Vujadin Boskov è da sempre sinonimo di sport ed ironia. Simbolo di un calcio romantico, improntato su sentimento e passione. Genio e sregolatezza, croce e delizia, portavoce ed unico responsabile delle sue intuizioni capaci di tramutarsi in spettacolo e frasi iconiche.
Vujadin Boskov è questo, ma anche tanto altro. Le esperienze nella sua terra natia, la Serbia, in Olanda, nella penisola Iberica e nel nostro paese hanno contribuito a forgiare l’uomo che si celava dietro i panni di un allenatore.
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Boskov nasce a Begec nel 1931. Calcisticamente cresce nel Vojvodina, squadra serba, dove trascorre gran parte della sua carriera da atleta professionista. Dieci anni, dal 1950 al 1960, che trasudano fedeltà e senso d’appartenenza verso la propria squadra con cui non raccoglie nulla a livello di trofei. Nel 1961 trascorre un’annata scialba alla Sampdoria, per poi terminare la carriera da calciatore in Svizzera, negli Young Fellows.
In Svizzera ha inizio anche il suo percorso come allenatore, sempre negli Young Fellows. Nel 1964 fa ritorno in patria, riabbracciando i colori del Vojvodina. Alla guida dei biancorossi trascorre altri 7 anni, portando la squadra alla ribalta nazionale nel 1966 grazie alla conquista del primo storico titolo.
In virtù dei valori espressi nelle vesti di mister, nel 1971 la Jugoslavia lo sceglie come commissario tecnico con la speranza che riesca ad imporsi anche a livello europeo per consegnare sé stesso e la nazione intera alla gloria. Le aspettative vengono, però, disattese nel corso dell’anno successivo: la Jugoslavia viene eliminata dall’Unione Sovietica nei playoff validi per l’accesso all’Europeo del 1972.
Boskov decide quindi, nel 1973, di lasciare la panchina ed il paese in seguito a dei dissapori con il regime dell’allora dittatore Tito.
Il mister serbo si trasferisce in Olanda guidando prima il Den Haag, con cui vince una coppa nazionale nel 1975, e successivamente il Feyenoord. Nel corso dei quattro anni trascorsi nei Paesi Bassi ha l’opportunità di affinare la tecnica ed osservare da vicino la rivoluzione calcistica messa in atto dall’Ajax di Cruyff. Ruba con gli occhi, prende spunto ed applica secondo le sue dinamiche interne.
Dopo essere stato a contatto con una delle squadre maggiormente riconosciute e venerate nel panorama calcistico mondiale, Vujadin Boskov emigra in Spagna, dove cerca di esportare i valori della rivoluzione olandese. Prima Saragozza, squadra in cui inizia a sperimentare le nuove idee tattiche, poi Real Madrid, con cui vince una Coppa dei Campioni, un campionato e due coppe nazionali, ed infine Sporting Gijon.
In seguito all’esperienza spagnola, torna in Italia a distanza di 23 anni. Guida prima l’Ascoli sia in Serie A che in Serie B, per poi ripresentarsi nella Genova blucerchiata. Tra il 1986 ed il 1992 porta la Sampdoria ai vertici del calcio europeo, vincendo due Coppa Italia consecutive, nel 1988 e nel 1989, uno Scudetto nel 1991 grazie alla collaudata coppia Vialli-Mancini, una Supercoppa Italiana ed una Coppa delle Coppe. Nella sua ultima annata genovese sfiora addirittura la conquista di quella che sarebbe stata una storica Coppa dei Campioni, perdendo la finale contro il Barcellona guidato proprio da quel Cruyff di cui aveva ammirato le gesta due decenni prima.
Dopo la Samp arriva la Roma. Il sodalizio con i giallorossi dura solamente una stagione, ma tanto gli basta per rimanere nella storia del club: il 27 marzo 1993, infatti, fa esordire in Serie A Francesco Totti.
La sua carriera si conclude nel 1999 con il Perugia, in seguito alle parentesi di Napoli e Servette, compagine svizzera.
In Italia restano celebri molte delle sue frasi, partendo da “Rigore è quando arbitro fischia”, passando per “Meglio perdere una partita 6-0 che sei partite 1-0” e terminando con “Nel calcio c’è una legge contro gli allenatori: giocatori vincono, allenatori perdono”.
Aggiornato al 31/01/2023 1:02
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