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Souloukou: dal Colosseo alla foresta di Sherwood

Souloukou riparte dalla Premier League: l’ex CEO giallorossa è infatti il nuovo amministratore delegato del Nottingham Forest, “Una sfida entusiasmante.”
Dopo le indiscrezioni delle scorse settimane, è lo stesso club inglese ad annunciarlo ufficialmente sui social “Lina Souloukou è la nuova CEO, supervisionerà lo sviluppo strategico del Forest, guidando il progetto a lungo termine del Club per il successo nella Premier League e nelle competizioni europee.”
Dal giallorosso alla Premier League
Non solo Juric dalla Roma ma è anche una ex Ceo a sbarcare in Premier: Lina Souloukou è ufficialmente il nuovo amministratore delegato del Nottingham Forest.
“È una sfida entusiasmante” dichiara la manager greca “non vedo l’ora di iniziare a lavorare nel 2025 per realizzare le nostre ambizioni condivise.”
L’addio di Souloukou alla Roma
Dunque dopo le dimissioni dalla squadra della capitale, si riunisce a al magnate Marinakis, armatore e imprenditore greco, azionista di maggioranza della polisportiva greca Olympiakos e, appunto, della squadra di calcio inglese del Nottingham Forest.
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Luis Suarez: “Nel 2012 volevo andare alla Juventus”

L’ex giocatore di Liverpool e Barcellona, Luis Suarez, ha rivelato di aver chiesto la cessione alla Juventus, ma che poi non se ne fece nulla.
L’attaccante dell’Inter Miami ha rivelato di essere stato a un passo dai bianconeri, ma di essere poi rimasto a Liverpool grazie alla forte pressione dell’allora allenatore dei Reds, Brendan Rodgers.
La Juventus e Suarez
L’uruguaiano classe 1987 ha rivelato un curioso retroscena della sua lunga e vincente carriera. Nel corso di un’intervista allo streamer Davoo Xeneize, Suarez ha raccontato che, quando era ancora di proprietà del Liverpool, aveva ricevuto un’importante offerta dalla Juventus che lo aveva convinto a trasferirsi in Italia.
L’operazione, tuttavia, non si concretizzò per l’intervento di Brendan Rodgers, che lo convinse a restare. Qualche anno dopo, tuttavia, il Pistolero lasciò comunque l’Inghilterra per volare a Barcellona.
L’attaccante uruguaiano, che anche nel 2020 fu vicino ai bianconeri, racconta: “Nell’estate del 2012 volevo andare alla Juventus, ma Rodgers mi ha convinto a restare al Liverpool. Nei mesi precedenti vedevo che la società non acquistava nessuno e tutti i top player andavano in squadre che disputavano la Champions League. La Juventus era interessata a me e volevo andarci. Rodgers ha fatto di tutto affinché non me ne andassi”.

MANCHESTER, ENGLAND – NOVEMBER 1, 2016: Luis Suarez (L) of Barcelona and Aleksandar Kolarov (R) of City pictured during the UEFA Champions League Group C game between Manchester City and FC Barcelona at City of Manchester Stadium. Copyright: Cosmin Iftode/Picstaff
Non solo la Juventus
Non solo i bianconeri a caccia di Suarez a quei tempi. Un anno più tardi infatti, nel 2013, fu l’Arsenal a provare a strappare l’attaccante ai Reds: “Nel 2013, invece, volevo trasferirmi all’Arsenal. Disputavano la Champions ed erano disposti a pagare tanti soldi per me. Un giorno Gerrard venne da me e mi disse che la decisione migliore era quella di restare, anche lui al tempo aveva rifiutato il Real Madrid. Mi aveva promesso che con un solo anno in più al Liverpool i più grandi club d’Europa si sarebbero fatti avanti per me. Quel giorno tornai a casa piangendo e dissi a mia moglie che saremmo rimasti lì”.
Il difficile addio blaugrana
Altri 12 mesi e nell’estate del 2014 si concretizzò l’addio al Liverpool, con il passaggio al Barcellona. In blaugrana Suarez ha raggiunto l’apice della sua carriera, ma sei anni dopo il suo arrivo è stato costretto a un addio doloroso: “Ho sofferto molto quando me ne sono dovuto andare, ma per qualche motivo doveva succedere, non vivo nel rancore né nel passato. Sentivo di poter continuare a dare qualcosa al club e che ero all’altezza di ciò che chiedevano, ma le strade si sono divise”.
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Caso Dani Alves: la procura ricorre alla Corte Suprema

Il Tribunale della Catalogna assolve l’ex calciatore Dani Alves, ma la battaglia legale continua.
Venerdì scorso, il Tribunale Superiore di Giustizia della Catalogna (TSCJ) ha assolto Dani Alves dall’accusa di aggressione sessuale, ribaltando la condanna emessa in primo grado. L’ex terzino brasiliano di Barcellona, Juventus e PSG era stato inizialmente condannato a 4 anni e 6 mesi di carcere, ma la nuova sentenza ha annullato la pena per insufficienza di prove. La decisione è stata accolta con grande soddisfazione dall’avvocato del 41enne, Irene Guardiola, che ha dichiarato: “Siamo felici, è innocente, la giustizia ha agito. È stato molto emozionante, è stata fatta giustizia”.
Le richieste della Procura e della parte civile
Mentre la difesa di Alves puntava all’assoluzione totale, la Procura della Catalogna aveva chiesto un aggravamento della pena fino a 9 anni di reclusione, mentre la parte civile aveva sollecitato un aumento a 12 anni. Tuttavia, il TSCJ ha stabilito all’unanimità che non vi erano prove sufficienti per confermare l’accusa di aggressione sessuale.
Nelle motivazioni della sentenza, il Tribunale ha sottolineato la mancanza di affidabilità della testimonianza principale e l’assenza di riscontri oggettivi che potessero confermare le accuse.
Il ricorso alla Corte Suprema e gli scenari futuri per Dani Alves
Nonostante l’assoluzione, il caso non è ancora giunto a una conclusione definitiva. Oggi, la Procura della Catalogna ha annunciato l’intenzione di presentare ricorso alla Corte Suprema spagnola contro la sentenza del TSCJ. Qualora il ricorso venisse accolto, la Corte Suprema potrebbe confermare l’assoluzione o, in alternativa, annullarla e ripristinare la condanna iniziale a quattro anni e sei mesi di carcere.
Secondo quanto riportato da Marca, il nuovo giudizio si baserà sull’eventuale rilevazione di vizi procedurali o errori di valutazione da parte del TSCJ. Se la Corte Suprema ritenesse che il Tribunale della Catalogna non abbia esaminato correttamente le prove o abbia sottovalutato elementi chiave, la condanna potrebbe essere nuovamente applicata.
Dall’altra parte, il tribunale catalano ha giustificato la propria decisione evidenziando l’inaffidabilità della testimonianza principale e la mancanza di prove che potessero dimostrare con certezza l’accusa di penetrazione non consensuale. Secondo la sentenza, molte delle affermazioni dell’accusatrice non hanno trovato riscontro nelle indagini, e il Tribunale di primo grado avrebbe trascurato di verificare a fondo tali incongruenze.
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Morte Maradona: la perizia non ha rilevato nessuna traccia tossicologica

Durante l’ultima udienza del processo che vede imputati sette operatori sanitari con l’accusa di omicidio colposo nei confronti di Diego Armando Maradona, gli esperti forensi hanno rivelato i risultati tossicologici dell’autopsia, confermando l’assenza di tracce di alcol e droghe nel corpo dell’argentino.
Nell’ultima udienza sono emersi dettagli specifici relativi alla morte di Diego Armando Maradona, morto il 25 novembre 2020 per cause ancora ignote di cui attraverso l’autopsia nessuna traccia tossicologica legata ad alcool e droghe è stata rilevata, bensì gli esperti forensi rilevano fino a 12 ore di agonia per il calciatore argentino.
Diego Armando Maradona, l’autopsia
“Non c’erano tracce di droghe o alcol nel sangue di Diego Armando Maradona al momento della morte, il 25 novembre del 2020″: ad affermarlo, nel corso dell’ultima udienza che vede imputato l’intero staff medico che aveva in cura l’ex calciatore, i medici legali che hanno eseguito l’autopsia sul corpo dell’argentino. A riportare le dichiarazioni l’Ansa che poi ha aggiunto le dichiarazioni del biochimico Ezequiel Ventosi: “Nessuno dei quattro campioni ha rivelato tracce di alcol, cocaina, marijuana, mdma, ecstasy o anfetamina.”
Ad essere presenti invece nel sangue del erano cinque sostanze corrispondenti a farmaci antidepressivi, antiepilettici, antipsicotici e antinausea. Secondo quanto riferito dalla patologa Silvana de Piero, nel fegato dell’ex calciatore c’erano segni compatibili con la cirrosi e segni di un’insufficenza renale, cardiaca e polmonare. Inoltre, l’esperto forense ha dichiarato il cuore era significativamente ingrossato, pesava 503 grammi rispetto al peso medio di 250-300 grammi. Secondo l’accusa, i sette professionisti imputati nel caso: un neurochirurgo, uno psichiatra, uno psicologo, medici e infermieri, non gli avrebbero fornito cure adeguate tali da aver contribuito alla sua morte.
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