Serie A
Como, Ludi: “Zero possibilità che Nico Paz vada via a gennaio. Su Alli…”
Se da una parte un grande nome potrebbe presto vestire la maglia del Como, uno potrebbe non farlo più. Nico Paz via già da gennaio? Il punto della situazione.
L’obiettivo minimo del Como per questa stagione, come è stato annunciato ad inizio stagione, è la salvezza. Obiettivo che fino a ora sembra ampiamente alla portata, anche grazie al grande talento a disposizione di coach Fabregas.
Uno su tutti Nico Paz, il classe 2004 argentino (nonostante sia nato a Tenerife) ha fatto impazzire tutti in questi mesi, affermandosi come una dei più grandi talenti del nostro campionato.
Le parole di Ludi
Carlalberto Ludi, ds del Como. ha parlato così in una recente intervista a TMW :
“Non si è mosso nessuno, che io sappia almeno direttamente. Ma non c’è nessuna possibilità che vada via a gennaio. È un talento puro, si mette a disposizione sempre della squadra”.
Lasciando intendere l’intenzione della società nel non voler assolutamente cedere il suo gioiello.
Scongiurata quindi un imminente cessione di Paz, il ds Ludi si è espresso così riguardo Dele Alli, ospite questa domenica sugli spalti per assistere al match vinto 2 a 0 dai comaschi contro la Roma.
“In condizioni ideali interessa a chiunque. Abbiamo ottimi rapporti con l’agente, si può creare qualcosa d’interessante ma non possiamo ancora sapere. Deve passare qualche settimana, di conoscenza anche, e poi vedremo la decisione migliore. Una percentuale? E’ prematuro. Faremo un periodo di allenamenti e conoscenza reciproca, a Fabregas però piace molto”.
Parole che lasciano ben sperare i tifosi, soprattutto considerando quelle di Fabregas: che lasciavano intendere che Dele alli, a partire da dopo natale avrebbe iniziato ad allenarsi con la squadra comamsca.
Serie A
Vieri: “Le delusioni fanno parte dello sport. Devo tutto a tre allenatori”
Vieri, intervistato a margine dell’evento con la Serie A, ha rilasciato delle dichiarazioni sulla sua carriera e sul presente. Leggi con noi le parole di Vieri.
Presente all’evento di Iliad a Milano, Bobo Vieri ha ricordato le tappe della sua carriera, soffermandosi su alcuni momenti. In particolare, l’ ex attaccante della Nazionale ha omaggiato tre allenatori e si è esposto su alcuni giocatori del nostro campionato.
Le parole di Vieri
La parternship con la Serie A.
“Io e altre legend andiamo in giro per il mondo a promuovere il nostro campionato, secondo me il nostro calcio si sta riprendendo alla grandissima. Non a parole: abbiamo visto l’Inter in finale di Champions League, l’Atalanta che ha vinto l’Europa League, la Roma in Conference e la Fiorentina ha giocato due finali di fila. Cerchiamo i giocatori giovani più forti d’Europa: al di là delle vittorie, tutte queste finali testimoniano che le squadre migliorano anno dopo anno”.
La solidarietà creatasi attorno a Bove.
“Il gruppo è sempre stato fondamentale, lasciamo fuori i giornalisti che fanno sempre casino. Quando lavori in gruppo il singolo viene fuori se è forte il gruppo, è la prima cosa. La stessa Fiorentina lo dimostra, volersi bene e stare vicini tra compagni è fondamentale. Bove per fortuna si è ripreso, spero torni a giocare”.
Il rapporto con tuo nonno?
“Mio nonno era l’unica persona che credeva in me. Aveva fatto il portiere e allenava i ragazzi del Santa Lucia: il nonno di Diamanti era il presidente e mi proposero di giocare lì. Alino lo conosco da quando aveva cinque anni. Mio nonno mi promise 5 mila lire a ogni gol, alla prima ne feci quattro. Era convinto sarei diventato uno dei più forti attaccanti al mondo”.
Sogni e sacrifici.
“Non solo nel calcio, ma nello sport in generale e nella vita. Se vuoi raggiungere degli obiettivi devi dare tutto, sennò fai fatica. Non si tratta di un singolo sacrificio: è normale che il weekend fai fatica, perché gli altri escono e tu no. Ma se hai un obiettivo pensi a fare di tutto per raggiungerlo”.
L’inizio di carriera
Il primo ricordo su un campo da calcio?
“Era questo, ero un bambino ed ero conto. Già poter dire che giocavo in Italia e avevo fatto quattro gol, a quattordici anni, era tanta roba. Volevo testarmi, io volevo giocare a calcio: spesso i bambini mi chiedono se i soldi si realizzano veramente. Ci sono qua io, avevo due sogni e li ho realizzati. Devi sempre seguire la tua strada, senza ascoltare nessuno. Io ho giocato in A e in Nazionale”.
L’inizio di carriera.
“Ero in Australia, ho iniziato da terzino sinistro. Poi dopo sei mesi avevo fatto più gol degli attaccanti e ho detto al mio allenatore di mettermi davanti. Ero una specie di Roberto Carlos più grosso. Mi ha messo in attacco, ho fatto 15-20 gol e ho continuato così. Il mio sogno era giocare in Serie A e nazionale, lo dissi a mio padre che mi disse di trasferirmi da mio nonno a Prato. E non sono più tornato. Mio padre aveva giocato a calcio, sono stati bravi a lasciarmi libertà di scelta”.
Primo impiego ufficiale?
“Non l’ho mai visto come un lavoro. Il mio primo contratto ufficiale l’ho fatto a Pisa. Ero contento, ma quello viene di conseguenza a quello che fai, la prima cosa è voler giocare in una squadra”.
La svolta quando?
“Tre allenatori mi hanno fatto svoltare: Rampanti nella Primavera del Torino, ha sempre creduto in me, anche al primo anno quando ero più piccolo degli altri. Poi Mondonico che mi ha fatto esordire nel Torino e mi ha voluto all’Atalanta: mi martellava, che la roba che facevo in settimana la portavo in campo la domenica. E Cesare Maldini, l’ho avuto 6-7 anni tra Under-21 e Nazionale maggiore. Mi hanno messo sulla giusta strada”.
Quanto conta l’allenatore?
“È come un secondo padre, nel settore giovanile non devi vincere ma ti devono preparare per i campionati veri. È importante che ti dicano la cosa giusta, dai 14 ai 18 anni sono figure centrali”.
Che hai fatto con i primi soldi?
“Non mi ricordo, forse ho comprato la macchina a mio padre, credo una Peugeot”.
Eri felice?
“Chi mi conosce sa come sono: prendo per il culo tutti, mi piace far ridere e divertire. Anche ora che ho 50 anni e giochiamo a padel. Di Biagio dice che faccio le stesse battute da trent’anni”.
Il soprannome?
“In Primavera al Torino c’era Brunetti che giocava con me in attacco, disse che mio padre si chiamava Bob e mi avrebbero chiamato Bobo. Sono 37 anni”.
E bomber?
“Se segni, sennò ti chiamano coglione. Il bomber deriva da quello che fai in campo, è quello che si porta la squadra sulle spalle e cerca di farla vincere”.
Saresti stato un bomber lo stesso ?
“Avrei giocato a cricket, sarei stato un bomber anche lì. Con mio fratello siamo malati di tennis, mi prende per il culo perché ho sempre detto che, se avessi giocato a tennis, sarei stato il numero uno al mondo. Ho questo carattere duro, se voglio fare qualcosa la faccio. Tutti mi dicevano che ero scarso, lento, pesante, grezzo, debole tecnicamente, e invece sono andato avanti per la mia strada”.
Delusioni?
“Sì, quando perdi le partite. Umane? No. Quando non sono andato al mondiale perché mi sono rotto il ginocchio. La finale di Champions con la Juve, e il cinque maggio con l’Inter. Fanno parte dello sport, però è bello esserci: sono partito dall’Australia, quando sono arrivato in Italia andavo a vedere Baggio in curva e dopo sette-otto anni poi ho giocato in Nazionale e nell’Inter con lui”.
Giocatori che somigliano a Vieri?
“Tre-quattro: Vlahovic, Lukaku, Haaland, Dovbyk. Per caratteristiche siamo simili. Dovbyk è forte forte”.
La caratteristica che ti distingueva dagli altri.
“Dovete chiedere agli allenatori. Io sapevo che meglio lavoravo durante la settimana e meglio stavo. Più mi allenavo più andavo forte la domenica: io mi sono sempre allenato tantissimo. Dovevo migliorare in tutto”.
Il Vieri di oggi
Ti manca il campo?
“Si da pazzi, ma a tutti noi”.
Pure a Totti?
“Gli ho scritto l’altro giorno, gli ho detto che se vuole tornare a giocare deve farlo, fregandosene degli altri. Lui già non doveva smettere, ora se vuole riprendere deve farlo. Se lo fa felice, deve farlo: c’è Miura che gioca a 57 anni… Gli diranno che è lento, ma che gliene frega”.
Un consiglio da dare a un giovane?
“Di allenarsi”.
Cosa vorresti per il futuro?
“Sarà banale ma di stare bene”.
Cosa non si sa ancora di te?
“Tante cose, che però devono rimanere così. Io dico sempre quello che penso: a volte va bene e altre meno. Però sto mollando con l’età. Cazzate non ne dico, ma dico quello che penso. Che senso ha cambiare ora: vado avanti ora”.
Che sportivo ti definisci?
“Oggi sovrappeso. Sono un ex sportivo, che ha fatto quello che voleva fare ed è felice, finito lo sport mi sono spostato e ho due figlie: sono i gol più importanti che ho fatto. La felicità che mi hanno portato non me la sarei mai aspettata, sono le gioie più importanti della mia vita”
Serie A
Torino, Maripan: “Ho sempre sognato di giocare in Italia”
Il difensore del Torino, attraverso i canali social, ha rilasciato alcune dichiarazioni sulla sua nuova avventura in Italia. Leggi con noi le parole di Maripan.
L’ex capitano del Monaco, trasferitosi in estate al Torino, ha rilasciato alcune dichiarazioni. In particolare, Maripan si è soffermato sui motivi della scelta e sul ruolo della sua famiglia in questa esperienza.
Le parole di Maripan
Il trasferimento in Italia.
“Per me il Toro è qualcosa di speciale, mi ha dato la possibilità di giocare in Italia che era un sogno che avevo fin da bambino. Ho trovato un gruppo incredibile di giocatori e persone che mi hanno accolto molto bene: sono una famiglia, sono molto contento di essere qui. Per me il Toro è calcio, è passione, sono molto contento della mia decisione di essere venuto qua”.
Cosa significa per te il Natale?
“Natale è famiglia, amore e tempo con le persone che ami. Lo vivo con i miei cari aspettando Babbo Natale, circondato dalle persone che mi danno amore. Condividere i momenti e lo spirito del Natale è bello.
La famiglia.
“Papà e mamma, sono loro. Si sono sempre impegnati per me e per i miei fratelli, abbiamo avuto infanzia e adolescenza sempre positiva e felice, è la cosa più importante. Sarò grato a loro per tutta la via, non è stato facile. Nei giorni di allenamento stavo lontano dalla famiglia e dagli amici di scuola, era complicato. L’appoggio della famiglia mi ha fatto arrivare dove sono ora. Nei momenti difficili quando ero giovane, ho preso certe decisioni grazie a loro”.
Serie A
Lazio, Zaccagni: “Sogno di giocare al Flaminio”. Baroni: “Un onore rappresentare i giovani nello sport”
Il capitano della Lazio, Mattia Zaccagni, ha parlato del momento della squadra e del nuovo stadio dei biancocelesti. Ha parlato anche il tecnico Baroni.
Il capitano della Lazio Mattia Zaccagni ha parlato ai microfoni di Lazio Style Channel del momento dei biancocelesti e del nuovo stadio Flaminio. Intanto, il tecnico Baroni ha parlato durante una premiazione in Campidoglio.
Lazio, il commento di Zaccagni sul Flaminio
In casa Lazio hanno parlato sia il capitano Mattia Zaccagni che il tecnico Marco Baroni.
Il primo, ai microfoni di Lazio Style Channel, ha parlato nel momento generale della squadra:
“Sono molto contento di questa annata, del percorso fatto in questa stagione. Stiamo facendo grandi cose, siamo contenti di aver creato un qualcosa di forte e ora dobbiamo rialzarci subito” ha dichiarato.
Poi, ha parlato del nuovo stadio della Lazio:
“Flaminio? Ci pensavo prima, spero che i lavori dello stadio possano iniziare il prima possibile per poterci giocare, è un progetto bellissimo”.
Le parole di Baroni
Il tecnico Baroni ha parlato durante una cerimonia di premiazione al Campidoglio.
Il suo discorso è incentrato su valori dello Sport e del calcio:
“Si parla di sport e si parla di giovani, anche io sono stato ragazzo e ho avuto la fortuna di avere grandi allenatori e dopo grandi giocatori. Da questo punto di vista è una grande responsabilità nei confronti dello sport giovanile. In questo mondo, che si parli di sport di squadra o individuali, si conservano dei valori che ho fatto miei nella mia vita e che fanno parte dell’educazione, valori che dobbiamo trasferire ai giovani”.
Infine, ha definito una missione quello di essere un allenatore di calcio:
” Questa è una missione che sento e che cerco di trasferire alle persone che sono vicine a me: fare una crescita individuale e cercare sempre di lavorare, di non mollare mai. Questo è l’aspetto che mi ha sempre contraddistinto, ne sono orgoglioso e resto legato a quei valori, ai quali non ho mai rinunciato, sono un punto imprescindibile del mio percorso” ha concluso.
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