho esordito a 16 anni: a quell’età sei ancora un bambino, vai al liceo, è difficile resistere alla pressione.
Ho conosciuto tanti ragazzi, anche molto bravi, che hanno smesso o che non hanno studiato e poi si sono pentiti, hanno continuato a giocare fino a 38-39 anni e poi si sono resi conto di non poter trovare un altro lavoro che gli piacesse come quello del calciatore.
G: Qual’è stata la squadra di calcio dalla quale hai imparato di più, sia sul piano umano che sul piano professionale?
T: A livello umano sicuramente il Palermo: per la prima volta ho vissuto una realtà simile a quella di Roma. Lì ti consideravano un calciatore importante. Sono rimasto molto legato a Palermo, è una città meravigliosa di persone meravigliose.
A livello tecnico, anche se per pochissimo tempo, l’esperienza più importante è stata il Venezia: Cesare Prandelli era un vero maestro, in un attimo ti trasmetteva tantissimo.
G: Hai segnato 24 gol. Qual è stato quello più memorabile?
T: La risposta è semplice: il gol di promozione del Palermo in serie B. C’erano 50.000 persone e lo stadio era completamente rosa.
Il calcio lo fanno le persone.
Ho giocato la maggior parte della mia carriera al Centro-Sud, dove ho ricevuto tantissimo calore da parte delle persone.
Nutrono una passione incredibile, quasi famelica, e te la trasmettono. Nel bene e nel male.
Il calcio non è solo serie A. Dicono: fai il calciatore. Ma poi magari sei costretto a dormire in macchina perché la tua società ti paga in ritardo oppure non ti paga affatto e non onora gli impegni.
Non si parla mai della vita di un calciatore che gioca in altre categorie: non basta che ne parlino solo le tv locali. Bisogna occuparsene di più, anche per dare visibilità a molti giocatori bravissimi che non sono in serie A.
G: A un giovane che vuole intraprendere la tua strada oggi cosa consiglieresti?
T: Quando si arriva all’agonismo, bisogna prima di tutto diventare piccoli uomini e piccole donne sportivi. Non dimenticherò mai Malvicini, alla Lodigiani, che a noi insegnò a chiudere l’acqua sotto la doccia e a spegnere la luce quando uscivamo dallo spogliatoio.
Disciplina, impegno per lo studio: questi erano i valori fondamentali. Perché “sono 5 milioni i bambini che giocano e 100.000 quelli che diventano professionisti”.
Gli direi anche di essere cauto, perché oggi è diventato più facile arrivare al professionismo, visto che la qualità si è abbassata, ma è anche più facile uscirne velocemente.
G: Come vivi il calcio e lo sport oggi?
T: Non mi sono mai allontanato completamente dal calcio: quando mi sono ritirato, stracciando il contratto con il Latina, sono andato a giocare in seconda categoria con alcuni amici, e sono diventato presidente del Football Montesacro.
Ho dato tutto allo sport, ma non vorrei mai smettere. Continuo ad andare a correre e a giocare nonostante abbia messo una protesi a 40 anni. Ho dovuto togliere il menisco in seguito a un infortunio avuto a 17 anni, mi sono ripreso velocemente ma ho continuato a giocare e ho perso completamente la cartilagine.
Non riuscivo più a camminare ma grazie a una protesi di ultima generazione, non cementata, sono potuto tornare a praticare sport (e a correre dietro il suo bellissimo pastore tedesco Grut, ndr).
G: Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
T: Da presidente del Football Montesacro, gestisco ragazzi dai 17 ai 25 anni e una sezione Juniores. Ho il sogno di trovare uno spazio, che poi diventerebbe la sede ufficiale della mia squadra, ma che possa diventare anche una polisportiva: amo tutti gli sport, per me sono tutti uguali.
In questo periodo sono molto impegnato sul fronte sanità (a Roma, Tiziano gestisce anche i poliambulatori specialistici di famiglia che portano il suo nome, ndr), anche legata al Covid, e mi occupo di fisioterapia.
Vorrei allargare il servizio e fare il più possibile prevenzione sanitaria, anche legata al mondo sportivo. Si dà troppa poca importanza ai certificati medici sportivi: per me sono una cosa seria. Come i check up al cuore, che sono fondamentali per stare in buona salute.
G: Hai qualche rimpianto?
T: Non aver mai esordito in serie A. Mi è rimasta la curiosità.
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