Daniele Pradè è uscito dall’incubo del coronavirus. Lo racconta in un’intervista a Sky Sport. Il direttore sportivo della Fiorentina ha vissuto quasi 50 giorni da incubo per sè e per i propri cari, giorni che sono stati portati avanti col rimorso di aver portato il virus in famiglia, allargando il contagio a nove familiari.
Pradè spiega come il mondo del calcio possa essere un veicolo importante per la prevenzione, la serietà dei protocolli può essere da monito per chi non ha ancora capito la pericolosità e la velocità di contagio del Covid-19.
Queste sono le prime dichiarazioni di Pradè: “Nella nostra famiglia, si sono ammalati in 9, il virus l’ho portato in casa io: mia moglie, mia figlia, i miei cognati e i nipoti. E soprattuto ai miei suoceri, per cui ho avuto molta paura. Sono stati ricoverati trenta giorni, e per fortuna sono stati allo Spallanzani, uno dei migliori centri al mondo per questo virus
”.
Poi anche sulla forza e pericolosità del virus, sul dramma che poteva essere e per fortuna non è stato: “Fa male. Non riesci ad alzarti dal letto, hai febbre alta, sudore, diarrea, tosse. E la preoccupazione diventa tanta: quando vedi che le persone intorno a te si ammalano, e poi addirittura arriva l’ambulanza per ricoverare i tuoi suoceri, senti davvero cose che ti toccano in primo piano. Per fortuna l’abbiamo passata e io sarò sempre un portavoce sulle misure da seguire”.
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