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Venezia, Altare: “Ho recuperato del tutto. La classifica parla, dobbiamo dare di più”

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Venezia

Giorgio Altare, difensore del Venezia, ha rilasciato un’intervista a TuttoVeneziaSport.it dove racconta del suo percorso con gli arancioneroverdi.

Giorgio Altare, calciatore italiano classe ’98 e difensore del Venezia, si è lasciato andare con lunghe dichiarazioni in merito alla sua squadra, ai rapporti, all’infortunio e così continuando.

Cagliari

Le dichiarazioni di Altare

Sei stato fuori per qualche settimana ma ormai sembri pienamente recuperato, come stai? La tua assenza in difesa si è fatta sentire considerando che sei anche tra coloro che hanno già dell’esperienza in A?

“Sì, sono recuperato ormai del tutto e sono con la squadra. Mi è dispiaciuto tantissimo vedere soffrire i miei compagni da fuori, volevo essere in campo per aiutare a raggiungere i nostri obiettivi e portare a casa il risultato, cosa che ci è mancata in questa settimana. Non dobbiamo però mollare, dobbiamo continuare a credere in noi stessi perché abbiamo mezzi per portare gioie ai nostri tifosi”.

Si sono create tante opinioni su questo avvio di campionato del Venezia, tra chi dice che non si poteva fare di più e chi invece ritiene che siano stati buttati già troppi punti. Che idea ti sei fatto tu di questo avvio?

“Sicuramente dobbiamo dare di più, perché la classifica parla, i punti sono quelli che sono, quello che dobbiamo fare è dare ancora di più perché evidentemente non abbiamo dato abbastanza. Poi sulle idee che nascono vedendoci dall’esterno non sono cose che ci riguardano, noi dobbiamo andare per il nostro obiettivo, ovvero portare a casa più punti possibili. Siamo in un campionato difficile, però è il campionato più bello del mondo e sappiamo cosa comporta”.

Sono arrivati questa estate diversi volti nuovi dall’estero, quasi tutti giovani, penso per esempio a Schingtienne che è proprio un ragazzo inserito nel tuo reparto. Come li state aiutando a integrarsi sia a livello calcistico che anche nell’ambientamento in quella che è una realtà diversa come l’Italia?

“La cosa che aiuta di più è la parte pratica in campo durante gli allenamenti, con il mister, un lavoro soprattutto tattico perché magari sono ragazzi che vengono da campionati dove l’approccio tattico è diverso. Su quello c’è sicuramente da lavorare con loro ma anche su noi stessi, questo campionato qui se non sei messo bene tatticamente lasci spazi e le squadre di qualità ti fanno male”.

In questo senso la permanenza di tanti ragazzi dello scorso campionato è comunque un aiuto, giocare ancora con Idzes e Svoboda, per esempio, fa sì che certi concetti li abbiate già?

“Sì, il gruppo alla fine è rimasto più o meno quello, il campionato è diverso e la qualità è diversa. Anche noi dobbiamo lavorare di più rispetto a quanto fatto l’anno scorso anche se alla fine abbiamo vinto il campionato. Quest’anno affrontiamo giocatori di qualità che sono altrettanto più forti, dovremo lavorare su ogni dettaglio e particolare, limitando la loro forza e lavorando ovviamente sui punti deboli dei nostri avversari”.

Obiettivo stagionale ovviamente non lo diciamo, ma magari ne hai uno tuo personale? A livello di presenze?

“Quello non è importante, l’importante è quello che si sa già (dice ridendo). Dobbiamo fare bene e centrare il nostro obiettivo”.

Lato curiosità, con l’arrivo di Nocta ora in spogliatoio ascoltate Drake visto anche il clamore che ha fatto il suo arrivo?

“Ah, ma quelle sono cose in più. Noi lavoriamo e meno cose ascoltiamo cosa si dice fuori meglio è andando per la nostra strada, così daremo il 100%”.

Le maglie di quest’anno stanno piacendo?

“Quello sì, ma il Venezia ha avuto nella sua storia tante maglie bellissime, fa piacere indossarla e penso faccia piacere anche ai tifosi”.

La società ha lanciato un pack di mini abbonamenti da 4 partite per aumentare ulteriormente il numero di tifosi al Penzo, state sentendo il loro affetto visto che comunque i numeri sono importanti?

“Lo stanno già dimostrando, sono l’uomo in più e lo stanno dimostrando, spetta a noi dare qualcosa in più per far sì che anche loro diano quel qualcosa in più nel corso della stagione”.

Serie A

Cagliari, Scuffet: “Il no all’Atletico una scelta difficile, ma sono orgoglioso del mio percorso”

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Il portiere del Cagliari, Simone Scuffet, ha ripercorso le tappe della sua carriera in un’intervista concessa al “Corriere della Sera”.

In un’intervista concessa al Corriere della Sera, Simone Scuffet ha ripercorso le tappe della sua carriera. Dal famoso “no” all’Atletico Madrid alla scelta di andare all’estero, sino al ritorno in Serie A con il Cagliari.

Cagliari, le parole di Scuffet

Di seguito le parole di Simone Scuffet.

Simone Scuffet, lei non è più il baby fenomeno che rifiutò l’Atletico Madrid per fare l’anno della maturità e giocare nell’Udinese: adesso a 28 anni, nel Cagliari, è semplicemente un portiere maturo?
«Sì, l’esperienza ti aiuta a gestire le situazioni: se prendi ogni cosa nel modo giusto, la affronti molto meglio, fuori e dentro al campo».

Lei entrò in porta quasi per caso e suo padre solo in seguito le disse che da ragazzo era stato un portiere: una mancanza di comunicazione molto friulana, non trova?
«Sì, avevo 5-6 anni e scelsi la porta per caso. Lui aveva giocato in seconda categoria e non mi aveva mai detto nulla, perché non voleva condizionarmi: sono orgoglioso di non essere stato indirizzato nel mio percorso».

Il basso profilo è il segreto della scuola friulana?
«Il carattere non basta per fare le cose ad alti livelli, c’è tutto un lavoro tecnico e tattico che inizia da bambini. Però cercare di allontanarsi dai riflettori nel nostro ruolo può aiutare».

Vicario, Meret, Provedel, Perisan, lei: è stata una competizione feroce?
«Siamo molto amici, ma il livello era davvero alto e la competizione c’è sempre stata: la scelta che fece Vicario di andare a giocare in D perché aveva davanti Meret e Perisan, la porto spesso come esempio per il coraggio e per la lungimiranza».

Con il re del basso profilo Dino Zoff ha mai scambiato una parola?
«Agli inizi, quando il mio nome era diventato popolare: mi ha fatto i complimenti».

Con Buffon vi siete allenati in Nazionale?
«Sì, nel 2015, c’erano lui e Donnarumma: anche solo vederli allenare a duemila all’ora ti dà molto».

Quanto bene ha fatto Buffon ai giovani portieri e quanto invece è stato un modello impossibile da raggiungere?
«Ha fatto molto bene perché è stato un esempio che ci ha accompagnato fin da piccoli: la sua carriera è stata lunghissima e tutta ad alto livello. Se poi in tanti sono stati etichettati come nuovi Buffon, non è colpa sua, ma vostra, perché lui era unico. Donnarumma però può ripercorrere in molte cose la carriera di Gigi».

La Nazionale per lei è solo un ricordo lontano?
«Non ci penso, sono concentrato sul mio percorso al Cagliari. La speranza di tornare ci sarà sempre, ma bisogna essere realisti e sono stato fortunato ad andarci. E a capire quanto è bello».

È d’accordo con chi dice che nella lotta salvezza il portiere pesa come il centravanti?
«Sì, mi piacciono i portieri costanti, che riducono al massimo gli errori: ogni punto perso è pesante».

Si piace in questo momento?
«Sì anche se c’è sempre da migliorare. Quando analizzo le mie prestazioni o guardo altre partite, penso che quel che conta sia concedere il meno possibile. Perché poi la grande parata arriva, ma può essere anche un caso. La costanza è una delle cose più importanti».

È molto autocritico?
«Mi piace analizzarmi, ma sono critico al punto giusto: esserlo troppo può diventare un freno. Ci vuole equilibrio».

Le richieste pressanti sul gioco di piede quanto influiscono sui giovani portieri?
«Il ruolo sta cambiando tanto e bisogna essere bravi ad adattarsi».

Non tutti gli allenatori capiscono di portieri: è d’accordo?
«Non tutti hanno la voglia di immedesimarsi in un mondo a parte. Il mio allenatore Davide Nicola ad esempio ha grande curiosità, si avvicina per vederci lavorare in allenamento, fa domande al preparatore per capire meglio certi aspetti. E questo fa bene al nostro ruolo».

La famosa maturità in ragioneria che fece quando era esploso nell’Udinese come era andata?
«Bene, sono uscito con 72/100: nonostante tante cose dette e scritte, ci tengo a dire che la scuola l’ho finita perché era giusto così. Ma non ha mai influito nelle scelte della mia carriera».

Usa i social?
«Molto poco, mi piace isolarmi. Ho il profilo bloccato, almeno so che rispondo ai miei amici, non agli umori di chi una settimana ti fa i complimenti e quella dopo magari ti insulta».

La solitudine del portiere esiste?
«Per molti aspetti sì, ma dentro a un gruppo è bello sapere che puoi contare sugli altri. E che gli altri possono contare su di te».

Ha mai fatto un lavoro specifico, magari con un mental coach, per conservare l’equilibrio?
«No, ma rispetto chi lo fa. Per me è importante avere qualcuno con cui sfogarmi e trovare il modo di godermi i momenti liberi per ricaricarmi».

I guanti ultramoderni rendono più facile la vita?
«In realtà quando sono nuovi non sono pronti per l’uso: vanno sciacquati bene perché altrimenti rischiano di diventare molto scivolosi».

È per questo che i portieri trattengono poco i palloni?
«No, è perché i palloni sono sempre più veloci e i tiri più forti: la presa si vedrà sempre in meno».

La rinascita di De Gea come la vede?
«Ripartire così dopo un anno di inattività dice tanto della dedizione con cui si è allenato da solo. Ma se è stato tanti anni al top, c’era un motivo».

Dopo la sua esplosione e la ripartenza dall’estero, c’è stato un momento in cui ha avuto timore di non farcela?
«Ci sono stati dei momenti in cui speravo di trovare più continuità e di avere occasioni che non sono arrivate. Dentro di me c’è sempre stata voglia di lavorare per ottenere qualcosa in più e dimostrare che gli altri, come a Udine, si stavano sbagliando. Anche per questo ho fatto scelte particolari, che sono state considerate in modo negativo, come quella di ripartire da Cipro. Ma quell’esperienza mi ha dato tanto. Ho ricominciato un po’ da zero e mi ha ritrovare continuità e fiducia».

Questo a Cagliari è il momento migliore della sua carriera?
«Sì, ma già in Romania mi sentivo molto bene. Tornare ad essere un portiere di serie A, non perché volessi tornare in Italia a tutti i costi ma per il livello del gioco, era quello che volevo».

Si può farle un’intervista senza nominare il suo rifiuto all’Atletico Madrid?
«Spero che un giorno si riesca. È stata una scelta particolare, volevo continuare il mio percorso a Udine e il giudizio degli altri è stato condizionato dal fatto che l’anno dopo sono rimasto in panchina. Ma in quel momento lì non si poteva sapere».

L’etichetta di quel rifiuto le ha pesato?
«Più per gli altri che per me. Ma non posso dire che un ragazzo di 17-18 anni viva queste cose a cuor leggero».

Qualcuno con un carattere diverso dal suo rischiava di perdersi?
«Non tutti avrebbero fatto le scelte che ho fatto, sia quelle giuste che quelle sbagliate. Ma sono orgoglioso del percorso che mi ha portato qui e spero di migliorarlo ancora. Nella vita se uno fa le cose seriamente prima o poi arriva a raccogliere i risultati. Però c’è una condizione».

Quale?
«Non bisogna mollare mai, non bisogna tirarsi indietro neanche un giorno, perché una parata, un allenamento, una partita possono cambiarti la carriera».

Scuffet

SIMONE SCUFFET PENSIEROSO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

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Serie A

Inter, la difesa all’esame Roma: Inzaghi chiede solidità e stop alle amnesie

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Inter, la difesa ha fin qui subìto nove reti, mostrando molti limiti e poca solidità. Da Roma l’occasione di ritrovare la retroguardia formato scudetto.

Il 3-2 sul Torino aveva congedato l’Inter prima della pausa delle nazionali. Un match, quello contro i granata, che aveva portato la seconda vittoria di fila, ma anche altri due gol incassati, entrambi ampiamente evitabili.

La “doppietta” raccolta da Sommer dalla rete, però, aveva fatto salire a nove il conto delle reti subite dai nerazzurri che, allo stesso punto dello scorso anno, ne aveva subite appena tre.

Che il terzetto difensivo nerazzurro sia vulnerabile e’ un dato di fatto, che lo sia in toto per colpe proprie, meno.

Un centrocampo meno dinamico e più prevedibile, nonché alcune sanguinose amnesie dei singoli, infatti, hanno favorito la perdita di punti importanti per strada.

All’Olimpico, contro la Roma, Simone Inzaghi vuole vedere una retroguardia più solida e concentrata, che limiti al minimo le sbavature.

In avanti, per la squadra di Ivan Juric, giostreranno bocche di fuoco come Dybala e Dovbyk, un motivo in più per tenere alte tensione e concentrazione, oltre a scongiurare gli errori individuali.

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Serie A

Stadio Roma, la spesa lievita: si arriva a un miliardo

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Stadio della Roma

Quello dello stadio della Roma è un iter che diventa più impervio con il passare del tempo. Anche a livello economico: la situazione.

Per il nuovo stadio della Roma, che dobrebbe sorgere nell’area del quartiere Pietralata, ci vogliono tanti soldi: stiamo parlando di un miliardo di euro circa. Una cifra che è quasi raddoppata nel giro di pochi mesi. Lo rivela Pugliese in un articolo pubblicato sulla Gazzetta dello Sport.

Lo stadio dovrebbe ospitare le partite dei giallorossi a partire dal 2027, anno in cui il club compierà 100 anni. L’obiettivo è ambizioso: ci vorranno circa 2 anni di lavori per riuscire a ultimarlo dopo la posa della prima pietra.

Scopriamo insieme come si è arrivati a una spesa così elevata, partendo da una stima iniziale di 300 milioni.

Stadio Roma, come mai sono lievitati i prezzi?

Sono molte le ragioni che hanno provocato l’innalzamento dei costi per la realizzazione dello stadio della Roma.

Il primo, banalmente, è il costo delle materie prime, molto cresciuto negli ultimi due anni. Un altro è che con il passare il tempo il progetto si è sviluppato in chiave avveniristica: l’utilizzo di materiali ecosostenibili all’avanguardia e l’ampliamento della capienza (lo stadio potrà ospitare 62.000 tifosi). La ciliegina sulla torta sono state le richieste avanzate dal Comune, come ci ha raccontato un anno fa il presidente della Commissione Sport, che hanno fatto sì che i costi aumentassero considerevolmente.

I motivi sono molteplici: nel tempo, i prezzi delle materie prime sono aumentati notevolmente rispetto allo studio di fattibilità presentato due anni fa. Inoltre, il progetto iniziale è stato trasformato in un impianto più avveniristico, con l’uso di materiali particolari ed ecosostenibili e una capienza aumentata a circa 62.000 persone. A questo si aggiungono i costi delle opere aggiuntive richieste dal Comune.

Sono ancora tanti gli aspetti da perfezionare, a partire da parcheggi, viabilità e il ponte ciclopedonale su via Livorno. Il progetto definitivo dello Stadio dovrebbe essere pronto per la primavera del 2025.

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