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Milan, inizia l’era Conceição e Ibra tuona

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Milan, il portoghese subentra a Fonseca con l’obiettivo di rilanciare i rossoneri in Italia e in Europa. Ibrahimovic: “Niente più alibi, ora serve una reazione”

Il tecnico portoghese Sergio Conceição, chiamato a sostituire il connazionale Paulo Fonseca, ha firmato un contratto con il club rossonero fino al 30 giugno 2026. L’ingaggio sarà legato a un sistema di bonus e risultati, a testimonianza della fiducia ma anche delle alte aspettative della dirigenza.

La prima giornata di Conceição a Milanello è stata scandita da uno slogan semplice ma eloquente: “Testa fresca, cuore caldo”. È questo il messaggio che l’ex allenatore del Porto ha voluto trasmettere ai suoi nuovi giocatori, riuniti per un discorso inaugurale in cui ha sottolineato la qualità della rosa e la necessità di puntare in alto, sia in campionato che in Champions League.

Conceição ha chiesto un cambio di mentalità immediato per centrare gli obiettivi stagionali, con il traguardo minimo fissato nella top 8 europea e un ritorno ai vertici della Serie A. Dopo la sessione mattutina di scarico post-pareggio contro la Roma, il nuovo allenatore ha diretto il suo primo allenamento, cominciando a conoscere da vicino i giocatori e a plasmare la sua idea di squadra.

Milan, il discorso di Ibrahimovic: “Ora basta alibi”

A Milanello, Conceição ha trovato la dirigenza al gran completo: l’amministratore delegato Giorgio Furlani, il direttore tecnico Geoffrey Moncada e il senior advisor Zlatan Ibrahimovic. Proprio l’ex campione svedese, secondo quanto riportato da La Gazzetta dello Sport, ha tenuto un discorso incisivo alla squadra, spiegando le ragioni della scelta di cambiare allenatore e spronando il gruppo a reagire.

Milan

ZLATAN IBRAHIMOVIC SORRIDENTE ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

L’esonero di Fonseca è una sconfitta per tutti, non solo per lui,” ha dichiarato Ibrahimovic, “ma ora non ci sono più alibi. Ognuno di voi deve prendersi le proprie responsabilità e portare i risultati che il Milan merita.” Un richiamo all’orgoglio e alla professionalità che rispecchia il carattere deciso di Ibra e che si allinea con la filosofia pragmatica di Conceição.

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Bacca: “Il Milan può arrivare in finale. Conceiçao? Se i risultati non arrivano è giusto cambiare”

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Bacca

L’ex attaccante del Milan, in vista della semifinale Juventus-Milan, ha rilasciato alcune dichiarazioni sul match. Leggi con noi le parole di Bacca.

Questa sera Milan e Juventus si sfideranno nella semifinale di Supercoppa italiana. Per l’occasione la Gazzetta dello Sport ha intervistato l’ex attaccante rossonero. Secondo Bacca il cambio in panchina è stata la mossa giusta, con Conceiçao il Milan potrà lottare per i propri obiettivi.

Le parole di Bacca

La Supercoppa vinta contro la Juventus.

“Quello è probabilmente il ricordo più bello della mia esperienza rossonera. Disputammo una grande gara contro un’avversaria forte e riuscimmo a batterla mostrando grande cuore. Stasera sarà una gara dura perché la formazione di Motta è tosta e in campionato non ha mai perso. Ci vorrà una bella prestazione, ma sono convinto che il Milan possa arrivare in finale”.

Sei deluso dal campionato disputato finora dal Milan?
“Se al Milan i risultati non arrivano, è inevitabile che la dirigenza cambi allenatore. Fa parte del gioco. Conceiçao porta una nuova idea di calcio che speriamo sia vincente e rilanci il Milan in corsa per la qualificazione alla Champions. Il club più grande d’Italia deve sempre avere l’obiettivo di lottare per lo scudetto e di partecipare alla Champions”.

Conceicao milan, Bacca

Ha qualche rimpianto sull’ avventura in rossonero?

“No. Dentro di me ho solo l’orgoglio di aver indossato la maglia di uno dei club più importanti del mondo. Sono sicuro di aver dato il massimo. Dei mei compagni dell’epoca mi sento ancora con Calabria, Donnarumma, Locatelli e Cutrone. Sono stati grandi compagni e persone fantastiche. Al Milan auguro il meglio”.

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Roma, Mancini: “Pellegrini e Cristante andranno via? Penso solo a me stesso”

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Roma, Gianluca Mancini

In una lunga intervista al quotidiano Il Tempo, il difensore centrale Gianluca Mancini ha analizzato l’ultimo anno di Roma a pochi giorni dal derby.

L’ultimo anno, per la Roma e per Gianluca Mancini, è stato molto travagliato: 3 esoneri, da Mourinho a Juric, fino al nuovo allenatore Claudio Ranieri.

In un’intervista rilasciata a Il Tempo, il difensore centrale ha fatto ordine nei pensieri, tra passato e presente, in vista della sfida più sentita di ogni campionato: quella del Derby di Roma contro la Lazio. Sfida il cui precedente è stato positivo per i giallorossi proprio grazie a un gol di Mancini.

Ecco che cosa ha dichiarato nell’intervista al quotidiano.

Roma, l’intervista a Gianluca Mancini

Il 2025 inizia con il derby, quali sono le sensazioni in vista di questa partita?
“È una partita particolare. Non c’è un avvicinamento diverso per ogni derby, ma è una settimana particolare, si sente subito dagli allenamenti, è nei pensieri da quando ti svegli fino a quando vai a letto. Durante la giornata pensi ‘devo stare attento, c’è il derby’. L’avvicinamento alla partita ti porta carica e voglia di far bene”.

Nell’ultimo derby ha esultato con una bandiera della curva e si sono scatenate polemiche. Che accoglienza si aspetta?
“Se ci saranno fischi saranno normali. Quando sei in campo non ci pensi. Anche nei derby precedenti c’è stato un po’ di accanimento nei miei confronti, la vivo in maniera serena. Anzi, mi fa stare più concentrato”.

Come ci arriva la squadra?
“Il mister è arrivato e ha portato quella serenità che purtroppo in questo fine 2024 era venuta a mancare. Mi sentivo nervoso, sapevo che non stavo facendo bene il mio lavoro e l’aria dentro lo spogliatoio era pesante. Già guardandolo e vedendolo arrivare dentro lo spogliatoio ci ha fatto buttare un po’ giù la tensione e l’aria adesso è positiva. A parte lo scivolone che abbiamo avuto a Como, abbiamo fatto delle partite buone”.

Il 2024 è stato un anno particolare. Il primo momento difficile è stato l’esonero di Mourinho…
“L’esonero del mister è arrivato in un momento delicato. Eravamo usciti in Coppa Italia con la Lazio, poi la sconfitta con il Milan. Venivamo da un periodo di emergenza, stavo male ma giocavo perché c’era Smalling infortunato e N’Dicka in Coppa d’Africa. L’esonero del mister è stato inaspettato.

Una mattina sono andato a Trigoria e ci hanno comunicato che non era più il nostro allenatore. L’ho aspettato fino all’ultimo per salutarlo perché non riuscivo ad andarmene via. È stato un saluto abbastanza freddo, eravamo entrambi molto scossi. Però l’ho abbracciato, l’ho ringraziato per quei due anni e mezzo che mi hanno dato una persona e un allenatore splendidi. Nemmeno nei miei sogni da piccolo potevo immaginare di essere allenato da una leggenda come lui”.

Dopo Budapest ha fatto bene a rimanere?
“Non lo so. A inizio stagione lo avevo visto carico e sereno. Poi lui ora ha detto questa cosa (di essersi pentito di essere rimasto a Roma, ndr), magari a mente fredda, ripensando a tutto quello che è successo. Però in quei primi sei mesi sembrava tutto normale, anche se non era il solito Mourinho”.

Poi è iniziata l’era De Rossi, finito con un esonero ancora più inaspettato…
“Da quando è arrivato a gennaio e fino alla partita di Leverkusen abbiamo spinto tanto. In tre mesi abbiamo fatto un percorso importante perdendo solo con l’Inter e facendo una rincorsa difficile per il quinto posto che sarebbe valso la Champions. Dopo quella partita ci è caduto il mondo addosso, perché potevamo fare un’altra finale nel giro di tre anni.

Dopo Leverkusen eravamo sotto terra, la gente faceva fatica a fare la doccia, ad andarsene dallo stadio. Io fui l’ultimo ad uscire con Pellegrini, il mister e Spinazzola. Siamo arrivati alla fine della stagione un po’ zoppicando, avevamo finito la benzina. Quest’anno siamo ripartiti con il ritiro, con nuovi giocatori giovani e forti, abbiamo cambiato tanto.

Con De Rossi c’era un progetto di tre anni e vederlo andare via dopo quattro giornate è stato un trauma per me, per la squadra, per il gruppo, per i giocatori che erano venuti perché era lui l’allenatore. Ci sono state delle decisioni societarie sulle quali noi calciatori non entriamo nel merito, perché, sembra una frase fatta, ma i calciatori fanno i calciatori, le scelte le prendono i presidenti. Quel giorno è stato un giorno veramente triste, traumatico per il gruppo”.

Ci racconta i retroscena di quei giorni e di quelle riunioni con la società?
“Ci sono state delle riunioni con qualche giocatore, però non ci è mai stato chiesto dell’allenatore. Abbiamo fatto una semplice riunione dove ci veniva chiesto il motivo per la quale in quelle prime quattro partite avevamo fatto solo tre punti. Ai più esperti era stato chiesto se ci fossero problemi nello spogliatoio anche con i nuovi arrivati.

Dopo queste riunioni ci siamo confrontati per capire se a tutti erano state chieste le stesse cose, ed è stato così. Dopo un giorno libero tornammo a Trigoria e mentre stavo facendo le analisi del sangue e ho letto sul telefono la notifica che era stato esonerato De Rossi. Siamo rimasti tutti stupiti. Nello spogliatoio tanti nuovi avevano gli occhi spalancati.

Noi che stiamo da più tempo qua a Roma abbiamo fatto gruppetto e siamo andati a chiedere spiegazioni, il direttore (Ghisolfi, ndr) e l’ex Ceo ci hanno detto che la decisione era stata presa per il bene della Roma, quello che hanno scritto nel comunicato. Abbiamo detto ai compagni che la decisione era questa e bisognava andare avanti per il bene di tutti e della Roma”.

C’erano avvisaglie di questa crisi tra De Rossi e Souloukou?
“Si vedeva il gruppo che cresceva, che i giocatori arrivavano felici ed entusiasti e De Rossi era carico per il lavoro fatto. Sinceramente non ho avvertito frizioni tra loro, quando due persone sono in conflitto si nota, ma nulla sembrava portare a un esonero così brusco”.

Poi è stato il momento di Juric. Che impatto ha avuto?
“Abbiamo iniziato bene vincendo le prime gare. Juric è arrivato e, come ha detto tante volte lui, ed è la verità, ci ha chiesto come stavamo e noi, schietti e sinceri, abbiamo detto ‘male’, eravamo delusi e lui ci ha detto: “Mi fa piacere la vostra sincerità”. Si è presentato bene, ha cercato di tirarci su mettendo in pratica il suo modo di giocare. Con una squadra che secondo me che non era pronta a questo stravolgimento tattico.

Salutandoci dopo l’ultima partita con il Bologna me l’ha confidato: ‘Potevo magari alleggerire questo modo di pressare uomo contro uomo’. La squadra ha cercato di fare quello che ci chiedeva. Sono stati due mesi di tantissimi bassi e pochi alti che hanno compromesso tanto la classifica. Però ci sono sempre sei mesi da giocarci e lo faremo al massimo”.

C’è stato un dialogo con lui per cambiare qualcosa?
“No, il suo credo è rimasto lo stesso. Cercavamo di seguirlo, ma non eravamo pronti a questo stravolgimento tattico. Cambiare tre allenatori nel giro di otto mesi con idee diverse è difficile. Non è una scusa, non è un alibi, ma è molto difficile”.

Cosa è successo nello spogliatoio a Firenze?
“Ci sono state delle discussioni, non mi nascondo. La Fiorentina ci ha massacrati e quando prendi cinque gol da qualsiasi squadra entri nello spogliatoio e sei un fiume in piena, vorresti buttare giù muri. Però poi ci siamo riuniti tutti e ci siamo detti ‘questa è la strada che il mister vuole prendere e andiamo dritti’. Volevamo seguire davvero l’allenatore”.

Dopo quel pesante ko c’è stato un confronto con i tifosi, come lo hai vissuto?
“È stato giusto. Uscendo da Trigoria c’erano dei tifosi mi sono fermato dicendogli la verità. In quel momento nessuno di noi calciatori era contro Juric. Ma la discontinuità di quelle settimane ti faceva pensare di non arrivare mai. Quando torni a casa non puoi dire ‘vabbè, a Trigoria è andata così e a casa sono sereno’. Stai male, anche perché ci sono sempre i tifosi che ti vengono dietro, anche se le cose non vanno bene e non riuscire a ripagarli fa stare male”.

Quanto ci ha messo Ranieri per ridarvi serenità?
Vederlo aprire la porta ed entrare nello spogliatoio mi ha fatto fare un sospiro di sollievo, ha portato serenità a livello tattico e tecnico. Le sconfitte contro Napoli e Atalanta ci hanno dato consapevolezza.

Anche le partite con Tottenham e Braga ci hanno portato quella serenità di cui parlavo ed è una cosa importante, come anche la vicinanza del pubblico. Roma è una piazza calorosa, il 60-70% di vittorie in casa passa dai tifosi, perché sentire lo stadio avvelenato a tifare contro di noi non è facile”.

Come hanno vissuto i senatori la contestazione? In particolare Pellegrini e Cristante. Pensi che davvero possano lasciare Roma?
“Sono stati giorni difficili per tutti, non solo per i ‘senatori’, come li chiamate voi. Non è una parola che ci piace, si sente solo a Roma. Non sei leader perché sei da più tempo alla Roma, qui ci sono leader già dopo sei mesi. Il momento della contestazione è stato brutto per tutti, poi è chiaro che i ragazzi più vecchi come me, Bryan e Lorenzo la viviamo in maniera diversa perché ci sentiamo più responsabili.

Sapevamo che i risultati erano brutti e che i tifosi erano liberi di contestare. Se Bryan e Lorenzo andranno via non lo so, penso a me stesso. Posso dire che sono più sereni loro come tutta la squadra. Siamo molto amici, non lo nascondo, gli voglio un bene dell’anima. Spero con tutto il cuore che le cose migliorino per tutti”.

Vede una luce in fondo al tunnel per Pellegrini?
“Lorenzo in allenamento è sempre un esempio, anche se sta giocando meno, si allena sempre al massimo e col sorriso per mettere in difficoltà il mister. È pronto per combattere per la sua squadra del cuore alla quale tiene tantissimo, si arrabbierà ma è la verità (ride, ndr)”.

Quali sono gli obiettivi della stagione?
“Facciamo il meglio possibile sapendo che è difficile contro chiunque e la partita di Como lo ha dimostrato. Se abbassi un attimo il livello e ti ‘addormenti’ le prendi da tutti. Quindi viviamo domenica dopo domenica sapendo che dobbiamo dare il 110% senza abbassare mai la guardia”.

Cosa ha portato l’esperienza di Hummels alla squadra e in particolare alla difesa.
“L’ho definito il Professore. Abbiamo alcuni anni di differenza, mentre ero in campeggio lui giocava la finale del Mondiale nel 2014. In campo ha delle letture in pochi hanno.

Contro il Tottenham ha fatto una scivolata che io non avrei mai pensato di fare, anzi magari se ci provo mi fischiano sei rigori contro (ride, ndr). Lui invece era sereno, un intervento pulito. Mi sono girato e gli ho detto ‘tu sei pazzo”. Lui rideva”

Le dà fastidio essere uscito dal giro della nazionale? Ha più sentito Spalletti?
Dopo l’Europeo non ci siamo più sentiti. Lo ringrazierò sempre per la possibilità di aver partecipato agli Europei anche se non sono andati bene. È sempre stato schietto con me e molte volte anche se non mi aveva convocato mi chiamava se c’era bisogno e io ho sempre dato la mia disponibilità. La Nazionale è il sogno di ogni bambino. Vediamo cosa accadrà, lui ha sempre detto di non voler chiudere le porte a nessuno”.

Si parla tanto dei nuovi acquisti, come si concilia l’esigenza di risultati con il tempo di ambientamento dei giovani?
“In Italia non c’è tempo. In teoria tutti hanno bisogno di tempo, basta guardare le difficoltà che hanno attraversato Klopp e Arteta in Inghilterra prima di arrivare a grandi risultati. Il tempo dovrebbe esserci ma di fatto non c’è”.

Dopo un’estate difficile ora Dybala sembra tornato sui suoi livelli.
Paulo non ci ha mai detto di voler andare via. È stato importante che sia rimasto, eravamo molto felici. Credo semplicemente che ora stia bene fisicamente, è giusto che quando sta male non giochi. Spero continui ad aiutarci a vincere le partite facendo cose straordinarie come il gol di San Siro”.

Ranieri ha detto che l’obiettivo a lungo termine è di vincere lo scudetto con i Friedkin, cosa ne pensa?
I presidenti tengono alla Roma, lo dimostrano i fatti. In estate hanno fatto una grande campagna acquisti con giovani importanti che sono la base per il futuro. Sono presenti, quando vengono parlano con noi calciatori. Per arrivare a vincere uno scudetto c’è bisogno di un percorso importante, non è facile quanto a dirlo. Devi costruire una mentalità forte, non a parole, ma con i fatti.

Con Mourinho lo abbiamo fatto in Europa con le due finali e la Conference che ci hanno reso una realtà solida in campo internazionale. Vincere quella coppa non era affatto facile, e purtroppo Budapest ci ha impedito di avere quella spinta per arrivare a giocartela per il campionato. Vincere dà consapevolezza, come sta accadendo per l’Atalanta dopo l’Europa League.

Nelle coppe abbiamo fatto partite meravigliose, dove dicevi ‘oggi la Roma vince, non ce n’è per nessun’ e siamo arrivati sempre in fondo. Se avessimo vinto a Budapest avremmo avuto quella fame per lottare per lo scudetto”.

Cosa significa Roma per lei? Vuole chiudere qui la carriera?
“Non ci penso. Mi vivo il percorso che ho fatto da quando sono arrivato, sono grato ai tifosi che mi sostengono, vedo che mi vogliono bene. Il mio modo di fare è genuino sia in campo che fuori, cerco sempre di dare il massimo per questa maglia e per questa gente. Mi danno sempre qualcosa in più per fare bene. Io e la mia famiglia amiamo questa città e sono felice qui. Ho altri due anni di contratto e voglio godermi ogni momento sperando che le cose possano migliorare”.

Si è parlato di Napoli per lei già a gennaio…
L’ho letto ma non c’è nulla di vero. Il mio procuratore non mi ha mai detto nulla e sa quello che penso”.

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Serie A

Roma, Hummels incerto sul futuro: “Deciderò in estate”

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Roma, Hummels

Alla Roma il destino del Campione del Mondo Mats Hummels è in forse, come ha confessato in un’intervista al quotidiano Il Messaggero.

Con la cacciata di Ivan Juric e l’arrivo in panchina di Claudio Ranieri, c’è un giocatore che ha recuperato spazio e visibilità alla Rona: questi è senz’altro l’ex Borussia Dortmund Mats Hummels.

Il difensore, Campione del Mondo del 2018 con la Nazionale tedesca, ha rilasciato un’intervista a Il Messaggero nella quaIe ha parlato dei suoi allenatori alla Roma e di futuro. È la prima volta che lo fa dal suo arrivo in Italia a fine estate.

Ecco che ha cosa ha detto.

Roma, l’intervista a Mats Hummels

Sull’approccio di Ranieri nei suoi confronti

“È venuto, mi ha preso da parte già il primo giorno e ha cominciato a parlare dicendo che mi conosceva, che mi ha sempre seguito negli ultimi dieci anni, che gli piaceva il mio modo di giocare e che aveva visto sia la semifinale che la finale dell’ultima Champions. Non aveva dubbi che avrei avuto un ruolo importante con lui. Mi ha subito detto che mi avrebbe fatto giocare e che avevo la sua fiducia”.

Sull’ex allenatore Ivan Juric

“Aveva le sue idee di calcio, su come giocare, le sue opinioni. Evidentemente non ero abbastanza in condizione per essere funzionale al suo gioco, ma non ho avuto nessun problema con lui. Non mi ha dato la possibilità di giocare e basta. Credo tra l’altro sia una brava persona. Una situazione anomala, in 18 anni di carriera avevo sempre mostrato il mio valore, anche nelle grandi partite”.

Sul perché del suo inutilizzo da parte di Juric

“Non so il motivo. Se un giorno lo rivedrò glielo chiederò perché, ripeto, con me è stato sempre gentile e carino. Il problema è che quando faceva la formazione io non c’ero mai. Non posso dire di più su questo, veramente non lo so”.

Sulla possibile permanenza di Ranieri in panchina

“Parliamo di un grande allenatore, un top class, l’ho capito dal primo momento in cui l’ho visto. Ha una naturale autorevolezza, si intende di giocatori, non deve alzare la voce per farsi capire e ascoltare.

È gentile, sarebbe un grande tecnico per qualsiasi squadra, specialmente a Roma. Intanto devo capire cosa farò, ma lui sicuramente è un grande, da tenersi stretto”.

Sul futuro

“No. Deciderò in estate. Ma qualora dovessi restare, sarei felicissimo di essere allenato ancora da lui”.

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