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Calcio story, l’incredibile storia di Bernhard “Bert” Carl Trautmann

Oggi per la rubrica “Calcio story” racconteremo l’incredibile storia e per certi punti di vista assurda di un calciatore che, da soldato nazista, divenne eroe di Manchester. Una storia pazzesca, di quelle che rendono il calcio uno sport impossibile da non amare.

Quella dei prigionieri tedeschi nei territori alleati alla fine della Seconda Guerra Mondiale è una di quelle bruttissime pagine di storia che non si vorrebbero mai leggere. Come tutti i fatti legati ad un conflitto così orribile, è difficile risalire ad una verità univoca: quel ch’è certo che in Europa migliaia di prigionieri di guerra, in Russia milioni, al termine delle ostilità furono costretti a vivere in condizioni di schiavitù  per riparare i danni che Hitler e la sua follia avevano causato. Tra di loro c’è il personaggio di questa storia, a molti ignoto, che riuscì a redimersi divenendo il primo, e forse, unico, tedesco amato oltremanica.

Bernhard iniziò la carriera da calciatore giocando col TURA Bremen e tifando Werder. Scoppiata la guerra, nel 1941 decise di arruolarsi in aviazione ma finì per fare il radio  operatore dei paracadutisti e fu spedito in Russia, dove venne fatto prigioniero ma, incredibilmente e rocambolescamente, riuscì a fuggire. Spedito sul fronte opposto, fu fatto prigioniero dai francesi ma ancora una volta riuscì a fuggire. Nel marzo del 1945, quando il conflitto volgeva al termine, venne fermato dagli americani e deportato nel campo di prigionia di Ashton, nei pressi di Manchester. Qui, tra i suoi svaghi principali, c’era ovviamente il calcio. Si iniziò a organizzare partite coi campi vicini e Trautmann si distinse piuttosto bene come mezz’ala destra ma un giorno venne a mancare il portiere e si offrì di sostituirlo. Ebbene, da quel giorno non uscirà più dai pali.

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Calcio story, la scelta di Trautmann e la sua rinascita

Una volta liberato gli fu offerto il ritorno in Patria ma decise di rimanere dov’era. La gente lo aveva adottato e per facilità di pronuncia il suo nome divenne Bert e chi lo aveva visto in azione come portiere era deciso a non lasciarselo sfuggire. Per qualche tempo si ritrovò a difendere la porta della squadra amatoriale del St Helens Town FC, dove il pubblico da qualche centinaia divenne di qualche migliaia, in parte affascinati dalla novità dello straniero ma in maggioranza per assistere alle sue straordinarie parate. Nel 1949, aveva 27 anni, durante un’amichevole col Manchester City impressionò in maniera indelebile gli osservatori, che decisero di offrirgli un contratto da professionista. Ma i dirigenti del club biancoazzurro non avevano preso in considerazione due cose, e cioè che avrebbe dovuto sostituire la leggenda Frank Swift, campione d’Inghilterra nel 1937 e vincitore della FA Cup nel 1934, che se la guerra non lo avesse fermato sarebbe diventato un numero uno anche a livello internazionale, ma soprattutto che era un tedesco, aveva combattuto contro la Patria che l’ospitava servendo un regime infame. In migliaia i tifosi scesero in piazza per manifestare contro di lui, minacciando addirittura di rescindere l’abbonamento finché avesse giocato, e soprattutto si fecero sentire gli ebrei, calmati solo dal rabbino capo che riconobbe in lui una brava persona totalmente estranea agli orrori della guerra e le sue parole fecero calmare le acque. Nella prima trasferta londinese, contro il Fulham, Trautmann venne fischiato da entrambe le tifoserie ma, grazie alle sue prodezze, il City perse solo 1-0 e alla fine della partita i giocatori e i tifosi presero ad applaudirlo fuori dal campo. Era l’inizio di un mito, presto i tifosi si resero conto di aver perso una leggenda tra i pali ma di averne trovata un’altra. Trautmann dichiarerà:

Quando iniziai la mia carriera qui la gente non mi voleva accettare, mi boicottava ma poi cambiarono idea ed io sarò per sempre grato a tutti loro per questo, chissà cosa sarebbe stato della mia vita se non fosse accaduto. Per me questo rimane il successo più grande. E lo devo ai tifosi, ai compagni di squadra, agli altri calciatori, a tutti quanti.

Nel 1952 lo Schalke, accortosi di lui, decise di riportarlo in patria con un’offerta cospicua ma sia la dirigenza che il calciatore si opposero. In particolare Bert disse addio alla nazionale perché, all’epoca, chi giocava all’estero non veniva preso in considerazione. Quindi, sebbene non vi fossero dubbi su chi fosse il miglior portiere tedesco in circolazione, non venne convocato per i Mondiali di Svizzera nel 1954 in cui la sua nazionale compì il miracolo di Berna battendo la fortissima e favorita Ungheria e laureandosi per la prima volta Campione del Mondo. Disse:

“Non ho mai sofferto per non aver fatto parte della nazionale Campione del Mondo del 1954. Ascoltai la partita alla radio eccitato e felice. Ero cosciente che per i giocatori che militavano all’estero era quasi impossibile poter essere notati dai selezionatori.

La riconoscenza e l’amore per la sua patria adottiva e per il suo club erano stati più forti di tutto e nel 1954 ebbe l’opportunità di vincere qualcosa d’importante ma, nella finale di FA Cup contro il Newcastle, dopo un minuto lui, il primo tedesco a partecipare ad una finale in tale competizione e il primo a portare scarpini Adidas, grazie all’amicizia col proprietario, in Inghilterra, raccoglieva già il pallone dal fondo della rete. Nonostante il momentaneo 1-1, la sua squadra perse 1-3.

L’anno dopo, ancora in finale ma contro il Birmingham, il City andò in vantaggio dopo 3’, subì la rete del pareggio e, verso la metà della ripresa, si portò sul 3-1. C’erano ancora 22’ da giocare in cui bisognava difendere il risultato. Al 73’, però, su un cross corto in area Trautmann

si scontrò in uscita con l’attaccante Murphy che arrivava a tutta velocità. Lo scontro fu violento e il portiere tedesco rimase a terra privo di sensi. Riprese conoscenza con i sali e un secchio d’acqua con una spugna, il massimo per l’epoca, e si rialzò in piedi ma non riusciva a muovere la testa. Per tre volte svenne per via del dolore insopportabile ma bisognava stringere i denti, non c’erano ancora le sostituzioni, anche se vedeva solo sagome nella nebbia. Nonostante ciò, riuscì a compiere altre due parate decisive e, reggendosi il collo con una mano, arrivò a fine partita ritirando stavolta, oltre alla medaglia, anche la coppa. Il giorno dopo decise di recarsi in ospedale dove gli dissero che era soltanto una brutta botta, sarebbe passata da lì a due giorni con un po’ di riposo. Ma il terzo giorno, essendo il dolore assurdo, tornato a Manchester si sottopose ad un’altra visita e questa volta gli fecero una lastra. Il medico impallidì, rimase scioccato, gli disse che sarebbe dovuto essere morto o perlomeno paralizzato. Una vertebra cervicale si era spezzata in due ma per la violenza dell’urto quella di sotto, spostandosi, a sua volta, la mantenne al suo posto. Appena la notizia divenne di dominio pubblico, Trautmann assurse i connotati di un eroe per aver giocato e parato col collo rotto, anche se lui dichiarerà che se lo avesse saputo sarebbe corso immediatamente in ospedale lasciando sguarnita la porta. A fine stagione, nel 1956, fu il primo straniero ad ottenere il premio come miglior giocatore del campionato inglese. Dopo l’operazione dovette portare un collare con dei sostegni per parecchio tempo e quello fu il periodo più duro della sua vita, segnato anche dalla morte del figlio di soli cinque anni, investito davanti alla porta di casa, una tragedia che segnò il rapporto con sua moglie che non riuscì più a riprendersi. Dopo duri e intensi allenamenti, quando rientrò in campo i risultati non furono eccellenti, prese alcuni goal piuttosto banali e chiese alla dirigenza di rescindergli il contratto perché, a suo dire, pesava sul cattivo rendimento della squadra. Il club ovviamente rifiutò e lui, sentendosi spronato, ce la mise tutta e, lentamente, ritornò il grande portiere che tutti conoscevano.

Nel 1960 la Football League per la prima volta decise di includere un giocatore straniero nella rappresentativa che avrebbe affrontato l’Irlanda prima e l’Italia poi. Quella coppa d’Inghilterra, che tutti ricorderanno per quell’episodio, fu l’unico trofeo che vinse nella sua carriera con la maglia del City, che indosserà per 545 volte.

Trautamann giocò la sua partita d’addio contro la nazionale inglese in una notte piovosa dell’aprile 1964. Bobby Charlton e altri miti lo definirono uno dei più grandi portieri di tutti i tempi. Gordon Banks, indicato da molti come il miglior portiere inglese di sempre, aggiunse ai soliti complimenti sulla sua bravura la calma e la sua precisione nella distribuzione del gioco:

“Per me la cosa più importante è che era un incredibile uomo di sport e giocava ogni partita come se ci dovesse qualcosa, se dovesse qualcosa a tutti perché era stato un prigioniero di guerra tedesco ed era stato comunque accettato. Per me era più vero il contrario, noi avremmo dovuto essere grati a lui per essere rimasto e averci mostrato che gran portiere era. Io di sicuro ho imparato molto da lui.

Furono in 60.000 i tifosi che andarono a salutarlo e quella partita, considerata la freddezza con venne accolto, rimase il suo ricordo più bello. Purtroppo, come spesso capita, dopo aver detto addio al calcio giocato le cose non andarono bene. Divenne manager dello Stockport Country con cui ottenne la promozione ma decise di lasciare dopo alcuni dissapori col presidente. Fece da accompagnatore alla nazionale tedesca ai Mondiali inglesi nel 1966 e nel 1967, dopo il divorzio, prese il patentino per allenare in Germania ma fallì e, dato che non si guadagnavano all’epoca le cifre astronomiche di oggi, cadde presto in disgrazia trovandosi nella spiacevole situazione di dover allontanare i giornalisti, attratti come le mosche da una carogna. Ad aiutarlo in questa difficile situazione fu il Ministero degli Esteri, che lo spedì in Africa e in Asia incaricandolo di aiutare a sviluppare un calcio ancora in erba. Tornato in patria nel 1987 si risposò nel 1990 si trasferì in Spagna, dove visse grazie alla pensione retribuitagli dal governo tedesco.

Con tutti i tuffi che uno fa quando è portiere è normale che sia pieno di dolori. Il sole da queste parti li rende più sopportabili – diceva l’ex numero uno del City poco prima della sua morte avvenuta nell’estate del 2013 – e anche il dolore al collo è ancora lì. Se mi volto di scatto ho ancora delle fitte che mi fanno venire le lacrime agli occhi.

Sicuramente una vera leggenda, ma una di quelle che ricordano solo i veri appassionati di pallone. Bert Trautmann, il portiere che divenne leggendario grazie ad un osso rotto. Anche se, ad essere onesti, sarebbe lo stesso divenuto immortale, forse non così famoso ma certamente un numero uno. Indubbiamente un episodio negativo divenne per lui sinonimo di chiara fama ma a Trautmann essa non interessava. Pensava solo a portare in alto la sua squadra e questo, ancora oggi, lo rende un esempio e gli fa onore.

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Pubblicato da
Andrea Sarli

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