Esordio da sogno per Sergio Conceicao sulla panchina del Milan. Eliminata la Juventus (che si mangia le mani), ora il derby in finale.
Il primo Milan targato Sergio Conceicao elimina la Juventus e si aggiudica la finale di Supercoppa Italiana contro l’Inter, regalandosi un epilogo impossibile da pronosticare per almeno sessanta minuti.
Nonostante il pochissimo tempo a disposizione, il tecnico portoghese ha provato subito a portare i suoi concetti di gioco a Milanello. L’aggressività iniziale mostrata dai rossoneri ricalca quella mostrata dal Porto sotto l’egida del lusitano, ma la verve agonistica del Diavolo dura appena una manciata di minuti.
Per almeno sessanta minuti avevamo preparato un racconto della partita, ma la mezz’ora finale ci costringe a stracciarla per raccontarne un’altra. Per due terzi abbondanti di gara, il Milan di Riyad ricalca quello visto in tutto il resto della stagione. Lungo e incapace di mantenere la giusta distanza fra i reparti, quando, per giocare come vorrebbe Conceicao e come voleva anche Fonseca prima di lui, bisognerebbe stare alti e corti.
La Juventus ha gioco facile nell’uscire da dietro, trovando transizioni sempre pulite ed efficaci che tagliano in due lo strabico assetto tattico dei rossoneri. I bianconeri paiono finalmente avere trovato la loro identità, ma le scelte forti di Thiago Motta sono strettamente dipendenti dal verdetto emesso dal campo.
L’ostracismo nei confronti di Douglas Luiz e Danilo, oltre alla scelta di non dotarsi di un vice-Vlahovic in estate e la pervicace reiterazione di Koopmeiners in un ruolo da trequartista in cui continua a sembrare un pesce fuor d’acqua, sono un boomerang che rischia di tornargli in faccia ogni volta che non arrivano i risultati.
Eppure, per larga parte della contesa quello con più certezze è apparso proprio lui. Poi però, come spesso le è capitato nel recente passato, Madama ha smarrito la bussola nel finale. Interpreta bene la partita, ma poi non la chiude e non ha quasi mai la forza di tenerla a sé: rimarcando il pattern del finale della scorsa stagione.
Una squadra profondamente immatura, con le spalle non sufficientemente larghe per sostenere la pressione di un ambiente fagocitante. Ad onor del vero la Juventus due o tre chance importanti per archiviare la pratica le avrebbe pure, mentre il Milan, seppur in crescita nell’ultimo terzo di gara, prima del pareggio di Pulisic era fermo alla clamorosa occasione sciupata da Theo Hernandez: che manda alto sopra la traversa da un metro.
Poi però l’episodio Sliding Doors della semifinale. Follia di Locatelli, che entra in scivolata in area di rigore (errore che sarebbe grave anche alla scuola calcio, anche se lui difensore non è) senza neppure possibilità di contendere il pallone a Pulisic. Lo stesso statunitense realizza poi dal dischetto, sgretolando le labili certezze della Signora che si sfalda definitivamente: quando Di Gregorio propizia la rete del sorpasso.
Posizionamento sciagurato dell’ex-Monza, che trasforma un cross innocuo di Musah nell’autorete che compromette il passaggio del turno e mette fine al palliativo dell’imbattibilità. Una partita che di certo non rende Conceicao un mago o Fonseca un caprone, ma un quesito sovviene spontaneo. Perché i processi sin qui li hanno fatti soltanto al portoghese ex-Lille e non al suo collega italo-brasiliano?
Aggiornato al 03/01/2025 22:03
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