Il professor Pier Paolo Mariani ha analizzato le possibili cause che stanno portando un grande numero di infortuni nel mondo del calcio.
Il recente aumento degli infortuni al legamento crociato tra i calciatori sta destando molta preoccupazione nel mondo del calcio. Dopo i casi di Zapata e Bremer, oltre a quelli di Rodri, Ter Stegen, Gavi e Carvajal, molti si interrogano sui motivi dietro questa ondata di gravi infortuni. Il professor Pier Paolo Mariani, chirurgo ortopedico della clinica Villa Stuart, ha approfondito la questione in un’intervista al Messaggero, cercando di spiegare le ragioni di questa catena di stop fisico.
A seguire, le sue dichiarazioni:
Bisogna diminuire gli impegni delle squadre per salvaguardare i calciatori?
“Il calcio fa parte del circolo mediatico, come la Formula Uno e il tennis, e credo che questa macchina non si possa fermare, bisognerebbe chiederlo alla FIFA e all’UEFA”.
Perché le ginocchia sono l’arto statisticamente più colpito?
“Il ginocchio nel calcio è il più esposto al contatto fisico ed è un’articolazione dotata di più movimenti: si piega, e ruota. Il tutto avviene poi a velocità sempre più crescenti”.
Spalletti ha parlato di problema mentale e non di sovraccarico di impegni.
“In questa fase del campionato non può avere influenza la fatica fisica, ma per impegni ravvicinati la fatica mentale può avere una grande importanza. Il calcio è uno sport di contatto ed un trauma per un’entrata scomposta l’avversario non si può evitare”
Che processi sta facendo la medicina per diminuire i tempi di recupero?
“Nel 98% dei casi un calciatore non ha un trauma chirurgico, ma un problema che si può risolvere con la medicina conservativa: fisioterapia e infiltrazioni. In questo ambito c’è una varietà di tecniche all’avanguardia, ognuno con la propria soluzione. Ma nella realtà il corpo umano è l’unica macchina al mondo che si autoripara, quindi in tempi più o meno rapidi il calciatore torna a giocare. Solo in una piccola percentuale abbiamo un’incidenza di traumi che necessitano di un intervento chirurgico. Un atleta infortunato rimane sempre un atleta e la rieducazione deve essere a misura dell’atleta. Questa è la mia filosofia. Tanto che tutti i calciatori operati da me al crociato anteriore dopo tre mesi tornano in area tecnica per cominciare il percorso che li riporti a giocare. C’è chi ci mette quattro mesi chi sei, ma l’area sanitaria finisce a tre mesi. Questo lo faccio dal primo importante intervento su Aldair, che tornò a giocare dopo quattro mesi. Gli ho dato la gioia di vincere il Mondiale nel 1994”.
Aggiornato al 10/10/2024 10:07
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