Due anni fa, in piena era Covid, moriva Diego Armando Maradona. Aveva appena compiuto 60 anni. In suo onore, il logo del Napoli si è colorato di nero.
Per il Napoli, e per il mondo intero, nessuno è stato come lui: piccolo, potente, dotato di una fantasia nei piedi senza pari.
Diego Armando Maradona ne aveva fatta di strada, dagli Argentinos Juniors: all’epoca del suo arrivo nelle giovanili del club, aveva solo 10 anni.
Sei anni lì e poi in lancio in Prima Squadra dove per due anni di fila, nel 1979 e nel 1980, vinse il Pallone d’Oro del Sudamerica.
Poi i Boca Juniors e la partenza per l’avventura europea: prima al Barcellona, allora allenata dal tedesco Udo Lattek, poi al Napoli di Rino Marchesi e al Siviglia del connazionale Carlos Bilardo.
Dal 1993 fino al 1997 il giocatore torna a casa, in Argentina, dove gioca fino al ritiro. A partire dal 1997, si costruisce una nuova carriera da allenatore. Imbolsito dal tempo e dagli stravizi, ma sempre inarrivabile come campione.
Una carriera fulminante la sua, da semidio del pallone. Come tutti gli uomini che aspirano alla divinità, però, la hybris, la tracotanza, è il pericolo più grande: per rimanere al passo con ritmi sempre più incalzanti, Dieguito iniziò ad assumere cocaina.
E a partecipare a festini a base di droga e sesso, come rivelano alcune intercettazioni del 1991. Sono anni in cui tutti i riflettori sono puntati sullo spaccio e sul traffico di droga, sono gli anni di Pablo Escobar
(nel ’91 il trafficante si consegnava alla giustizia colombiana, ndr).Sul tema c’era massima allerta, e proliferavano indagini, soprattutto là dove c’era una forte presenza della malavita organizzata. A distanza di anni, lo stesso Maradona ammise di aver iniziato ad assumere cocaina quando arrivò al Barcellona, in un’autobiografia pubblicata negli anni Duemila.
La sua dipendenza da droghe, però, sebbene abbia intaccato l’immagine perfetta di campione sportivo non ha intaccato in negativo la percezione delle sue performance calcistiche.
Malgrado gli inciampi, infatti, il suo talento con il pallone ha ispirato generazioni di giocatori. Come Lorenzo Insigne, ex attaccante e capitano del Napoli nonché partenopeo doc, che in occasione della sua morte ha scritto:
“Dal primo giorno in cui sei arrivato nella nostra amata Napoli, sei diventato un Napoletano doc. Hai dato tutto per la tua gente, hai difeso questa terra, l’hai amata. Ci hai regalato la gioia, i sorrisi, i trofei, l’amore.
Sono cresciuto sentendo i racconti della mia famiglia sulle tue gesta. Sei stato il più grande giocatore della storia, sei stato il Nostro Diego. Ho avuto la fortuna di incontrarti, parlarti, conoscerti. Da tifoso, da Napoletano, da Calciatore: Grazie di tutto D10S. Ti ameremo per sempre“.
Aggiornato al 25/11/2022 12:02
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