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Perché il Governo Meloni vuole abolire il Decreto Crescita

Lo scorso Ottobre il Governo Meloni ha presentato al CDM la nuova legge finanziaria in cui figura anche l’abolizione del Decreto Crescita.

“Distruggono il calcio”

Se lo tolgono viene a cadere ogni discorso sulla sostenibilità e l’equilibrio tra risultati sportivi ed investimenti. Togliere il Decreto Crescita significherebbe distruggere il calcio italiano.❞

Lapidaria la dichiarazione dell’amministratore delegato del Milan, Giorgio Furlani. A cui ha fatto eco quella di Lorenzo Casini, Presidente della Lega Serie A.

Togliere ora il Decreto Crescita non sarebbe giusto. Il quadro governativo deve aiutare. Aspettiamo di raccogliere dati e capire se ha funzionato o no.

Interessante anche l’intervento di Claudio Lotito, che ha parlato a margine del DLA Piper Sport Forum andato in scena a San Siro.

Io più che eliminare le cose in corso, che porterebbero dei danni a tante persone, penso che sia giusto scadenzare la possibilità di modificare la norma in un tempo che salvaguardi cinque anni di contratto in corso.

Cos’è il Decreto Crescita?

Ma cos’è il Decreto Crescita e perché è così importante per i club? Parliamo in sostanza di un regime fiscale agevolato per tutti i lavoratori autonomi o dipendenti che accettano di trasferire la propria residenza fiscale dall’estero all’Italia. Cito testualmente:

Il Decreto Crescita è un nuovo regime agevolato per i lavoratori dipendenti o autonomi che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia per un massimo di cinque anni. L’agevolazione consiste in una riduzione della tassazione del 50%, per un reddito fino a 600mila euro. Il requisito è che abbiano una elevata qualificazione o specializzazione e che non siano stati residenti in Italia negli ultimi tre anni.

Per semplificare la comprensione dell’argomento, allego l’estratto di un articolo pubblicato ieri pomeriggio da Calciomercato.com.

La norma ha fino ad ora consentito alle società di garantire, a parità di costo, ingaggi più alti a giocatori con 2 anni di residenza fiscale all’estero che risiedono in Italia altrettanto tempo. In sostanza, non viene tassato il 70% della base imponibile del reddito.❞

Per fornire un esempio di come cambierebbero le cose qualora il DC dovesse essere effettivamente abolito, senza il Decreto Crescita un ingaggio da 10 milioni lordi corrisponde a 5.5 milioni netti. Con il Decreto Crescita un ingaggio da 10 milioni lordi corrisponde a 7.5 milioni netti.

Inoltre va considerato che le agevolazioni fiscali pattuite in estate non verranno calcolate prima di Gennaio 2024. Data in cui il Governo Meloni dovrebbe effettivamente abolire il decreto legge. Una mazzata, dal punto di vista economico, per i club, che sarebbero costretti a rifare tutti i conti del mercato.

Infatti, tutti i calciatori acquistati dall’estero durante il calciomercato estivo avrebbero a bilancio un impatto diverso rispetto a quanto inizialmente preventivato. Giusto per fare qualche nome, si parla di Marcus ThuramPavard all’Inter. Di Cajuste, Lindstrom e Nathan al Napoli. Di Weah alla Juventus. E così via.

(FOTO FORNELLI/KEYPRESS )

Perché la Meloni vuole abolire il Decreto Crescita?

Al momento da Palazzo Chigi non sono arrivate spiegazioni in merito a una scelta così inaspettata da spiazzare il mondo del calcio. I club di Serie A hanno chiesto una consultazione al Governo ed è possibile che un incontro chiarificatore vada in scena già nelle prossime settimane.

L’obiettivo delle società è quello di smussare la posizione del governo entro il 1 Gennaio 2024. Data nella quale si saprà se i club potranno contare o meno sugli sgravi fiscali del Decreto Crescita, dal momento che i bilanci semestrali vanno chiusi il 31 Dicembre 2023. E’ possibile ipotizzare le motivazioni leggendo un comunicato rilasciato dal MASAF il 31 Maggio 2023.

La valorizzazione del made in Italy è stata fin dal primo giorno un punto centrale per il Governo Meloni. La qualità dei prodotti italiani è un elemento da tutelare e promuovere. Lo conferma il disegno di legge approvato oggi in Consiglio dei Ministri. Un provvedimento che punta ad esaltare le produzioni d’eccellenza e le radici culturali della nostra Nazione, quali fattori da preservare e tramandare per sostenere la crescita dell’economia nazionale.

Parole di Francesco Lollobrigida, Ministro dell’Agricoltura. Per capire quanto il concetto di Made in Italy sia centrale nel patriottismo spicciolo promulgato dalla propaganda Meloniana, scioriniamo qualche dato:

• Il Governo Meloni ha cambiato il nome del Ministero dello Sviluppo Economico in Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

• Il Governo Meloni ha istituito un Liceo del Made in Italy. E che cos’è ‘sta roba? Un banalissimo Liceo Agrario con un altro nome

. Tutto qui.

• Il Governo Meloni ha istituito “La Giornata del Made in Italy“. Non si tratterà di un giorno festivo, ovviamente dato che Salvini non avrebbe certo potuto accusare i suoi stessi elettori di “volersi fare il weekend lungo”, ma avrà un valore puramente simbolico. Sarà il 15 Aprile di ogni anno e verterà su “l’orgoglio del prodotto e dell’impresa, della cultura e del modello italiano nel mondo”. Peccato, sarebbe stato ironico se avessero scelto il 25 Aprile.

Foto di Altoadige.it

“Bisogna puntare sui giovani italiani”

Un’altra motivazione potrebbe essere che alla Meloni le riforme del Governo Conte proprio non piacciono. Dato che le ha smantellate quasi tutte. Forse invidia. Forse la volontà di cancellare con un colpo di spugna quanto di buono fatto da uno dei Premier più acclamati dall’opinione pubblica nella storia recente della politica italiana.

Il Decreto Crescita è stato infatti promulgato il 30 Aprile del 2019 dal Governo Conte I. Negli anni ha subito delle modifiche, in linea con l’augurio attuale del Presidente della Lazio Lotito. Infatti, dal Maggio 2022, la sezione del Decreto Crescita concernente lo sport è stata aggiornata. Il tetto salariale minimo è stato alzato a 1 milione di euro ed è stata aggiunta un’età anagrafica minima per poter usufruire dei vantaggi fiscali: ovvero 20 anni.

Il modus agendi Meloniano è però chiaro. Loro non modificano e non regolamentano. Loro distruggono. Loro aboliscono. Probabilmente perché non sarebbero capaci di fare altrimenti. E questa non è politica ma una mera constatazione. Volendo però mantenere il focus della discussione su un tema calcistico, è possibile che il Governo Meloni voglia incentivare le squadre italiane a puntare maggiormente sui giocatori italiani?

Stante che mi sembra un ragionamento fin troppo complicato per lei, ma sulla situazione dei vivai italiani ho già fatto un inciso nel mio editoriale sul controllo statale della Premier League. Non è certo rendendo più tortuosa la via per arrivare ai giocatori stranieri che si convinceranno i nostri club a puntare maggiormente sui giovani italiani.

Il concetto stesso di “puntare sui giovani italiani” sta diventando una retorica stucchevole e vuota. E allora, ripensandoci, forse è effettivamente in linea con l’oratoria Meloniana. Se non si investe adeguatamente nelle infrastrutture e nella formazione dei giovani, arricchendo la cosa anche con degli incentivi economici, non c’è divieto di sorta che possa tenere.

Un atteggiamento tutto sommato in linea con quanto visto in questo primo anno di governo. Zero volontà di riformare la burocrazia o di educare il sistema. Solo divieti e punizioni inutilmente più severe.

Vivai: un problema sistemico

Tornando al calcio, in Italia abbiamo effettivamente un problema di fiducia nei giovani? Stando all’ultimo report del CIES, probabilmente sì. Dei 5 principali campionati europei, quello italiano è quello che punta meno sui vivai.

Come facciamo a saperlo? Come detto, il noto osservatorio calcistico ha stilato una classifica delle squadre che hanno concesso maggior minutaggio ai prodotti del proprio settore giovanile. Per trovare la prima squadra italiana dobbiamo scendere addirittura al 20esimo posto, dove troviamo l’Atalanta.

Gli orobici, in questo primo scorcio stagionale, hanno fatto assaggiare il campo a quattro prodotti del vivaio. I prodotti del vivaio bergamasco sono scesi in campo per il 18,7% del tempo. Che su 12 partite sono poco più di 200 minuti. Per trovare un’altra squadra italiana dobbiamo scendere ancora fino ad arrivare alle posizioni numero 31 e 33. Rispettivamente occupate dalla Juventus (11,4%) e dalla Roma. (11,1%) Ciò non dovrebbe stupirvi, se avete letto il mio articolo su chi ha fatto esordire più giovani del vivaio in Italia.

Il nostro calcio ha da anni un problema strutturale nella costruzione del talento. Un problema che non si risolve vietando allo straniero di entrare nel nostro paese, come il Governo Meloni predica abitualmente anche al di fuori del rettangolo verde di gioco, ma fornendo motivazioni concrete ai club per un cambio di rotta. Se un calciatore straniero mi fornisce più garanzie di un calciatore italiano, allora io società punto (giustamente) sullo straniero.

Perché il calcio, ahimè, ormai è diventato un business a tutti gli effetti e negli affari non c’è spazio per il becero nazionalismo. Una contraddizione che tradisce il liberismo di facciata espresso dal Presidente del Consiglio in seguito al clamoroso voltafaccia ideologico mostrato subito dopo le elezioni.

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Pubblicato da
Marco Palleschi Terzoli

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