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Allegri e la Juve, eutanasia di un amore

La decisione era nell’aria ed è stata comunicata dalla società venerdì con una nota diramata e pubblicata sul sito ufficiale della società bianconera, dopo un vertice tra Andrea Agnelli, Nedved, Paratici e il tecnico livornese.
Ieri la conferenza stampa, alla vigilia dell’ultimo appuntamento casalingo della stagione, posticipo della 37ma giornata, in occasione del quale sarà ufficialmente consegnato alla squadra il trofeo conquistato ormai da alcune settimane. Una cerimonia che a Torino ormai è un appuntamento fisso da otto anni e che sarà anche l’occasione per celebrare l’addio al calcio giocato di Andrea Barzagli, definito da Agnelli in conferenza stampa “il professore dei difensori bianconeri”.

L’addio tra commozione e contraddizioni

Non vogliamo qui ripercorrere i dettagli della conferenza stampa che ha visto il Presidente e il Mister presentarsi davanti a una platea nelle cui prime file sedeva la squadra al completo. E’ stata una conferenza dal sapore celebrativo, molto ben concepita, in perfetta sintonia con lo stile di una società molto attenta e che ben si guarda dal commettere i clamorosi pasticci mediatici visti altrove, anche di recente, basti pensare alla gestione della questione De Rossi a Roma.
Agnelli ha voluto smentire, definendole “dietrologie”, le indiscrezioni filtrate sulla rottura. Tra la società e Allegri c’è anche molto più che stima e considerazione reciproche. Al tecnico livornese, di cui vengono ricordati gli undici trofei conquistati in cinque stagioni, il Presidente consegna una maglia celebrativa e i ringraziamenti per aver scritto un pezzo forse irripetibile di storia bianconera.
Preferiamo piuttosto soffermare l’attenzione su qualcosa che non torna, che stride, dietro la facciata di una conferenza stampa densa di commozione – sincera, per carità – e di parole al miele scambiate tra i protagonisti. Una contraddizione che ben ha rappresentato il collega Maurizio Crosetti (Repubblica). “C’è un momento in cui bisogna capire che è il momento giusto per separarsi” aveva spiegato Andrea Agnelli, precisando che si tratta di una decisione presa di comune accordo “in assenza di elementi fattuali”. Come dire che va tutto alla grande, che non è accaduto nulla che inducesse a lasciarsi, e che tuttavia si decide che è opportuno lasciarsi ora, all’apice di una parabola, piuttosto che trascinarsi avanti.
Non convince. Troppo evidente la volontà, questa sì condivisa dalle due parti, di nascondere la polvere sotto il tappeto, di trasmettere all’esterno l’immagine, tanto perfetta quanto irreale, di un idillio mai interrotto, di non dare in pasto ai media le vere ragioni del divorzio.
Al di là della battuta, peraltro molto carina, con cui ha liquidato la domanda del giornalista (“noi due non siamo le persone adatte per parlare di rapporti di coppia”), infatti Andrea Agnelli una risposta non l’ha data. Se l’amore reciproco è intatto, se ci si stima, se non c’è nulla che non vada, perché mai due persone dovrebbero lasciarsi solo perché “prima o poi qualcosa andrà meno bene di oggi, allora tanto vale lasciarsi ora che siamo felici”? Non si uccide un amore così. A meno che…

Qualcosa si è rotto

Allegri ha davvero scritto pagine importanti della storia calcistica a tinte bianconere, questo è indiscutibile. Cinque anni di successi e una supremazia pressoché incontrastata in patria, soddisfazioni enormi e qualche cocente delusione in Europa, dove la Juventus è ormai una realtà consolidata, stabilmente nella ristretta cerchia delle grandi.
Tuttavia, e non dal 16 aprile con la dolorosa eliminazione dalla UCL per mano dell’Ajax all’Allianz Stadium, qualcosa nel rapporto tra la società e il tecnico si è rotto.
Forse ci si sazia anche di vittorie, forse il palato diviene più fino e le aspettative crescono, si desidera di più e, come è normale, si desidera quello che non si ha.
Dopo i due settimi posti e i vari Ferrara, Zaccheroni e Del Neri, con la ferita ancora aperta di Calciopoli e della retrocessione, bisognava tornare grandi, bisognava tornare a vincere. Oggi, dopo otto anni di vittorie, i tifosi chiedono di più, chiedono una squadra che continui a vincere, non solo in Italia, dando spettacolo e affermando una propria identità.
La Juventus di Allegri, diciamola tutta, si è affermata come squadra di estrema solidità e concretezza ma raramente ha saputo incantare. E se i trionfi mettono tutto in secondo piano, quando qualcosa va storto questo limite emerge.
A Monaco di Baviera contro il Bayern, come al Bernabeu contro il Real Madrid e quest’anno a Torino contro l’Ajax, le sconfitte sono state da molti attribuite ai limiti propri di un tecnico che ha evidenziato una scarsa propensione ad osare. A volte nella vita come nello sport, occorre essere audaci e talvolta anche la fortuna aiuta gli audaci. Così si spiegano certi successi di outsider che trionfano su avversari sulla carta più forti. Ecco, questa non è certo una qualità di Mister Allegri, sebbene sia un vincente cui vanno riconosciute molte altre qualità.
Oggi è il giorno dei festeggiamenti, della cerimonia, dei ringraziamenti. Per qualcuno anche della commozione. Da domani sarà il tempo di iniziare a scrivere un nuovo capitolo della gloriosa storia bianconera. I tifosi bianconeri si augurano che chi raccoglierà la pesante eredità di Allegri sia messo dalla società nelle condizioni migliori per dare il suo contributo, perché dopotutto su una cosa il tecnico livornese ha ragione: anche undici buoni giocatori, ben guidati, possono dare spettacolo, ma poi sono i campioni a fare la differenza e vince chi ha più campioni.
In genere è così, anche se la Champions League quest’anno ci ha mostrato altro e Cristiano Ronaldo sarà in buona compagnia, con Messi, Aguero, Bale e tanti altri top players, a vedere Tottenham e Liverpool giocarsi la coppa dalle grandi orecchie.

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Pubblicato da
Claudio Guadoni
Tag: Juventus

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