Spalletti si racconta al Corriere della Sera. Un racconto dettagliato della sua famiglia, della sua carriera e soprattutto di quei sogni da inseguire sempre.
A raccogliere la confessione del tecnico azzurro, la sapiente penna di Walter Veltroni. In una lunghissima intervista ripercorre anni di vita dedicati al calcio.
Dalle giovanili all’Avane alle vittorie con la Fiorentina. Confessa che le sconfitte in maglia giallonera hanno significato di più. Sono state scuole di vita e di sport.
L’intervista è più a Luciano che a Spalletti: all’uomo dietro e dentro il mister della Nazionale. Che assapora in pieno la gioia dei risultati raggiunti con fatica, ma è la propria. E la soddisfazione per questo è davvero tanta.
Come un sarto il ct ha ricucito l’affetto e l’amore tra i tifosi e le squadre che ha allenato. In uno scambio sinergico di emozioni: lui dà e riceve, come in ogni rapporto. Condivide con i suoi giocatori il senso di responsabilità e la motivazione. Gioie e dolori si vivono in egual misura. Questo rende il gruppo coeso e fa risultato.
Del cammino impervio dell’Italia agli Europei ne parla con entusiasmo: dalle difficoltà si trae insegnamento e spirito di sfida. Inoltre sostiene di avere ragazzi davvero in gamba e fa i nomi: Scalvini, Udogie, Scamacca tra i giovani da crescere; Retegui, Raspadori, Kean, Immobile con esperienza e capacità; Raspadori di cui loda l’impegno che mette nell’allenamento e nell’università; infine Chiesa che lo definisce appartenente al “calcio degli illusionisti”, perché capace di creare cose imprevedibili anche dai più esperti allenatori. “Le qualità dei giocatori di talento sono superiori alle indicazioni che un tecnico può dare” sintetizza.
Recrimina alle scuole calcio di mortificare e tarpare le ali ai ragazzi, chiudendoli in schemi e tattiche, spesso copiate da altri. “Nei settori giovanili si tende a premiare la fisicità precoce senza calcolare che il talento può essere nascosto anche nell’incompletezza fisica, e che lì bisogna cercarlo. Li facciano giocare con la palla”.
Invita anche i club a osare e sperimentare di più, scommettendo sui giovani della Primavera. Anche così si scoprono buoni candidati per la Nazionale. Inoltre la globalizzazione ha mutato il profilo dei campionati: l’azzardo, dice Spalletti, è un modo per massimizzare i lati positivi di questo fenomeno.
Va dritto al punto Spalletti, senza remore dice quello che pensa sull’argomento: lascia perplessi non poco che qualcosa di moralmente inaccettabile, dice, faccia anche da sponsor nel mondo del pallone. “Purtroppo le scommesse non sono solo una piaga nel mondo del calcio, ma spesso lo sono sul piano sociale, esistono famiglie rovinate da una ‘malattia’, una dipendenza, che purtroppo all’economia fa comodo tenere in piedi.”
Ciò che ripete spesso ai suoi giocatori è di dare il massimo, soprattutto per rispetto di chi fatica una vita e spende tempo e soldi per vederli giocare, consegnando loro cuore ed emozioni.
“C’è qualcosa di più amaro e di più insopportabile del non avere talento o fortuna: è avere l’uno e l’altro ma non saperli riconoscere e apprezzare” commenta.
Sono cambiati, certo, i ragazzi: hanno meno fame, il consumismo e il benessere veloce gli dà troppo; sono meno abituati ad avere paura, a faticare. Ma c’è la costante della critica facile e dell’incapacità del saper perdere. Una combinazione fatale per chi vuole fare sport.
Prende come esempi virtuosi due nomi in particolare: Gianluca Vialli, per il lavoro svolto in FIGC; Sinner, come esempio di tenacia e dedizione allo sport “In quel ragazzo, nel suo gioco e nei suoi risultati, si vede il segno della fatica, delle ore spese per migliorarsi.”
E alla fine arriva Totti: quei fischi all’Olimpico, quanto gli hanno fatto male dopo tanto lavoro con la Roma e i buoni risultati raggiunti. Non nasconde, infatti, che quell’abbraccio di pochi giorni fa è stata una vera liberazione.
Aggiornato al 05/12/2023 11:24
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