Oggi per la rubrica “Calcio story” racconteremo la storia di un grandissimo campione brasiliano, un calciatore che ha scritto pagine memorabili di storia del pallone, un uomo discutibile e un fenomeno indiscusso.
Immaginatevi un uomo strabico, gobbo, zoppo, con le ginocchia affette da valgismo e varismo, il bacino storto e una gamba più corta dell’altra di ben 6 cm. Può una persona del genere fare il calciatore? No, assolutamente, direbbe la ragione, eppure è successo davvero e quell’uomo si chiamava Manoel Francisco dos Santos, noto a tutti come Mané Garrincha.
Nato a Magé, nei pressi di Rio de Janeiro, Manoel a causa di una poliomielite, o forse della malnutrizione data la povertà della famiglia, sviluppa un fisico esile e poco adatto a qualsiasi tipo di sport. Perde la madre quando ha solo sedici anni e, col padre alcolizzato, si ritrova a dover badare a quattro sorelle.
Ha due grandi passioni: il calcio, vuole diventare un giocatore professionista, e la caccia ai passeri, che da quelle parti si chiamano, appunto, garrincha. Nel 1953 effettua un provino col Botafogo e, a causa di alcune strane coincidenze, si ritrova a giocare contro la prima squadra. Lui, ala destra, si trova di fronte la più forte ala sinistra di sempre, Nilton Santos, che quando lo vide, confessò, rise. Ma Garrincha in quella partita gli fa vedere i sorci verdi: prima lo salta con una finta, poi con un pallonetto, alla fine con un tunnel, è imprendibile e a fine partita Nilson dirà ai dirigenti:
“Scritturatelo subito, questo è un fenomeno.”
Inizia dunque la sua carriera da professionista e due anni più tardi esordisce in nazionale, con la quale giocherà 51 partite perdendone soltanto una. È un calciatore straordinario, a Firenze, in un’amichevole contro la squadra locale, umilia Robotti saltandolo e aspettandolo sulla linea di porta, dopo aver saltato il portiere, per poi scartarlo e appoggiare in rete. I compagni lo vorrebbero prendere a cazzotti, gli fanno notare che così rischia guai grossi ma lui, che la prende a ridere, se ne frega, è fatto così.
Ai Mondiali del 1958 salta le prime due partite perché viene trovato ubriaco ma poi, contro l’Unione Sovietica, in 3’ distrugge la difesa avversaria, prende una traversa e fa tutto quello che vuole, il pubblico è in delirio. Non dovrebbe giocare la finale per un calcio da tergo ad un avversario ma il Brasile fa ricorso e intervengono tutti, dal governo brasiliano al Presidente del Perù, e con 5 voti a favore e 2 contrari verrà assolto, giocherà e risulterà determinante per la vittoria dei suoi.
In Svezia Garrincha, che è già sposato e ha otto figli, oltre ad intrattenere una relazione con un’amante da cui avrà due figli, tra cui una femmina, Marcia, che riconoscerà per fare un torto alla moglie, mette incinta una cameriera diciassettenne, che darà alla luce Ulf Lindberg, il quale crescerà nel paese scandinavo. Un suo collega, Ghiggia, fece più o meno lo stesso a Roma, mettendo incinta una quattordicenne con cui fu sorpreso in macchina e denunciato per atti osceni in luogo pubblico.
Quattro anni più tardi, in Cile, conosce e s’innamora della cantante Elza Soares, una passione che durerà vent’anni. Intanto continua a mettere al mondo creature, alla fine si conteranno quattordici figli, ma a distruggerlo è l’alcool, soprattutto quando smette di giocare, si separò da Elza allorché l’aggredì in stato di ubriachezza.
Cercava scuse per poter bere e nemmeno allenare i bambini poveri lo poté salvare. Per venti giorni si rifiuterà di mangiare assumendo solo alcool, morirà all’alba del 20 gennaio 1983, dopo aver trascorso tre giorni lontano da casa, a Bangu, a sud di Rio de Janeiro, dove tornò ubriaco, dopo aver girato per i bar a bere, trascinandosi a stento e la moglie dell’epoca chiamò i soccorsi e lo fece internare.
Lasciato solo, spirò per un edema polmonare. Diversi anni dopo, l’ultima figlia gli verrà attribuita grazie all’esame del DNA. Riposa nel cimitero di Raiz da Serra, a Magé, e sulla sua tomba ardono perennemente sette candele, sette perché fu il suo numero storico, quello che lo rese immortale, l’ala più forte del mondo, sfortunata e testarda ma con un talento spaventoso. Mané Garrincha, colui che – è scritto sulla lapide – fu la Gioia del popolo.
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