La redazione di SuperNews ha avuto l’onore di intervistare Francesco Moriero, ex giocatore dell’Inter dal 1997 al 2000, così come di Lecce, Cagliari, Roma e Napoli. Moriero ha ripercorso con noi le tappe della sua carriera, i ricordi che lo legano al suo Lecce e all’Inter, soffermandosi su aneddoti e campioni incontrati nella splendida avventura chiamata “calcio”.
Hai iniziato la tua carriera nelle giovanili del Lecce. Nel 1987 sei stato convocato in prima squadra. Ricordi ancora quel momento e il tuo primo goal contro l’Ascoli?
Il mio esordio è stato in Serie B, in un derby contro il Bari. L’allenatore del Lecce, in quell’anno, era Santin. Tuttavia, si trattava solo di una piccola presenza. Il mio vero esordio è stato in Coppa Italia contro la Juventus di Cabrini. Quella convocazione è stata del tutto inaspettata. Ero impegnato in alcuni tornei sulla spiaggia di Frigole, era il giorno della Festa di Sant’Oronzo, qui a Lecce. Alla rifinitura della partita, ricordo che Mazzone chiamò mio padre per farmi andare in ritiro. Così, la sera mi ritrovai a giocare titolare contro la Juventus, contro Cabrini. Da quel giorno, non sono più uscito dall’undici titolare. In Serie A, dopo la promozione nella stagione 1987-1988, ho realizzato con il Lecce il mio primo goal ad Ascoli. E’ stato veramente bello, io avevo unicamente voglia di diventare calciatore del Lecce, non pensavo ad altre squadre. E’ stata una storia stupenda.
Nel ’94 vieni acquistato dalla Roma e allenato da Carlo Mazzone. Che ruolo ha avuto per te mister Mazzone?
Mazzone è colui che mi ha fatto esordire contro la Juventus. Inoltre, è stato mio allenatore per tre anni nel Lecce. Successivamente, Carlo ha scelto la direzione Cagliari, e io lo seguii. Quando il mister decise di andare ad allenare la Roma, decise di portarmi con lui. Mazzone è stato un secondo padre. Nei primi periodi, mi ha portato con sè in ritiro, mi ha insegnato come dovevo comportarmi, cosa dovevo mangiare, a che ora dovevo andare a dormire. Mi ha insegnato i valori dello sport, fondamentali anche nel calcio di oggi.
Nel 1997 eri ad un passo dal vestire la maglia del Milan. Invece, hai firmato con i nerazzurri. Cosa ti spinse a questa virata improvvisa?
Ero svincolato dalla Roma e dovevo partire per l’Inghilterra per firmare il contratto con il Derby Country. Invece, arrivò la chiamata di Galliani, che mi invitava a Milano per firmare il contratto con il Milan. Io accettai. La svolta è stata il doppio accordo di André Cruz con le due milanesi: per risolvere la situazione, mantenendo buoni i rapporti tra Milan e Inter, i rossoneri proposero una serie di giocatori che potessero interessare ai nerazzurri. Fu Gigi Simoni a scegliermi tra quei nomi. Così, dopo quindici giorni, passai all’Inter. E mi innamorai di quella maglia.
Sei molto famoso per il tuo gesto dello “sciuscià”. Ci racconti da dove nasce e a quale giocatore hai lucidato lo scarpino più volte?
Il gesto nasce nella prima partita casalinga del campionato, Inter-Brescia, con la squadra ospite in vantaggio per 1 a 0. Entrò Recoba e realizzò la doppietta che ci fece vincere la gara. A tre minuti dalla fine, El Chino calcia una punizione magistrale sotto il sette. Per quanto eravamo felici lo abbiamo travolto, mi sono messo in ginocchio e gli ho lustrato lo scarpino. E’ un gesto che ci siamo portati dietro per anni, un gesto che simboleggiava l’umiltà di un giocatore che lucida la scarpa al compagno di squadra per il suo fantastico gesto tecnico.
Hai avuto modo di giocare con Ronaldo, considerato uno dei più forti giocatori di sempre. Sei d’accordo? Che tipo era fuori dal campo?
Ho avuto la fortuna di aver incontrato tantissimi campioni nella mia carriera calcistica, come per esempio Pasculli e Barbas, Francescoli, Totti, Giannini. Nell’Inter c’erano grandissimi giocatori, Javier Zanetti, Winter, e poi c’era il numero uno al mondo: Ronaldo. Faceva delle cose incredibili, con una facilità e velocità disarmante. Il “fenomeno” era un ragazzo di vent’anni, un leader molto umile. Nel gruppo non c’era invidia nei suoi confronti, anzi, eravamo fieri di avere in squadra un fuoriclasse come lui. Era un ragazzo di vent’anni come tanti altri. Soltanto che lui, a vent’anni, era il numero uno al mondo.
Il tuo goal più bello e il tuo goal più importante?
Il goal più importante è stato il mio primo in carriera al Via Del Mare contro l’Atalanta. Era il mio sogno segnare per il Lecce. Il più bello, invece, credo sia stato la rovesciata contro il Neuchatel Xamax in Coppa Uefa nel 1998. Ho a cuore tanti altri goal, tra cui quello realizzato contro il Piacenza.
Gigi Simoni è stato tuo allenatore. Tutti hanno uno splendido ricordo di lui. Un signore dentro e fuori dal campo.
Di Gigi potrei raccontarti tutto. L’ho vissuto tanto, l’abbiamo vissuto tanto. Simoni è l’allenatore che, il primo giorno di ritiro, si presentò dicendo: “Qui siete tutti in discussione, tranne uno”. Con questa battuta, Gigi conquistò tutti. Era una persona che riusciva a far sentire importante ogni giocatore. E’ andato via in silenzio, come era nel suo stile. Era una persona molto buona, umile, non amava le polemiche. Dopo quasi ventidue anni, io e Colonnese abbiamo creato una chat whatsapp con il gruppo dell’Inter ’98, tra cui anche Ronaldo e Zamorano, per organizzare un viaggio per salutare il mister come merita. Avremo modo di consegnare la sua maglia ricordo. Rimarrà sempre nei nostri cuori, non potrà mai andar via.
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