Carlos Caetano Bledorn Verri, meglio noto come Dunga nasce a Ijuí, un comune del Brasile nello Stato del Rio Grande do Sul il 31 ottobre 1963; il soprannome Dunga è la traduzione in portoghese di Cucciolo, uno dei Sette Nani. Dunga ha origini italiane (per l’esattezza piemontesi) dalla parte paterna e tedesche da quella materna.
Dunga è stato un centrocampista centrale con attitudini difensive, si posizionava davanti alla difesa per fermare il gioco avversario e ripartire sia con il palleggio sia con lanci lunghi precisi: sua caratteristica era il calcio lungo effettuato con l’esterno del piede destro. Era un interditore di stile europeo, diverso dai raffinati centrocampisti brasiliani, ma dava un grande contributo alla manovra grazie al senso tattico e ad una naturale predisposizione alla regia. Dotato di grande temperamento e autentico leader in campo, era famoso per la foga con cui difendeva e per la straordinaria voglia di vincere.
Iniziò la carriera nell’Internacional di Porto Alegre. Nel 1984 fu acquistato dalla Fiorentina nell’affare Socrates, ma fu deciso di lasciarlo giocare in Brasile tre anni per maturare. Si trasferì al Corinthians per poi passare nel 1986 al Santos, e nel 1987 al Vasco da Gama. Dunga arrivò nel 1987 in Toscana e precisamente al Pisa, sempre in prestito dalla Fiorentina, dove stupì tutti quanti per densità di gioco e regolarità di rendimento. Il Cucciolo divenne il miglior straniero dell’anno e la rivelazione assoluta del campionato: a discapito della sua stazza piccola, Dunga riusciva a proteggere al meglio la difesa e a recuperare una quantità incredibile di palloni.
Nel 1988 dunque, finalmente, approdò a Firenze e il rapporto fu subito di amore e odio, più che con i tifosi (che lo adoravano per la sua grinta e cattiveria in campo) con la dirigenza e in particolar modo con il presidente Vittorio Cecchi Gori, a cui rimproverò di non essere pagato abbastanza viste le sue prestazioni in campo. Il campo, appunto. Qui Dunga fu sempre uno dei migliori e proprio per questo la maglia della nazionale brasiliana arrivò con facilità, insieme alla fascia di capitano che tenne al braccio per moltissimi anni, fino al mondiale francese del 1998.
L’aspro diverbio con Cecchi Gori esplose nel 1992, quando il presidente prima lo mise fuori rosa per comportamento indisciplinato e poi lo cedette al Pescara di Giovanni Galeone che terminò il campionato ultimo in classifica, retrocedendo. Finita la carriera in Italia, girovagò tra Germania (Stoccarda), Giappone (Jùbilo Iwata) e ritorno all’Internacional di Porto Alegre in Brasile.
Con la maglia viola ha disputato 122 partite segnando 8 reti.
A fine novembre del 2017, a dimostrazione dell’affetto nutrito dai tifosi viola nei suoi confronti, è stato inserito nella “Hall of Fame” della Fiorentina. Queste alcune sue dichiarazioni a margine di quell’evento: «Essere entrato nella “Hall of Fame” della Fiorentina è un grande orgoglio per me e per la mia famiglia. Qui ho vissuto anni bellissimi ed indimenticabili, io sono innamorato di Firenze e della Fiorentina. Sono anche innamorato della lingua italiana, della cultura e del cibo: tutto in Italia è bellissimo. Adesso mi fa piacere essere tornato qua e sono ancora più contento di essere entrato a far parte della storia di questa società. I tifosi viola hanno tanto rispetto per i giocatori che sono passati da qua, tutti quelli che vengono a giocare a Firenze rimangono nel cuore di tifosi e società. Lo stesso vale per noi calciatori, in Brasile parliamo spesso con altri ex giocatori che sono stati qua e tutti proviamo le stesse sensazioni».
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