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L’elogio alla normalità di Gaetano Scirea

Sono passati 35 anni da quando Gaetano Scirea non c’è più. Un uomo che è scomparso in circostanze tragiche, lasciando un’eredità di bellezza e amore per la vita.
“Io so che tanti problemi non ci toccano perché guadagniamo bene. Siamo dei privilegiati. Ma so anche di essere sempre stato lo Scirea di oggi, oggi che sono titolare della Juve e della Nazionale. Non vado in giro a testa alta perché sono… Scirea. Il mio scopo è anche di rispettare e amare chi mi ha dato tutto questo, i tifosi per primi”. Di Gaetano saranno immortali l’umiltà e l’amore per la vita, insegnamenti semplici ma che fanno la grandezza di un uomo.

Gaetano Scirea: il superuomo che manca al calcio

Nato a Cernusco sul Naviglio il 25 maggio 1953, Gaetano Scirea è diventato un simbolo vivente di integrità e umiltà. Sul campo era un libero, ma nella vita rappresentava molto di più; un faro di moralità assoluta, un’eco di quei valori che, oggi, sembrano perduti. La sua esistenza, vissuta nel silenzio e nella discrezione, era un inno ai principi più sani e autentici; quelli che non si sbandierano ma che si incarnano in ogni gesto quotidiano. E così, in una calda giornata di inizio settembre, Scirea ha lasciato questo mondo, portando con sé un pezzo di quella bellezza e di quell’amore per la vita che lo avevano sempre contraddistinto.

Figlio del lavoro

Gaetano era figlio del lavoro, quello che alla sera fa sentire stremati, quello che si fa per portare il pane a casa. Suo padre era un operaio e sua madre una casalinga. Il giovane ragazzo si fa notare sin da subito grazie ad un’intelligenza tattica fuori dal normale. Negli anni ’70 le sue doti spiccano all’interno delle file dell’Atalanta

, il ragazzo sta ridisegnando il ruolo di libero e ben presto, precisamente nel 1974 approda alla Juventus.

Gaetano Scirea e l’elogio alla normalità

Gli aneddoti che circondano la figura di Scirea delineano il suo carattere unico. Quando arrivò alla Juventus, si recava agli allenamenti in autobus, un gesto semplice che mostrava quanto poco fosse cambiato nonostante il successo. Dopo la vittoria dello scudetto nel 1975, la squadra festeggiò in discoteca. Ma Scirea, al mattino presto, provò un senso di vergogna vedendo gli operai andare al lavoro mentre lui, ancora in abiti da sera, si trovava sulla strada del ritorno. Pensava a suo padre, e quella scena gli ricordò quanto fosse importante mantenere l’umiltà.

L’amico vero e il silenzio della vittoria

Un altro momento che racconta la sua essenza è legato alla notte in cui l’Italia divenne campione del mondo. Dopo aver sollevato la Coppa del Mondo nel cielo di Madrid, mentre il resto della squadra festeggiava, Scirea e Zoff, amici veri, si ritirarono nella loro stanza. In silenzio, con un bicchiere di vino e una sigaretta, assaporavano quello che avevano appena realizzato, lontano dal clamore, in quella tranquillità che tanto rispecchiava la loro natura.

Scirea non è solo un ricordo, è un simbolo eterno di cosa significa essere un grande uomo dentro e fuori dal campo.

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Pubblicato da
Gaetano Vernile

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