Oggi per la rubrica “Calcio story” racconteremo la straordinaria storia di Lev Yashin, l’unico portiere, per ora, ad aver vinto il pallone d’oro, il premio più ambito dai calciatori.
Il Pallone d’Oro è il premio più ambito da qualsiasi calciatore, solitamente a vincerlo sono gli attaccanti o i centrocampisti offensivi ma nel 1963, unica storica volta, a vincerlo fu un portiere, e non uno qualsiasi. Lev Ivanovich Yashin nasce a Mosca il 22 ottobre 1929 da una famiglia di classe operaia e a sei anni perde la madre per colpa della tubercolosi.
A 14 anni, durante la Seconda Guerra Mondiale, è costretto ad andare a lavorare in fabbrica col sogno di diventare un grande attaccante ma quel ragazzo alto e con un fisico ben messo ha dei riflessi felini, afferra qualsiasi oggetto gli viene lanciato, e così, con l’aiuto del padre, affina le doti da portiere. Sono anni difficili, ne ha soltanto 16 quando viene colpito da un’ulcera allo stomaco a causa della malnutrizione e spedito in un sanatorio sul Mar Nero.
Nel 1947 ritorna a Mosca per il servizio militare e lì vengono notate le sue doti sportive. Nel 1949 viene invitato a far parte delle giovanili della Dinamo Mosca, la polisportiva del ministero degli Interni, ma l’esordio è da incubo, prende goal sul rinvio del portiere avversario uscendo male su una palla alta e scontrandosi fortuitamente con un compagno di squadra, episodio che si verifica, tra le risate generali, in un’altra sfida quando è chiamato a sostituire il portiere avversario, detto la Tigre.
La dirigenza, infuriata, lo vuole fuori rosa ma gli è concessa un’ultima possibilità: la Dinamo vince ma Yashin incassa quattro goal in 10’. La sua carriera sembra finita ma lui non smette di allenarsi, per un periodo passa a difendere i pali della squadra di Hockey, vincendo una Coppa di Russia ma rifiutando la convocazione ai mondiali sognando un ritorno al calcio, che avviene nel 1954 ancora per un infortunio della Tigre.
Da quel momento Yashin difenderà la porta della Dinamo Mosca in 326 partite, per tutta la sua carriera, e per 74 volte quella della Nazionale Sovietica. Nel 1956 vince le Olimpiadi subendo solo due reti e nel 1960 conquista il primo Europeo, in entrambi le occasioni ad essere sconfitta è la Jugoslavia
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Il Ragno Nero, così viene soprannominato per la sua divisa e per quelle mani enormi, centra quattro Campionati sovietici (1954, 1955, 1957 e 1959). Nel 1962 l’Unione Sovietica esce ai quarti dei Mondiali eliminati dai cileni padroni di casa, come era accaduto in Svezia nel 1958. Yashin dà prova di una prestazione deludente, tanto che il giornale francese l’Equipe gli consiglia il ritiro, a 29 anni.
Ma il Ragno Nero non è intenzionato a mollare e si rialza, resta in campo per ore per affinare la tecnica e arriva a parare con i muscoli addominali, tra atroci dolori per i cronici problemi che lo tormentano sin da giovane. Nel 1963, per il centenario della FIFA, è schierato nella sfida tra l’Inghilterra e il Resto del Mondo. Gli bastano 45’ per incantare i 100.000 spettatori di Wembley. Il Ragno Nero è tornato e in quella stagione epica vince per la quinta volta il Campionato Sovietico subendo, in 27 partite, soltanto 6 reti, un’impresa che gli valse il Pallone d’Oro, impresa rimasta un unicum nella storia del calcio.
Nel 1964 conquista il secondo posto all’Europeo e nel 1966 il quarto piazzamento al Mondiale, miglior risultato assoluto della Nazionale Sovietica. Nel 1967 vince la Coppa dell’URSS e dopo aver fatto la riserva ai Mondiali del 1970, a 41 anni, decise di ritirarsi dopo 22 anni di attività. Il 27 maggio 1971, davanti a 103.000 spettatori, stadio esaurito, Yashin, gioca la sua ultima partita, Dinamo Mosca contro il Resto del Mondo. Fu la fine di una leggenda, terminava la sua carriera il portiere più forte di sempre, un colosso imbattibile. Copriva lo specchio in maniera impeccabile con uno stile di gioco sobrio basato sul posizionamento, divenne una leggenda anche per aver neutralizzato ben 150 calci di rigore.
Fu anche un uomo semplice, umile, per tutta la sua carriera percepì soltanto lo stipendio di dipendente statale. Negli spogliatoi era famoso per essere parco nell’abbigliamento di gioco, non cambiava più di tre maglie, soltanto quando le maniche erano irrimediabilmente consumate. Nel 1985, a causa di una tromboflebite, perse una gamba e nel 1988 gli venne diagnosticato un tumore al suo stomaco, il suo incubo. Morirà nel 1990 a 60 anni, convinto fino all’ultimo che la gioia più grande fosse parare un calcio di rigore.
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